5. Rotta sul pianeta Tlon
"Lo specchio e la copula sono ignobili perché moltiplicano gli individui"
Anonimo
Nell'episodio di Marcovaldo intitolato La città smarrita nella neve,
Italo Calvino ha regalato agli psicogeografi di tutto il mondo una delle
metafore più ricche e suggestive (nonché ignorate) sul rapporto
tra individuo e territorio. Non è un caso che il racconto sia stato
recentemente ripubblicato in Australia (con una splendida introduzione di
Bernard Hickey) all'interno di una straordinaria antologia dal titolo Reading
the Country (1).
Quello che succede è molto semplice. Dopo un'abbondante nevicata
Marcovaldo si sveglia e scopre una città priva delle sue caratteristiche
più odiose: le auto sono bloccate nei garage, i segnali stradali sono cancellati,
i rumori attutiti, la carreggiata e il marciapiede si sono fusi insieme
in un unico spazio pedonale, i punti di riferimento consueti sono scomparsi.
Fin qui niente di speciale. Se le considerazioni del protagonista si fermassero
al pensiero che una città così è meno carceraria del solito, saremmo
nel consueto filone della retorica stile "Metropoli Bastarda".
Ma il bello ha da venire:
"Le vie e i corsi s'aprivano sterminate e deserte come candide gole tra rocce di montagne. La città nascosta sotto quel mantello chissà se era sempre la stessa o se nella notte l'avevano cambiata con un'altra? Chissà se sotto quei monticelli bianchi c'erano ancora le pompe della benzina, le edicole, le fermate dei tram o se non c'erano che sacchi e sacchi di neve? Marcovaldo camminando sognava di perdersi in una città diversa..."
Stabilita così l'equazione neve = sogni+emozioni, le intuizioni di Calvino
cominciano a prendere forma in maniera sorprendente, come spesso succede
quando una semplice metafora si mostra via via sempre più coerentemente
in corrispondenza con l'oggetto di riferimento. Fin qui Marcovaldo si è
limitato a constatare l'effetto di una neve caduta dal cielo. Dal momento
in cui il capomagazziniere della sua ditta gli affida un'enorme pala per
liberare il marciapiede di fronte all'ingresso, diventa sempre più consapevole
della possibilità di manipolare quella sterminata massa bianca e di interagire
con essa.
Il primo ostacolo che gli si presenta è il disoccupato Sigismondo,
una chiara allegoria di un'illuminata amministrazione comunale. Si tratta
di un disoccupato arruolato nelle file degli spalatori comunali, desideroso
di mettersi in mostra con il caposquadra e di fare carriera. La neve non
gli dà nessuna suggestione particolare, ma lo porta a calcoli ben precisi
sui metri cubi da spalare per liberare tot metri quadri di strada. Quando
si accorge che Marcovaldo coi suoi disordinati colpi di pala sta gettando
la neve dal marciapiede alla strada, gli prende un'accidente.
Sigismondo è l'immagine di coloro per i quali i sogni sono solo
e soltanto business. Li rimuovono dalla loro sede naturale e pericolosa
(la strada) e ammonticchiano in bell'ordine i loro surrogati contro al muro.
È la politica del divertimento sì, purché disciplinato e rega(o)lato
da noi. Divertimento a tutti i costi, perché la chitarra di Beppe
Maniglia copra il frastuono dei cingolati. Sono le roussoviane " ghirlande
di fiori sulle nostre catene". Ma tra i sogni e i divertimenti c'è
lo stesso scarto qualitativo che separa le tagliatelle della nonna da quelle
Barilla. E qui ancora il bello ha da venire. Marcovaldo impara da Sigismondo
a fare i mucchietti di neve. Usa la sua stessa tecnica, lo tranquilizza,
gli offre una cicca di sigaretta, ripulisce il tratto che gli ha ingombrato.
Ma i suoi sentimenti non cambiano, per lui non si tratta di metri cubi su
metri quadri:
"Se continuava a fare dei muretti così, poteva costruirsi delle vie per lui solo, vie che avrebbero portato dove sapeva solo lui, e in cui tutti gli altri si sarebbero persi. Rifare la città, ammucchiare montagne alte come case, che nessuno avrebbe potuto distinguere dalle case vere. O forse ormai tutte le case erano diventate di neve, dentro e fuori; tutta una città di neve con i monumenti e i campanili e gli alberi, una città che si poteva disfare a colpi di pala e rifarla in un altro modo".
