TEATRO

La rivincita delle macchine desideranti

Per presentare questa sezione (in gran parte documenti e prese di posizione del Teatro Situazionautico Luther Blissett di Bologna), niente di meglio della scheda introduttiva all'Attacco Psichico a Leo De Berardinis, svoltosi la notte tra l'8 e il 9 novembre 1995 al Teatro Occupato di via Irnerio (Bologna) e trasmesso in diretta durante Radio Blissett - Magazine settimanale di guerra psichica (96.3 e 107.05 Mhz):

Nome: Leo

Cognome: "The Bore"-ardinis

Età: 47

Dati anagrafici: Santificato dai media locali e nazionali, eroe di certa "sinistra" da assessorato, da due anni è direttore del festival di Santarcangelo dei Teatri e, a Bologna, del cosiddetto Teatro di Leo. Propugnatore di un'estetica idealistica e restauratrice riassunta nella frase "Riapriamo il pianoforte che John Cage aveva chiuso". Spacciatore di "cultura alta" e di Arte con la "A" maiuscola, è - assieme alla sua cerchia di critici e di amici degli amici - tra i responsabili dell'autoghettizzazione consolatoria e del per niente splendido isolamento del teatro di ricerca italiano, ormai putrido stagno nel quale, in un delirio di ingiustificato autocompiacimento, sguazzano solo le rane e i rospi del post-Sessantotto. Contestato da alcuni giovani gruppi teatrali - e dall'onnipresunto Luther Blissett - durante l'ultima edizione di Santarcangelo, rispose dicendo che dei giovani "non gliene fregava niente" perché "la loro qualità artistica era sotto zero". Recentemente ha invece annunciato un "censimento" dei giovani gruppi teatrali bolognesi. Tre settimane fa, al Teatro di Leo, ha fatto rimuovere una bacheca perché Luther Blissett aveva preso l'importuna abitudine di applicarvi dei Blissett-stickers.

 

Sul Teatro Situazionautico Luther Blissett, cfr. i testi pubblicati sui numeri 0, 1/2 e 3 di Luther Blissett - Rivista mondiale di Guerra Psichica, Grafton 9 Edizioni.

 


 

Il volantino che segue è stato distribuito sabato 8 luglio 1995 al festival "Santarcangelo dei teatri", e vuole essere una risposta alle recenti prese di posizione di Leo de Berardinis sul teatro, sull'arte e sull'artista. Saluther.

 

URGENTE...URGENTE...URGENTE...

Nel film A Day at the Races (1937) Harpo Marx demolisce un pianoforte. La Metro Goldwyn Mayer lo fa ricostruire, e mette in galera i Marx in nome del "ritorno all'ordine". Vent'anni dopo, Jerry Lee Lewis carica a tutta pressione lo stesso piano, spingendolo alla ricerca di estremi vertiginosi. Ma Elvis si rivela un infiltrato della polizia, e la sua delazione riconsegna le hit-parades alle forze dell'ordine. Su quella tastiera si è combattuta una incessante guerriglia contro la cultura alta, per fuggire dal carcere dell'arte. Roll over Beethoven! La sera in cui John Cage chiuse il pianoforte forse Harpo Marx e Jerry Lee Lewis, ormai caricature di se stessi, sorrisero ricordando il tempo della lotta, e si sentirono vendicati.

Demolish Serious Culture.

C'è un modo di lottare contro l'annientamento che lo costringe a ricominciare sempre daccapo. Ricomincia, di fatto, ma anche la guerra. Ciò che più conta è che il livello di totalità del conflitto è sempre più alto. È questo il muoversi reale. Difatti, Cage fu a sua volta contestato da Fluxus. Poi venne il Punk. E infine, LUTHER BLISSETT.

Fluxus e i situazionisti, trent'anni fa, furono i due volti complementari del golem antiartistico. Il punk adottò poi le medesime strategie anti-arte del gruppo americano "Black Mask", anello di congiunzione tra le correnti radicali dei Sixties e la "nuova ondata". Dopo la Techno, che ha ridistrutto il piano e ne ha donato i pezzi a chiunque passasse, tutto è finalmente chiaro: chiunque voglia far tornare maiuscola la "a" di arte è un nemico! Leo "The Bore" Ardinis dice che oggi il pianoforte di Cage va riaperto. La reazione avanza, se ne sente il tanfo. Non a caso la Biennale di Venezia è curata da uno come Jean Clair, un restauratore scoreggione. Già. Sapete cosa direbbe Cage a uno come "The Bore" Ardinis? "Hai un magnifico cervello, ma dovresti buttarlo via!!!" E invece, probabilmente se lo terrà, e lo metterà al servizio di un "Congresso di Vienna" della cultura.

