Da "DeriveApprodi" n.8, estate 1995:

DALL'EMISFERO AUSTRALE, LA RIVOLTA: LUTHER BLISSETT

Tra le tante raltà radicali, underground e controculturali che in tutto il mondo stanno aderendo al progetto di nome collettivo Luther Blissett (Cfr. "Strategia del Multiple Name", su Derive/Approdi n.6/7, primavera 1995), quella dei Koncealed Konceit (più o meno: "dissimulata ricercatezza di stile"), controversa ethno-technocore band di Sydney, è senz'altro la più "aliena" dal nostro punto di vista, perché opera in un continente ancora poco conosciuto, l'Oceania, facendo riferimento a culti e culture che agli europei risultano oscuri e incomprensibili. Raimondo Cortese, un mail-artista italo-australiano, ci ha spedito poche copie dei loro due CD autoprodotti ("T.O.D.S.E.", 1992 e "Manlike Coconut", 1994), praticamente introvabili, unitamente alle fotocopie di due articoli usciti su due delle più importanti riviste underground australiane ("Issue" e "Flick Ov De Switch"), di cui pubblichiamo alcuni estratti tradotti. Sempre tramite Cortese, siamo riusciti a intervistare al telefono Peter Bropho, tastierista e selecta del gruppo. Peter ci ha fatto ascoltare al telefono (!) un'anticipazione del nuovo CD, "B.C. - Before [They] Cook [Me]" (il primo ad uscire per un'indie, col nome Luther Blissett). Il pezzo che abbiamo sentito si intitola "Alan Says (De Fish Can't Be Bored)". Ricordiamo che in tutto il mondo, Italia compresa, esistono altre bands musicali che usano il nome collettivo.

 


 

Da ISSUE - Too Conscious of a Million (Y)Ears #9, South Melbourne, gennaio 1993:

KONCEALED KONCEIT: A PIECE OF TOTALITY

by A.C. Haddon

 

"No flower like that flower, which knew itself
in the garden, and fought the knife - lost

A. Ginsberg, "Kaddish", 1958

 

[...] Ho avuto fortuna: ho trovato in biblioteca un libro dell'antropologo Peter Worsley, "The Trumpet Shall Sound" (Mc Gibbon & Kee, London 1961) sui culti millenaristici del Pacifico nel XX secolo. Qualche giorno dopo, il mio amico Ray Cortese della rivista ARC (174 Montague St., South Melbourne, Victoria 3205) mi ha portato un vecchio numero del "Pacific Islands Monthly", dove c'era un articolo sul Cargo Cult. Dopo aver letto questi testi sono riuscito a cogliere il senso dei nomi e dell'iconografia dei tatuatissimi Koncealed Konceit. Il loro progetto musicale e politico è ambizioso e interessante: il loro album autoprodotto (e distribuito tra mille difficoltà), "Tree Ov De Southern Emisphere", trabocca di riferimenti a culti millenaristici e "comunisti" come il Naked Cult di Espiritu Santu, come il celebre Cargo Cult o come il movimento Marching Rule delle Salomone, a suo tempo ribattezzato "Marxian Rule" dai colonialisti, perché creduto frutto di un'agitazione comunista clandestina. Marching Rule è anche lo pseudonimo del chitarrista.

La band è sfrenatamente multirazziale, comprende un mezzo aborigeno di Sydney, due mezzi papua e un moriori 100% nativo delle Three King Islands! A quanto dicono, dopo essersi conosciuti in Australia, "nel pieno centro della periferia dell'impero", hanno avviato questo progetto radicale. È proprio la loro origine multipla a permettere ai KK di scavalcare tutti gli steccati culturali, evitando di essere confusi con tanti apatici nativisti che rimpiangono l'"antica fierezza indigena"; d'altro canto, la loro musica è talmente hi-tech e complicata da non avere nulla a che fare con la solita world music assemblata alla bell'e meglio e basata su contaminazioni superficiali [...] Insomma, chi sono e cosa vogliono dimostrare i KK, con tutti quei richiami alle prime e acerbe forme di resistenza al colonialismo francese, inglese e americano?