Qui al vero psicogeografo scappano le lacrime. Al curatore di Reading the Country, Robert Bropho prende un mezzo colpo che gli fa inserire una nota in cui esclama senza mezzi termini "This is walkabout!"(2) e cita alcune strofe dal brano "Walking on a dream"dei Koncealed Konceit. E niente potrebbe essere più vero.
Ma la cosa ancor più interessante da cogliere sta nel fatto che Marcovaldo
ha usato la migliore delle strategie: servirsi del sistema, sfruttare i
suoi canali d'azione. I sogni ingombrano la strada e bisogna ammucchiarli
ai lati? Benissimo. Questo in realtà non fa altro che allargare il sogno,
raddoppiarlo (fino a diventare bi-sogno), fino a che da un po' di neve sull'asfalto
si passa ad una città fatta di neve. E allora vengono in mente gli ultimi
due versi di "Terrorista", una delle ballate più acide dei Frida
Frenner, che dicono: "Bolle già un'apocalisse/verosimile/sparale sempre
più grosse/fino a che lo show/non finirà. Diffondiamo le leggende/più
incredibili/ Non saprai dove ti trovi/neanche a casa tua/deturnati."
Calvino ci dà un'immediata conferma dei nostri sospetti. È veramente
dell'inquinamento del sistema con i suoi stessi liquami(3) che si sta parlando
in un racconto dall'apparenza tanto innocua? Senza dubbio, gente! Perché
immediatamente dopo, Marcovaldo, notando quanta poca differenza passi tra
un mucchio di neve ed un'auto, comincia a modellare la forma di una macchina,
con tanto di rubinetto al posto della maniglia. E la vittima dello scherzo
è il potentissimo commendator Alboino, che, uscendo dalla ditta,
afferra il rubinetto sporgente e si infila a testa bassa nel mucchio di
neve. La perdita della distinzione tra Vero e Falso, tra Sogno e Realtà,
tra Leggenda e Fatto di Cronaca che costituisce l'arma preferita di uno
stato orwelliano gli si è ritorta contro grazie alla psicogeografia(4).
Viene da pensare allo scherzo, durato anni, che Pierluca Sabbatino e altri
due suoi amici napoletani giocarano ai danni delle Poste. Questi tre scugnizzi,
particolarmente ferrati come grafici, si sono inventati francobolli di ogni
genere da applicare alle loro cartoline. Nessuno ha batutto ciglio. Lettere
affrancate con francobolli ritraenti piccioni viaggiatori e la scritta "Quando
le poste funzionavano"sono stati regolarmente timbrati. La cartolina
con il francobollo per il "Furto dell'auto di Lucariello", è
stata recapitata senza l'ombra di tassazione. Ebbene: si tratta di ottenere
il timbro del Vero per ciò che è Falso, di far passare per normale
ciò che è pazzesco, in modo che i Normali impazziscano e sentano
come la loro distanza dal folle sia solo una questione di condizionamento
ambientale, di non aver mai incontrato uno come Ron Athey durante una performance.
Negli anni settanta in America si facevano degli esperimenti su questo
tema. Una donna entrava completamente nuda in un ufficio dove tutti, tranne
uno, erano stati sollecitati a comportarsi come se niente fosse. Il condizionamento
ambientale su quell'uno era tale che egli si comportava in modo assolutamente
deviante per potersi ritenere normale. Della serie: colpisci cento per educarne
uno. Le potenzialità rivoluzionarie di un fatto simile sono incredibili.
Quando Albert Funt vide i filmati di quegli esperimenti ebbe una folgorazione
e si inventò Candid Camera. Ma la telecamera nascosta era un limite di
quella trasmissione, non un vero punto di forza, come ha dimostrato in maniera
strepitosa uno psichiatra napoletano. Mi riferisco all'autore del famoso
"Referendum per l'abolizione della Juventus"e di altri banchetti
di questo genere. In questi casi l'arrivo della telecamera, come appendice
della televisione, veniva costantemente considerato come una conferma dell'
avvenimento, un imprimatur, un timbro di veridicità. La gente rimaneva
delusa quando gli si diceva che era tutto finto. Molti non ci credevano.