 

LUTHER BLISSETT, Gallia Cisalpina, luglio 1995

 


SANTARCANGELO '95

LA GLORIOSA AURORA DI UNA MACCHINA DA GUERRA

Sant'Arcangelo: quello che era nato come un festival per i gruppi teatrali emergenti, è divenuto con gli anni lo specchio della situazione stagnante del teatro di ricerca in Italia. I medesimi gruppi - non più di una quindicina - ricorrono nei festival e nei cartelloni teatrali da oltre quindici anni senza che ci sia alcun ricambio e senza alcun interesse da parte dei gestori a valutare ciò che si muove nelle nuove generazioni. Con l'affidamento della gestione a Leo De Berardinis questa tendenza non ha fatto che estremizzarsi, accompagnandosi ad un'opera di restaurazione sul piano ideologico. Quest'operazione è stata condotta, oltre che da Leo e dalla sua cerchia di accoliti teatranti, da un'area accademica che ha le sue punte in Meldolesi, Taviani e tromboni vari e dalla servizievole e pedissequa risonanza garantita dal giornalismo "di sinistra".

S'è iniziato nell'edizione '94 con l'affermare che lo scopo del festival era "celebrare la generazione emersa negli anni Sessanta" (cioè i quarantenni-cinquantenni). L'edizione di quest'anno esordiva invece con un articolo di Leo intitolato "Riaprire il pianoforte di Cage". Ci si riferiva ad un concerto di John Cage durante il quale questi si limitò a sedersi davanti al piano e a chiudere il coperchio della tastiera; quindi, laddove Cage aveva riassunto tutte le conseguenze delle rivoluzioni teatrali e musicali del Novecento, facenti piazza pulita dell'Arte, del "principio estetico", della concezione idealistica che vedeva l'opera d'arte come qualcosa di trascendente il dato materiale, Leo proponeva di recuperare quel principio, ricollocare l'Arte nell'iperuranio e l'Artista sul piedestallo: questo, appunto, il significato di "riaprire il pianoforte di Cage".

Un'operazione, dunque, nettamente controrivoluzionaria e in perfetta sintonia con quanto sta avvenendo in tutti i settori della cultura: a livello filosofico si sta infatti disputando sulla necessità o meno di "ripartire da Croce", ripristinare "l'autonomia dell'opera d'arte", il principio del "bello"; in nome della "qualità artistica" alla Biennale di Venezia Jean Clair chiude gli spazi per i giovani espositori; nel mondo della musica classica Muti e Pavarotti propongono di chiudere teatri per "valorizzare quelli di consolidata tradizione"; infine, per fare un esempio che mi coinvolge personalmente, l'Emilia-Romagna Teatro decide di chiudere il Teatro S. Geminiano di Modena, uno dei pochissimi spazi aperti alle realtà emergenti, per investire miliardi solo nei progetti dei Grandi Nomi. Tutti questi elementi, considerati nell'insieme, formulano un vero e proprio progetto reazionario, purissimamente di Destra, rispetto al quale il problema non è l'essere d'accordo o meno, ma combatterlo, impedirne concretamente la realizzazione e con ogni mezzo.