La risposta è scritta a chiare lettere nel booklet del CD: "Ogni angolo di questo continente ha sviluppato originali pratiche di resistenza all'imperialismo, tramite l'introduzione di nuovi contenuti in antiche forme e credenze. Il nativismo è una frottola interessata che l'Ordine ha raccontato per troppo tempo ai nostri popoli; in realtà le dozzine di insurrezioni che, a modo loro, salutarono l'avanzata del dominio europeo in Oceania derivarono da una scelta ben diversa: da un certo punto in avanti, i popoli conquistati rifiutarono di insistere sui valori alla base del modo di vita autoctono, e si guardarono bene dal sognare il ritorno a quel modo. Il Cargo Cult è uno degli esempi più luminosi di come i padri dei nostri padri non volessero scacciarei bianchi per restaurare o per perpetuare il passato, ma per impadronirsi dei nuovi beni, delle nuove tecniche e delle nuove conoscenze. La concreta inversione del presente era nel futuro: gli antenati dovevano ritornare, ma per costruire un nuovo futuro che vedesse i papuasi e tutti gli altri popoli indigeni uguali ai bianchi. Lo spirito che dobbiamo recuperare e rendere attuale sta nel comune sostrato di tutti quei culti e movimenti, diversissimi tra loro eppure uniti dall'intuizione che l'arrivo dei bianchi aveva cambiato tutto. Dobbiamo farla finita con la lamentazione impotente, impadronirci delle tecnologie [...]"

"T.O.D.S.E." è un'opera difficile e disturbante, cerca di rappresentare tutte le altre facce dell'Oceania da gran turismo, avvalendosi di lyrics davvero sconvolgenti (soprattutto "Piss Off Totality", "Non-self-governin", "Another Useless Skyglobe" e "The Most Lasting Impression"); non sorprende che nemmeno le Indies abbiano voluto arrischiarsi a maneggiare una materia così rovente [...] Il testo di "The Most Lasting Impression" descrive in maniera iperrealistica il pestaggio nazista subito a Camberra nel 1991 dal bassista, Antwan Rockamora: "I clenched my fist, then rammed it hard / into the nazi's belly./The scumbag doubled up / must be aboutta vomit / then his steel toe-capped boot / thudded into my groin. / So I let out a gurgling scream / & a fountain of puke/exploded from my mouth" ("Strinsi il pugno e lo affondai con forza/nella pancia del nazi./Il feccioso si piegò in due/credevo stesse per vomitare / poi la punta d'acciaio del suo stivale / si abbatté sul mio inguine./ Così emisi uno strillo gorgogliante / mentre una fontana di vomito / mi esplodeva fuori dalla bocca) [...]

 


 

Da: "Flick Ov De Switch" #4, Sydney, agosto 1994:

THE KONCEIT IS NO LONGER KONCEALED!

Luther Blissett in concert at Fillmore South, St.Andrew, July 16th

 

by Max Simoniac

Mio Dio, quanto brillano le stelle questa notte!

I Koncealed Konceit iniziarono due anni fa con un demo dal suono simile a certi gruppi crossover, ma da allora hanno allargato le loro influenze, prodotto e inciso in proprio due CD, cambiato il nome in Luther Blissett (?), rivoluzionato la line-up con l'ingresso di un batterista-percussionista, e sono ora un semplice, umido, nero trionfo sessuale, come mai si era visto prima.

Subito dopo l'intro registrata di "Walkabout Tree" (da "Tree Ov De Southern Emisphere"), i Luther Blissett arrivano sul palco e si lanciano direttamente nei ritmi martellanti di "Non-self-governing", il cui incisivo ritornello suona come una chiara chiamata alle armi. I ragazzi orgogliosi delle prime file già cantano molto energicamente, lanciandosi l'uno contro l'altro in un intenzionale abbandono.

La stupenda ballad "folkeggiante" "Another Useless Skyglobe" ci innaffia di scintillanti melodie, con la chitarra di Marching Rule a disegnare circoli infiniti sospesi a mezz'aria. Il batterista Old Tutuma Tjapanjati, un Keith Moon aborigeno reincarnato, aggiunge backing vocals ai furbi e sicuri bisbigli di Mari, e quasi le ruba la scena col suo enorme cappello e l'affascinante sorriso. Ma il fascino dei Luther Blissett risiede principalmente in Marching Rule, che con la chitarra eleva il gruppo al di sopra di ogni accusa di scarso impegno rivolta da sedicenti "puristi" (accuse derivate dal massiccio uso del sampler di Peter Bropho), tale è la sua ferocia. "Piss Off Totality", il singolo del '92, è un'inarrestabile cascata di effetti chitarristici e rullare di tamburi.