Qualcuno si mise veramente a organizzare una raccolta di firme per cancellare
il Milan dal campionato.
Tutto questo ci porta su Tlon. Poi ritorneremo alla città smarrita nella
neve e al suo finale mozzafiato.
Che cos'è Tlon? È una creatura di Jorge L. Borges che ce ne parla nella sua raccolta Ficciones del 1941-44. Si immagina che una combricola di idealisti, con a capo Barkeley, abbia concepito il disegno di dar vita ad un paese immaginario, diventato poi un pianeta per la megalomania americana, chiamato Tlon. Il progetto è quello di stilare un'enciclopedia in molti volumi su questo pianeta, decrivendone la geografia, la letteratura, i linguaggi, le gastronomie, le città... Nel 1944 un reporter del quotidiano The American di Nashville, Tennessee, scova in una biblioteca di Memphis i quaranta tomi dell'opera. Un ritrovamento voluto prpbabilmente dagli stessi direttori dell'Enciclopedia di Tlon, i quali cominciano contemporaneamente a mettere in giro alcuni oggetti, come bussole contrassegnate con lettere di alfabeti di lingue tloniane, piccoli coni dal peso specifico indescrivibile (fatti d'un metallo che non è di questo mondo) che costituiscono l'immagine della divinità in una religione di Tlon.
"Quasi immediatamente la realtà ha ceduto in più punti. Dieci anni fa, bastava una qualunque simmetria con apparenza di ordine - il materialismo dialettico, l'antisemitismo, il nazismo - per mandare in estasi la gente. Come, allora, non sottomettersi a Tlon, alla vasta e minuziosa evidenza di un pianeta ordinato? Il contatto con Tlon, l'assuefazione ad esso, hanno disintegrato questo mondo."
più chiaro di così! È il sistema battuto con le sue armi sistemiche, infettato dalla sua ebola, che lo uccide per emorragia. "Già, nelle memorie, un passato fittizio occupa il luogo dell'altro, di cui nulla sapevamo con certezza... neppure se fosse falso."
La storia di Tlon è la storia di una costruzione fittizia che
prende il posto di una costruzione (ritenuta) reale. Tlon potrebbe essere
un mondo ideale, stupendo, cui basta credere per farlo vivere. E questa
sembra la strategia suggerita da Borges. Una rivoluzione dell'immaginario
più profonda di qualsiasi cambiamento di prospettiva su una realtà immutabile.
Ma Luther Blissett avanza l'idea di una distruzione ancora più radicale.
Qualcosa che non dia la possibilità di sostituire Tlon con qualcosa di
ancor più cristallino ma, probabilmente, micidiale. Propongo di sbriciolare
il meccanismo psicologico di adesione a questi sistemi, mostrandone la putredine.
Come? Accellerando al massimo il processo. Proponendo continuamente nuovi
sistemi, nuove "True Lies ". Diffondendo il Caos Mediatico fino
a che con le balle dell'ultimo giornalista inchioderemo l'ultimo burocrate.
Allora saremo liberi dal mondo. E anche da Tlon.
Del resto Borges più che proporre un nuovo modo di imporre una mitopia
(attraverso una postmoderna seduzione ), sembra proprio voler criticare
il meccanismo stesso e a questo proposito crea un sistema in cui viene distrutto
uno degli ingranaggi più importanti dell'adesione ai sistemi stessi: L'Identità.
Se rinunciamo a questa, rinunciamo al bi-sogno di narrazioni e tutt'al più
possiamo cadere vittime di nuovi mondi, piuttosto che di nuove storie.