Al di là di questo incancrenito apparato di stato che è il teatro di ricerca ufficiale, esiste però tutta una situazione molteplice e vitale tra i giovani teatranti, i quali portano avanti i propri percorsi nonostante l'assoluta inaccessibilità di spazi per provare e per realizzare messinscena. Questa realtà è fatta di gruppi, collettività attoriali quasi sempre intercomunicanti tra loro; non è imperniata su figure di artisti individuali, ma su concatenamenti, cioè su campi di relazione che effettuano una comunità spontanea all'interno della quale percorsi di ricerca, tecniche, idee e progetti circolano in maniera orizzontale. Questa comunità spontanea si costituisce secondo una modalità rizomatica, ovvero un insieme di linee che si incrociano e si connettono in maniera variabile e molteplice, senza un centro di riferimento stabile. Questa modalità si oppone a quella di tipo arborescente caratteristica del teatro ufficiale e costituita da un tronco centrale - l'Artista, il Guru oppure il Teatro Stabile - da cui tutto si diparte. Il problema di questo rizoma è come esso possa organizzarsi, valorizzare le proprie potenzialità, prendere coscienza di sé stesso e diventare così una macchina da guerra, ovvero una potenza capace di creare delle linee di fuga, delle forze, dei concatenamenti che si sottraggano all'apparato di stato e, al contempo, sottraggano spazio ad esso. Capacità di effettuare una deterritorializzazione: in rapporto a quella territorializzazione costituita dagli enunciati ideologici sull'Arte, sulla privatizzazione ed effettiva occupazione dei cartelloni e degli spazi da parte di un unico racket teatrante-ministeriale-accademico, in rapporto a quella territorializzazione tesa a fissare i rapporti di forza esistenti e a garantirne l'eterna ridondanza.
Santarcangelo '95 è stato il primo atto, il momento aurorale di un rizoma che si metamorfosa in macchina da guerra.

Sei gruppi facenti parte del rizoma - principalmente dell'Emilia - decidono di "invadere" con azioni sceniche le strade di Sant'Arcangelo in contemporanea con il festival. Nonostante le consuete diffidenze e defezioni, la gravità della situazione attuale ha fatto sì che si superasse una certa fisiologica inerzia. Cito dunque due passaggi del volantino/comunicato stampa: "Anziché un'Arte con l'"A" maiuscola, solo da contemplare, occorrerebbe parlare di arti che circolino in modo orizzontale e possano essere non solo fruite ma anche agite da tutti"; "la nostra critica non è rivolta unicamente al Festival di Santarcangelo: l'abbiamo scelto in quanto esso si è eletto ad emblema e rappresentanza di ciò che è ricerca teatrale in Italia".

Nel pomeriggio di sabato 9 luglio Leo, Meldolesi e compagnia erano riuniti in un dibattito sul tema: "Teatro e collettività", cioè erano come al solito riuniti tra di loro e a ripetersi e sbrodolarsi addosso le proprie certezze. Il sottoscritto, insieme alle compagne del Teatro Situazionautico "Luther Blissett" (la collettività che ha promosso tutta l'iniziativa), ha fatto irruzione nel convivio distribuendo il volantino (titolo: "Basta con la museificazione!") da cui ho citato sopra. Si è inoltre associato lo stesso Luther Blissett che ha distribuito un volantino a fumetti di duro attacco a Leo, ribattezzato per l'occasione

"The Bore" Ardinis (Titolo: "L'Arte è la continuazione della morte con altri mezzi!"). Io sono quindi intervenuto al microfono attaccando Leo e le cariatidi presenti. The Bore ha risposto ribadendo l'importanza dell'Arte con la "a" maiuscola ("A me piacciono Mozart e Piero della Francesca, che c'è di male?") e affermando che tra i giovani teatranti il livello di qualità è sottozero. Io ho replicato a conclusione del dibattito che non potevano essere Lorsignori a stabilire il livello di qualità altrui, ma eventualmente il pubblico; ho infine annunciato le azioni che si sarebbero svolte quella sera stessa: "Chi vorrà vedere dell'Arte, non so se ne troverà; chi invece è interessato a vedere attori capaci di creare delle intensità, delle energie, dei concatenamenti tra comunità attoriale e pubblico, forse capiterà nel posto giusto. Noi non sappiamo se siamo in grado di aprire il pianoforte di Cage, siamo senz'altro capaci di tagliarne dei pezzettini e distribuirli". Gli eventi della serata hanno poi dato conferma a queste parole ben oltre le più rosee aspettative.