I LB producono il loro inconfondibile suono con estrema facilità, senza perdere mai di vista il raffinato lavoro di coordinamento di Marching Rule, con un'arroganza che non si vedeva da tempo. "Vailala Kavakava" si sorregge facilmente sulla sua bellezza ambigua. Le parole di Mari, seducentemente inarrivabili poi di colpo accessibili, danno inizio al primo dei pezzi forti del set, la tuoneggiante "The Most Lasting Impression", cantata dal bassista Antwan Rockamora. L'introduzione di chitarra distorta, presa in prestito da "Ocean Shore" dei Celibate Rifles, ci porta dritti in uno stato di semi-incoscienza. "Walkabout Tree" è il primo dei tre classici finali, un filo di ragnatela dorata, ingannevole e volutamente ingenua, che gradualmente si trasforma in un orecchiabile roots-reggae di epica statura. Le parole si trasformano in "Don't Need To Need!", mentre Mari mostra la schiena al pubblico (metà composto da eccitatissimi fans, metà da esterrefatti giornalisti). Questa donna è una calamita.

"The Idiot Bastard Daddy" (da "Manlike Coconut") non trae molto beneficio dalla nuova versione in cui viene eseguita, ma rimane assolutamente incantevole. Una melodia sublime, seducenti parti vocali e sottili strati di chitarra vengono puntellati dal preciso basso di Antwan. Forse, se si esaminassero a tavolino le armonie, la rampante, violenta, (inespressa?) sessualità che sta dietro il verso chiave ("I'll always be your slave / 'til I'm buried in my grave / Oh, white boss, display your dick and bring it to me / Bring your sweet lovin' into your domain / Bring it on Homeland to me"*]) e l'atmosfera vagamente alla Dissidenten, si potrebbe considerare questa fine di set come una copia di cose già ascoltate. Se siete totalmente privi di immaginazione, allora è proprio così.

Viene lasciato alla sicurezza e all'intensità di "Drama of Orokolo" il compito di portare il set al meritato apice. "As dead as doornail / I'm just a downstream dopefiend / I'm a double-locked draftee / I'll be the filemot victim / followed by the foxhounds"**, canta Mari mentre le basi di Peter Bropho e le percussioni di Old Tutuma rombano e tuonano alle sue spalle. Ciò come preludio a 10 minuti di esplosione di psichedelica, strumentale, stroboscopica tensione nervosa. ESATTAMENTE ORA tutto il fottuto parlare che si fa di questa band negli uffici dei commissariati trova la sua giustificazione. Oh, mio Dio! I Luther Blissett sono arrivati.

* "Sarò sempre la tua schiava / finché non sarò morta e sepolta / padrone bianco, tira fuori il tuo cazzo e portamelo / porta il tuo dolce amore nel tuo reame / portalo in patria da me".

** "morta stecchita /sono solo una tossicomane che discende la corrente / sono una coscritta chiusa a chiave / sarò la vittima color foglia secca / inseguita dai cani".

 


INTERVISTA TELEFONICA A PETER BROPHO, SELECTER DEI LUTHER BLISSETT

(EX-KONCEALED KONCEIT)

 

LAURA: Come avete aderito al progetto di multiple name Luther Blissett? Non vi danneggia in qualche modo che esistano altre bands che si chiamano come voi?

PETER: Onestamente, non me ne frega un cazzo. È davvero difficile scambiarci per altre persone, ci si riconosce lontano un miglio. Noi abbiamo addosso questa parte del mondo, tutta questa parte del mondo, tutte le sue razze e i suoi paesaggi, e non sto parlando solo dei miei tattoos. Come Koncealed Konceit abbiamo avuto dei problemi, sai, perché avevamo un'identità multipla, non eravamo etno-orientati. Quando Antwan ha ricevuto, non so neppure da chi, il "Luther Blissett Manifesto", abbiamo capito che era una buona occasione. Capisci, potevamo alzarci ancora più al di sopra del problema, sottolineare che non eravamo né per le radici né per lo sradicamento. Se poi ci chiamiamo come mille altre persone e progetti ai quattro angoli della terra, bene, questo non è perdersi, è solo essere diversi in modo diverso, diversi anche da noi stessi, addirittura diversi dalla diversità. Non siamo a Manhattan o in qualche altro posto sofisticato pieno di finti radicali, non ci interessa essere l'immagine politicamente corretta del melting pot né schierarci con una precisa cultura etnica... Siamo in posizione privilegiata per capire che tutte le culture sono precarie. Non so se ho risposto alla tua domanda...

LAURA: Ehm...direi di sì. In pratica, che tipo di rapporti avete con le comunità e le tradizioni aborigene?