Nella congetturale Ursprache dell'emisfero australe di Tlon non esistono
sostantivi ma il nucleo del linguaggio è il verbo impersonale: per
dire "Sorse la luna sul fiume"si dice hl-r u fang axaxaxas mlo
ovvero, letteralmente: verso su dietro semprefluire luneggiò. Sostituire
ai nomi i verbi impersonali significa sostituire ai soggetti gli eventi(5),
a identità predeterminate, agenti ben più nebulosi. In questo modo tutti
coloro che partecipano ad una stessa azione sono la stessa persona, o meglio,
sono lo stesso atto, perché di persone, su Tlon, non vale nemmeno
la pena di parlare.
Questa impressione è rafforzata da una nota dell'autore
riguardo ad alcune dottrine panteistiche del pianeta, nella quale si accenna
ad una chiesa di Tlon secondo la quale "tutti gli uomini, nel vertiginoso
istante del coito, sono lo stesso uomo. Tutti coloro che ripetono un verso
di William Shakespeare sono William Shakespeare."
La faccenda diventa
ancora più evidente se si passa all'emisfero boreale del pianeta. Qui il
sostantivo si forma per accumulazione di aggettivi monosillabici, che costituiscono
la cellula primordiale della lingua. Qualsiasi congiunzione di aggettivi
ha il potere di evocare e rendere reale un oggetto. Così esiste un'entità
denotata ( sempre che questo termine abbia senso) dall'espressione moplakagfarad
che significa: il colore del sole nascente e il grido acuto di uccello in
volo. Ci sono famosi poemi composti da un'unica, enorme parola corrispondente
all'oggetto poetico creato dall'autore. Nel descrivere un simile linguaggio,
Borges aveva sicuramente in mente qualcosa di molto vicino al concetto johnsoniano
di Network degli Eventi. Non si tratta di una congettura, lui stesso ne
parlò nelle Lettere ad un amico che non ho in maniera molto chiara:
"Ci sono idee che probabilmente non potranno mai prendere forma senza che si introduca un linguaggio adatto alla loro espressione. Questo spiega la fatica che mi è costata lo spiegarti quel mio sogno di tanti avvenimenti in giro per il mondo, diversi tra loro, ma collegabili insieme da un qualche filo invisibile e riconducibili tutti al medesimo autore...".
Non occoreva andare su Tlon per reperire una simile lingua: la pratica del Multiple Name ha tutte le potenzialità descritte da Borges. E anche questa volta l'autore ci stupisce mostrando di aver sfiorato, nella sua costruzione, persino quest'altro concetto. Nella sezione dedicata alla letteratura di Tlon spiega come raramente i libri vengano firmati. La nozione di plagio non esiste. Tutte le opere sono di uno stesso autore, atemporale e anonimo. Ci manca solo che il suo nome d'arte sia Luther Blissett...
Un' ultima caratteristica di Tlon merita di essere ricordata. Si tratta
dei hronir. Su Tlon il verbo "cercare" è fattivo, come
scoprire; presuppone che la cosa cercata esista. O meglio, lo implica. Se
cerco una matita che qualcun altro ha già preso, prima o poi ne troverò
una, un po' diversa, ma bene o male corrispondente all'oggetto della mia
ricerca. È un hron. I hronir evocati dalla speranza e dalla suggestione
si chiamano anche ur. I hronir sono fatti della neve di Marcovaldo sulla
terra, di neutrini su Solaris. La cosa incredibile è che i hronir, come
sottolinea l'autore, hanno reso grandi servigi agli archeologi; hanno permesso
di interrogare il passato e di renderlo non meno plastico dell'avvenire.
Così su Tlon cade anche una delle maggiori alleate dell'identità: la Memoria.
Perché anche il Passato, come il Territorio, può diventare Sistema.
Ma su Tlon non ci sono né Autori né Autorità (concetti fin
troppo simili anche nell'espressione linguistica). E i Sistemi sono numerosissimi,
ma non cercano la Verità, sono sottogeneri della letteratura fantastica
e mirano alla sorpresa. Perché ogni evento è irriducibile,
e classificarlo è già tradirlo. Nessuna spiegazione è possibile
(oppure tutte) perché nessun fatto è collegabile ad un altro
in maniera causale, ma solo poeticamente, per associazione di idee.
Si dice che chi non conosce il passato è costretto a riperterlo.