All'arrivo avevamo trovato un paese dove un certo livello di comunità riscontrabile negli anni precedenti era scomparso, niente più feste in strada o campeggi liberi, ma solo flussi di pubblico pagante da uno spettacolo all'altro. Le nostre azioni hanno fatto esplodere tutto questo, hanno liberato lo spazio dall'ingessatura, non tanto grazie all'enorme successo riscontrato dalle azioni in sé stesse, quanto grazie alle intensità, al grado di coinvolgimento del pubblico, laddove non importava l'oggetto artistico in quanto tale, ma il concatenamento, tutta l'energia in divenire. Teatro e collettività: l'evento da noi prodotto non stava in nessuno dei due termini, ma nella loro congiunzione, nella "e"; il concatenamento non è infatti un soggetto che si relaziona ad un altro ma la relazione in quanto tale, l'intreccio, il campo di intensità, il vento che fluisce e diviene in mezzo ai soggetti. Le azioni sceniche che abbiamo eseguito non possono dunque essere raccontate, poiché ciò significherebbe separare l'elemento artistico-formale dal concatenamento, da quell'evento dotato di una consistenza e di un'atmosfera precise ma non individuabile o delimitabile come un soggetto o un oggetto singolo; percepire il teatro significa percezione allucinatoria, poiché senza oggetto, percezione dell'insieme delle connessioni, dei concatenamenti e delle potenzialità d'interconcatenamento. All'enunciato che afferma che un'opera d'arte È qualcosa occorre sostituire "l'opera d'arte E qualcosa". La connessione, il concatenamento si sottrae all'ontologia, al principio estetico, al "giudizio di gusto", al giudizio di Dio (...come diceva qualcuno).

L'energia di concatenamento, ad azioni sceniche concluse, si è convogliata verso una rutilante festa spontanea in piazza con balli e canti protrattisi fino a tarda notte; ad un certo punto i carabinieri hanno tentato di reprimere il tutto, dovendo però desistere dinnanzi alla potenza gioiosa ed affermativa della comunità spontanea che avevano di fronte, di quel flusso di desiderio liberato da e attraverso i corpi.

Il tentativo da parte del racket culturale di occultare, rimuovere quanto è avvenuto risulta a questo punto penoso: A) la patetica immagine di Meldolesi ed altri seduti al bar senza mai sporgersi a guardare, mentre a pochi metri c'è l'Apocalisse, centinaia e centinaia di persone che convergono verso le azioni sceniche e vi interagiscono; B) Il meschino comportamento tenuto dai collaboratori del Manifesto; costoro, ben consapevoli - poiché preinformati via fax - della natura e dei motivi della contestazione, hanno scritto pochi giorni dopo un resoconto che attribuiva l'evento all'organizzazione del festival, lodandone quindi la politica di apertura.

Ma non c'è rancore verso questi falliti, i loro sforzi sono ormai inutili.

C'è chi potrà far finta di niente ancora per un po', ma il rizoma è sempre più potente e sempre più consapevole della propria potenza, la macchina da guerra si è avviata. Purtroppo per la sbirraglia culturale, per i racket dell'ideologia dominante, i tempi stanno per cambiare davvero. Noi volgiamo il nostro sguardo verso l'Apocalisse - "e vidi cielo nuovo e terra nuova; perché il cielo e la terra di prima se n'erano andati" -, loro possono farlo tutt'al più verso Prodi. Morti viventi a cui dobbiamo dare l'ultima spallata, ma senza rancore, con giocondità, in contrasto con il loro cupo pessimismo, il loro risentimento da ex-sessantottini, il loro essere vecchi (indipendentemente dall'età anagrafica). Le ideologie sono tramontate: il qualunquismo, il culto dell'individuo, il riflusso verso l'intimo e il privato sono ormai carcasse senza vita. Un nuovo tipo di rivoluzione sta per diventare possibile.

 

EXCURSUS SULLA MACCHINA DA GUERRA

 