PETER: Uhm, per un'europea è facile dire "gli aborigeni" o "l'Oceania", lo capisco...Ma solo io vengo dall'Australia, solo io ho dovuto ribadire la mia diversità rispetto a queste tradizioni, le..."mie" tradizioni. Antwan viene da Auckland, ed è nato in un posto stranissimo a nord della Nuova Zelanda. Sono quasi 3000 km. da dove sono nato io, capisci? Mari e Marching Rule sono figli o nipoti di papuani, sono diversi rispetto a tradizioni a loro volta molto diverse dalle mie. Diciamo che Luther Blissett è all'incrocio di tante culture, tutte sconfitte e snaturate, e questo ci costringe a crearne una nuova. Questo ti dà una certa libertà, se rinunci ad ogni vecchia lamentela sulla perdita di identità. Apparentemente, sto concedendo qualcosa alla mentalità colonialista, ma in realtà cerco di sfuggire alla sua stretta. Voglio che i discendenti dei colonizzati fuggano o si ribellino in un modo che non abbia nulla a che fare col nativismo.

LAURA: Cosa significa per voi suonare in una band così "eccentrica" rispetto all'asse del music business mondiale?

PETER: Noi, ripeto, vogliamo creare una nuova cultura. Tutti i discorsi che ho sentito in questi anni sulla world music...Bene, sono tutti discorsi eurocentrici e stupidi. A sentire quei bianchi col culo di pietra, sembra che le diverse culture possano incontrarsi solo facendosi guerra o facendo una jam-session, ma i veri problemi non verranno certo risolti dall'incontro di un campionatore con un bouzhuki. Forse da quello di un campionatore con un bazooka! Dobbiamo capire cosa c'è dietro i discorsi sull'"incontro delle culture". Possiamo stare insieme per essere comandati e controllati meglio, oppure per concordare una ribellione che non escluda nessuno di quanti ne hanno bisogno. È tutto qui.

LAURA: Parliamo della vostra musica, adesso. È inevitabile che al mio orecchio suoni strana. "Manlike Coconut" è ancora più strano di "T.O.D.S.E.", ma non saprei spiegare il perché...

PETER: Prendiamo per esempio l'ultimo pezzo dell'album, "Vailala Kavakava"... È ispirato a un movimento mistico papuano degli anni '20. Non posso spiegartelo al telefono, comunque si trattava di uno stato di agitazione violenta, una trance di massa con fenomeni di ventriloquismo e forse anche di telecinesi... Ho costruito col sampler una base di diversi cori tribali della Melanesia, rielaborati e tagliati in vari modi. Antwan suona il basso, un riff lunghissimo in 9/8, che durante i tre minuti del pezzo si ripete solo nove volte, così uno crede di sentire un normale 4/4 poi arriva la battuta che lo disorienta... Marching Rule invece tiene i 4/4, così dopo i primi 20 secondi i riffs si divaricano, si apre una specie di voragine. A quel punto Mari comincia a cantare la frase "Iki pekakire", che in motuano significa più o meno "Il ventre pensa". Mari canta come se fosse in preda al vailala, urla con la pancia, frammenta la frase, va su e giù con la voce, soprattutto dal vivo è impressionante. Nel mezzo del casino, cambia frase e canta "Head-he-go-round": il ventre pensa, e la testa gira. Non c'è nient'altro di simile in giro.

LAURA: Uh, su questo non c'è dubbio. Un'ultima domanda: cosa vuol dire "Alan dice che il pesce non può annoiarsi"? In italiano suona come qualcosa di sessuale...

PETER: [ride] Niente del genere. Ho scritto io la title-track del nuovo CD, e mi riferivo ai diversi modi di intendere e attraversare il territorio nelle culture aborigene e in quella europea...Un mio amico di Sydney aveva rimediato un'enorme bottiglia verde, identica a quella che c'è nella copertina di "Ummagumma" dei Pink Floyd. Voleva metterci dei pesciolini rossi ma la sua coinquilina, Robin, che è molto animalista, si è opposta con tutte le sue forze. Robin ha detto ad Alan: "Tu ti annoieresti a morte se ti chiudessero in uno spazio così limitato, e senza ricambio d'acqua!", e Alan ha risposto: "Ma l'acqua giela cambierò io, e poi il pesce non può annoiarsi!". È un po' come gli europei hanno trattato gli indigeni di tutte le terre colonizzate: li hanno messi dentro enormi bottiglie verdi, perché non li consideravano umani. Alla fine, tutto il pianeta è diventato un'enorme bottiglia verde.

 

Ringraziamo Laura di Radio K Centrale (BO) per essersi prestata, tra mille interferenze e disturbi in linea, a decifrare l'inglese bofonchiato e gutturale di Peter.