Io direi: a chi non conosce il passato capita di ripeterlo. Chi lo conosce,
molto più spesso, ci è costretto. Perché senza memoria non
c'è identità, nazione, popolo. Non c'è soggetto. La pratica
del hron è, forse, revisionismo. Ma sarebbe ingenuo credere che la
Storia sia Verità. E non abbiamo appena detto che il dominio del Verosimile
e del Falso devono essere fatti detonare con le loro stesse mine? Abbiamo
paura che qualcuno ci venga a dire che i Lager Nazisti non sono mai esistiti.
Ma intanto i Lager li hanno ricostruiti proprio quegli slavi che, insieme
a zingari, ebrei e omosessuali ci hanno sofferto dentro. E Roma antica,
gloria d'Italia, non era forse il terreno preferito di Mussolini? La ripetizione
rituale del mito, nelle culture tradizionali, ne fa rivivere gli effetti,
dà l'impressione di averlo ripetuto. Così la tribù della Sinistra, in
piazza per il 25 Aprile, può mettere il cuore in pace e credersi ancora
"resistente". Questa, diciamocelo, è Merda. E se un atteggiamento
più disilluso nei confronti della Memoria facesse dubitare con la Resistenza,
anche della Razza e della Patria, non saprei chiamarlo davvero uno svantaggio.
I tempi sono maturi per tornare finalmente a Marco(s)valdo. Dopo lo scherzo
della macchina, il nostro eroe comincia a pensare che c'è una cosa
che la neve non può confondere o imitare: l'uomo (ovvero l'Identità).
Il pupazzo di neve che alcuni bambini stanno plasmando non potrà mai essere
confuso con lui. Ma mentre è assorto in questi pensieri un cumulo
di neve, scivolato da un tetto, lo sommerge completamente. I bambini arrivano,
muniti di carote e altri ortaggi con cui confezionare il naso del loro pupazzo,
e se ne trovano davanti due perfettamente identici. Quando però conficcano
la carota sul faccione del secondo, questa scompare a vista d'occhio. E
lo stesso succede con un peperone. Marcovaldo, infreddolito e mezzo congelato,
accetta volentieri il cibo che gli viene offerto e i bambini scappano terrorizzati
al grido di - Aiuto! È vivo! È vivo!
Con questo finale credo che nessuno potrà dubitare oltre sulla forzatura
di un' interpretazione psicogeografica di questo racconto. Disorientamento
del territorio - sfruttamento del sistema - derisione del potere - perdita
dell'identità... La sequenza non poteva essere studiata in maniera più
perfetta. Tutto torna in maniera mirabile. Marcovaldo abbandona la tuta
da operaio e si veste di quella stessa neve che ha cambiato la città e
ha infradiciato il commendator Alboino. Diventa però un pupazzo molto particolare.
La maschera non lo priva di una forza vitale che ora lo rende addirittura
spaventoso. Non c'è ombra di nichilismo. I bambini restano del tutto
spiazzati di fronte a quel vivente uomo di neve. Perduta l'identità, l'attacco
può arrivare da qualunque parte, inaspettato.Tutto diventa Imprevedibile.
E quindi pericoloso per chi deve sorvegliare e punire.
Alla fine Marcovaldo, tutto infreddolito, si dirige verso una grata da
cui sale una nube di calore. La neve si scioglie e al nostro eroe parte
uno starnuto talmente forte che libera il cortile da tutta la neve. E così
si rimaterializzano le cose di tutti i giorni, spigolose e ostili. Perché
se Marcovaldo si rifiuta di essere un bianco pupazzo di neve mangiacarote
e preferisce il grigio operaio apparentemente diverso da tutti gli altri,
allora anche la città si rifiuterà di plasmare i suoi sogni e tornerà
a farsi grigia di duro cemento.