In merito al concetto di "macchina da guerra", ritengo siano opportune alcune chiarificazioni. Parlare di comunità spontanea, di forza gioiosa e affermativa, non esclude forse il principio di negazione, il bisogno d'avere qualcuno a cui contrapporsi, non estromette di fatto la guerra stessa? Ebbene, senz'altro. Ma allora dirò di più: l'apparato di stato prevede e necessita di macchine da guerra. L'opera di territorializzazione in termini di leggi di Stato, di enunciati ideologici, di proprietà privata che effettua l'apparato di stato necessita dopo un certo tempo, invero assai breve, di scomporsi - giacché incancrenita - per potersi poi ricomporre: una riterritorializzazione che non trasforma la natura dei rapporti statuali e proprietari, ma semplicemente li sposta, dà loro una nuova e più fresca collocazione di confine, in seguito agli scompigli, alle linee di fuga o deterritorializzazione creati dalle macchine da guerra. In questo è la ragion d'essere delle macchine da guerra oggi più visibili e spettacolari: l'integralismo islamico, le sette religiose, i naziskin. Si tratta di concatenamenti che si pongono ai confini dell'apparato di stato, insorgono dentro di esso, ma effettuano un'azione dal di fuori e verso il fuori. Queste macchine da guerra hanno inoltre una caratteristica: la guerra le riempie totalmente, ne è la ragion d'essere, il tessuto connettivo, il principio di concatenamento; un concatenamento di tipo canceroso, esistere per negare, per avere un nemico che conferisca identità referenziale; un concatenamento di tipo nichilista e quasi sempre suicida, giacché se la guerra è l'unica ragion d'essere e non vi è nulla che si riferisce alla vita in quanto tale, la macchina da guerra o si ingloba nell'apparato di stato oppure va avanti fino alla propria autodistruzione. Nonostante tutto questo, di fronte alla strategia onnipervasiva dell'apparato di stato, non è concepibile una comunità spontanea che non insorga, in un modo o nell'altro, contro chi cerca di bloccarla, non attacchi, non saboti il funzionamento concreto delle strategie di Potere. Occorre dunque realizzare una macchina da guerra priva di guerra. Ma in quale modo?

Le azioni sceniche da noi compiute a Santarcangelo erano state composte estromettendo qualsiasi intento provocatorio, "negativo"; esse dovevano dispiegarsi su un piano puramente poetico, affermativo. Il training degli attori consisteva nel ricercare una remissività reciproca e nei confronti del pubblico, un'estromissione di tutti i rapporti di Potere possibili. Dispiegare all'interno del concatenamento comunitario un flusso di desiderio. Desiderio inteso come pienezza, energia condivisa e priva di un fine che non sia quello di stare dentro il campo di immanenza del desiderio stesso. Possiamo parlare di estasi, perché no? Una percezione estatica dei concatenamenti, dell'evento in quanto tale, dell'energia dionisiaca che connette gli eterogenei, le molteplicità. Ecco dunque che gli attori avevano svolto in realtà un lavoro di costituzione di una macchina desiderante, la quale però all'interno dello spazio normalizzato e museificato del paese, creava una linea di fuga, rompeva il codice assegnato alla piazza, alle strade, ai corpi, effettuava deterritorializzazione, funzionava come macchina da guerra. Pertanto: un piano costituitivo di macchina desiderante e un piano effettuale di macchina da guerra. Ma come mantenere coscienza e strategia di due piani diversi? Come far coesistere un piano puramente affermativo con un piano che prevede la coscienza del Nemico? Occorre un principio di schizofrenia attiva, di capacità di spostare la coscienza con leggerezza da un piano all'altro, senza mai perdere la serenità, la potenza affermativa. Sparare a un fascista respirando di basso ventre. Questo principio si chiama macchina attoriale, ovvero la capacità di muovere la coscienza su piani di consistenza che non si riducono all'Io, ma anzi ne attuano il depensamento; percepire la coscienza come molteplicità, possibilità di concatenamenti verso l'esterno che rendono la psiche materia da plasmare secondo modalità che non si riducono né al razionale né all'istintivo ma che vanno oltre, verso il piano del desiderio fine a sé stesso.

È ovvio che il problema della macchina attoriale è questione che non riguarda unicamente chi fa teatro. È il problema del rapimento estatico, la visione dell'Apocalisse. Apocalisse significa disvelamento, togliere i veli. Togliere i veli e dispiegare le vele. Dispiegare le vele al vento della rivoluzione. Abbandonare gli ormeggi verso un flusso di desiderio. Il nostro veliero è una macchina desiderante che produce eventi, che è essa stessa l'evento, nonché il vento. Il vento che ha cominciato a riempire impetuosamente i nostri polmoni e la nostra estasi in rotta verso "cielo nuovo e terra nuova".

 

RICCARDO PACCOSI

del Teatro Situazionautico "Luther Blissett"

Luglio 1995.