Un eroe metropolitano certamente più noto di Marcovaldo e ben più convinto della necessità di non farsi identificare è l'Uomo Ragno. La sua scelta di vita è, inizialmente, del tutto occasionale. La maschera gli serve in principio più per salvare la faccia (e l'identitario orgoglio) che per scelta di vita: avendo scoperto(6), in seguito ad un malriuscito esperimento di laboratorio, di possedere la forza proporzionale di un ragno, Peter Parker decide di sfidare un campione di lotta da circo che offre 100 dollari a chi gli resisterà per tre minuti. Per evitare di essere deriso in caso di sconfitta, si maschera il volto. Risultato: vince i 100 dollari e viene ingaggiato dal circo per fare i suoi numeri. Durante gli show indossa il famigerato costume rossoblù dell'Uomo Ragno. A questo punto non si capisce bene perché non voglia svelare la sua identità: qualcuno sostiene che sia per farsi pubblicità, ma io credo lo faccia perché Peter Parker non riesce a convivere armonicamente con i suoi superpoteri. Gasato dal
successo dei suoi Spettacoli, assume un atteggiamento da star, distaccato dal mondo al punto che nel suo primo incontro (casuale) con un ladro non se ne cura e lo lascia scappare, nonostante una guardia chieda il suo aiuto. Quel ladro ucciderà suo zio Ben qualche ora dopo. Per questo Peter non può accettare del tutto la sua identità di ragno. E quando torna a esibirsi chiede al direttore del Circo di intestare l'assegno a l'Uomo Ragno. Risultato: non riesce a incassarlo. Il dialogo col banchiere è illuminante:
UR: "Vorrei incassare quest'assegno!"
Banchiere: "Dovrei vedere un documento!"
UR: "Non basta il mio costume?"
Banchiere: "Non sia ingenuo! chiunque potrebbe indossarlo! Ha un tesserino sanitario, o una patente intestata a Uomo Ragno??!"
UR: "No. Non ce l'ho."
L'identità segreta dell'Uomo Ragno spaventa la burocrazia, ma, assai di più, spaventa la stampa, che senza volti noti e personaggi di cui sbandierare le love stories rischia di fare bancarotta. Di questo si accorge perfettamente lo psicotico direttore del Daily Bugle, J. Jonah Jameson che comincia fin da subito a scrivere editoriali e a tenere conferenze per stroncare la carriera di Spiderman. Ecco il testo di uno dei suoi interventi pubblici:
"Non possiamo permettere che quella minaccia mascherata si faccia giustizia da sé! Ha una cattiva influenza sui giovani! I ragazzi potrebbero cercare di imitarne le fantastiche imprese! Pensate cosa accadrebbe se facessero di questo mostro il loro eroe! Non dobbiamo permetterlo! Dico che l'Uomo Ragno deve essere cacciato! Non c'è posto per un tale pericolo nella nostra città! I giovani di questa nazione devono imparare a rispettare i veri eroi come mio figlio (ne mostra la foto) John Jameson, il pilota collaudatore. Non dei mostri egoisti come l'Uomo Ragno... Una minaccia in maschera che si rifiuta di mostrare la sua identità!"
Jameson è talmente determinato da questo punto di vista che anche
quando l'Uomo Ragno salva suo figlio a bordo di una navicella spaziale ingovernabile,
continua a denigrarlo sostenendo che lui stesso aveva sabotato la capsula
spaziale per poi poter fare l'eroe. Ma è chiaro che la minaccia-Uomo
Ragno è un altra. Lo stesso Peter Parker quando legge le accuse contro
di sé si chiede come facciano i Fantastici Quattro ad essere tanto
osannati. Il fatto è che i F4 non nascondono il loro volto(7). Johnny
Storm, la Torcia Umana, usa i suoi poteri alle feste di compleanno per intrattenere
gli amici, parla alle assemblee studentesche, si prende il merito delle
azioni portate a termine a fianco dell'arrampicamuri. E del resto l'Uomo
Ragno verrà rifiutato come quinto uomo del quartetto.
Per il resto Stan Lee e lo staff Marvel non
hanno molti altri spunti da offrirci. Ma tanto basta.
Non dobbiamo aspettarci molto di più. E se anche i supereroi come Spiderman
fossero solo degli Zorro con una maschera un po' più metropolitana, tuttavia
la tematica dello scontro tra anti-identitari e costruttori autorizzati
di bugie sembra qui trattata davvero al meglio.
E per un attimo possiamo ritornare a Marcovaldo. Per chi volesse ulteriori
prove delle inclinazioni psicogeografiche di Calvino, c'è ancora
un episodio che può risultare illuminante.
È quello intitolato La fermata sbagliata. Marcovaldo, dopo aver assistito
ad una proiezione di un film ambientato in India, esce dal cinema e si trova
completamente immerso nella nebbia. Perde l'orientamento, sale sul tram
sbagliato, si trova al centro di una strada stranamente illuminata, sale
su un pullman pieno di confort e scopre che si tratta di un aereo quando
il mezzo volante è ormai alto nel cielo diretto verso Bombay, Calcutta
e Singapore. Anche questa volta il trovarsi disorientati rispetto ad un
territorio familiare ( i dintorni del condominio di via Pancrazietti) è
la condicio sine qua non per il raggiungimento dei propri sogni. La città
scompare e sullo schermo grigio della nebbia si proiettano i colori delle
foreste del Kerala e delle gopuram del Tamil Nadu. La nebbia inoltre è
anche un fattore di disattivazione dei meccanismi dell'identità. Federico
Fellini la descriveva dicendo:
"La nebbia è una grande esperienza esistenziale. Rimini d'inverno non c'era più. Via la piazza, via il palazzo comunale, e il Palazzo Malatestiano dov'è andato a finire? La nebbia ti nasconde agli altri, ti mette nella clandestinità più inebriante, diventi l'uomo invisibile: non ti vedono e quindi non ci sei."
La nebbia è
quasi un nome collettivo. A chi possiamo attribuire un calcio che ci percuote
le chiappe in mezzo ad una via cancellata dal grigio? In questo è
anche meglio della neve.
Ma oltre che nella città avviluppata di nebbia, i sogni conoscono un
altro posto dove materializzarsi: su Solaris. Di questo pianeta ci parla
il romanzo omonimo di Stanislav Lem e, soprattutto, il film Solaris ( 1972
) di Andrej Tarkovskij.
La vicenda è ambientata su una stazione spaziale russa. Lo psicologo
Kris Kelvin viene inviato su di essa perché i suoi abitanti manifestano
preoccupanti sintomi di squilibrio mentale. Il magma che costituisce la
superficie del pianeta Solaris è infatti in grado di captare i più
remoti desideri degli individui e di materializzarli in esseri identici
agli originali ma con una struttura organica diversa. Gli astronauti della
base sono ossesionati ( come lo è lo spettatore) da questi "ospiti"non
sempre graditi, e uno di loro ha finito per suicidarsi. La tortura finisce
quando il pianeta viene bombardato con particolari onde aventi la stessa
frequenza dell'elettroencefalogramma di Kelvin. Nello stesso istante si
cominciano a formare sulla superficie di Solaris delle strane isole. Kelvin
è combattuto tra la speranza che "l'epoca dei miracoli crudeli
non sia finita"e il desiderio di tornare sulla terra. Nella scena finale
lo vediamo arrivare a casa e inginocchiarsi ai piedi del padre. La telecamera
comincia ad alzarsi e la vediamo oscurarsi con le nuvole rosa che circondano
il magma di Solaris. La ripresa area ci mostra un' isola in mezzo ad uno
strano oceano.
Non credo che abbia sbagliato chi ha identificato nel magma di Solaris
l'immagine del dispotismo sociale. I miracoli crudeli, le allucinanti risposte
alle nostre aspettative sembrano infatti il suo campo da gioco. Nel film
la tortura degli "ospiti", ai quali i protagonisti si attaccano
al punto di non poterne fare a meno, termina quando gli umani si scuotono
dalla loro passività e muovono un attacco psichico(8) al pianeta. A quel
punto il territorio di Solaris comincia a cambiare. Compaiono le isole.
Inizialmente queste sono piccole enclaves dove realizzare i propri progetti.
Sono riserve indiane dove rinchiudersi, oasi di sogno nel bel mezzo del
deserto. Ma piace pensare che il regista voglia suggerire un ulteriore sviluppo
della vicenda. O almeno, io l'ho immaginato. È arrivato il momento in cui
gli uomini di Solaris hanno trovato una via d'uscita dalla loro memoria
(Kelvin ha materializzato la sua vecchia fidanzata, morta suicida dieci
anni prima). Ora, nelle isole sul magma, cominciano a vivere il loro presente.
Presto forse riusciranno a dar vita al loro futuro. E a plasmarlo come Marcovaldo
le sue auto e le sue vie. Infine a uscire dall'isolamento, a collegare le
loro realtà, facendo in mondo che la crosta di Solaris dia vita ad una
terra nuova, e non più a simulacri del passato o a isole nel cantiere.
Proprio come nell'Età del sogno gli Antenati totemici dei clan australiani
fecero sorgere dal nulla il loro mondo di canti.
NOTE
1. Fremantle Arts Centre Press, Fremantle, West Australia, 1994.
2. Gli aborigeni australiani posseggono delle vere e proprie mappe canore (e quindi psicogeografiche) del loro territorio. Grazie ad esse possono orientarsi nel bush. Ogni individuo ha in affidamento una porzione di territorio di cui conosce i canti. La pratica del walkabout consiste in una ricognizione con la quale l'aborigeno custode di una regione, le infonde nuova energia, garantisce la sopravvivenza delle piste descritte dai canti e potenzia la propria anima. ( cfr Bugarrigarra, psicogeografia e walkabout in Luther Blissett, #1/2, Grafton 9 edizioni, giugno-settembre 1995)
3. Questa pratica è stata riscontrata varie volte nella storia. In particolare la setta giudaica del frankismo propugnava l'antinomia (la violazione sistematica della Legge, che pur si considera Sacra) come l'unico mezzo per avvicinare la venuta del Messia
4. Viene da pensare alla celebre fiaba in cui il pastorello che troppe volte a gridato "Al lupo! Al lupo!"per prendersi gioco dei compaesani, finisce alla fine sbranato senza che nessuno si muova per soccorrerlo.
5. Anche i dharma, gli elementi primordiali e irriducibili del cosmo, del buddhismo non sono cose ma eventi. E non a caso il buddhismo è una disciplina che nega fermamente l'esistenza di un'anima e di un'identità personale. Questo tipo di ontologia, secondo alcuni studiosi, si adatterebbe meglio di quella greco-occidentale alla descrizione del materia fornitaci dalla teoria fisica moderna.
6. Amazing Spider-man 1- marzo 1963
7. Anche i F4 ad un certo punto della carriera sperimenteranno con successo la pratica dell'identità segreta, sebbene con implicazioni molto meno interessanti (Fantastic Four 263 - febbraio 1984 )
8. Anche qui si tratta di combattere il sistema con le sue stesse armi. Il regime di Guerra Psichica è fortemente funzionale al potere fino a che Luther non trova il modo di scaricargli addosso tutta l'energia prodotta da tale conflitto. (vedi Introduzione alla Guerra Psichica in Luther Blissett #1/2, Grafton 9 edizioni, Bologna, giugno-settembre 1995)
...Tra cinque e sei...
Una rayliquia. La mattina del 9 novembre 1994 il postino recapita a Ray Johnson una grossa busta avana proveniente dalla Francia, priva del mittente. Oltre a una copia originale dell'albo Asterix le gaoulois opportunamente détournato con frasi di Gramsci e di Ernst Bloch, la busta contiene un lungo dattiloscritto su carta velina verde, firmato "Luther Blissett, Lione"(anche se il timbro postale è di Bordeaux). Si tratta di un'azzardata genealogia dei multiple names risalente addirittura a Pitagora. Johnson ne fa 13 fotocopie che spedisce ad altrettanti suoi corrispondenti: Lloyd Dunn (Iowa), Philippe Billé (Francia), James Fugazza (West Australia), Alberto Rizzi (Italia), Andràs Voith (Ungheria), Serge Segay (CSI), Graf Haufen (Germania), Kathleen Van der Maar (Olanda), Vittore Baroni (Italia), Mike Dyar (California), Sappo Knuttila II (Finlandia), Satoru Nagau (Giappone) e Raphael Akendo (Kenya). Dopo la morte di Ray, e dopo l'appello di Vittore Baroni, che incita tutti i corrayspondenti a rispedire in giro per il mondo ciò che hanno ricevuto da Johnson nel corso degli anni, il documento viene riprodotto e diffuso in più copie, ed ora viene incluso in questo libro.