9. Mind invaders: strategie del panico mediatico
V. MESSORI: Insistenza escatologica, fuga dal mondo, appelli esasperati al "cambiamento di vita", alla "conversione", coinvolgimento del corpo [...], contrassegnano quasi tutte le sètte che continuano a espandersi tra gli ex-fedeli delle chiese cristiane "ufficiali". Il fenomeno assume di anno in anno dimensioni sempre più imponenti: esiste una strategia comune della Chiesa per rispondere a questa avanzata?
J. RATZINGER: Ci sono singole iniziative di vescovi e episcopati [...]. Certamente dovremo stabilire una linea di azione comune tra le Conferenze episcopali e i competenti organi della Santa Sede e, nella misura del possibile, con altre grandi comunità ecclesiali. (J. Ratzinger, Rapporto sulla fede, p. 119).
Cinque anni dopo questa dichiarazione, nel 1990, la Conferenza
Episcopale Italiana approva lo statuto del Gris, Gruppo di
Ricerca e Informazione sulle Sette, associazione religiosa,
ma composta in gran parte da laici, che si impegna nella ricerca,
nello studio e soprattutto nella diffusione di informazioni sulle
sette religiose di ogni angolo del globo, attraverso una rivista
trimestrale "Sètte e religioni nel mondo", ma
anche fornendo consulenza diretta a qualunque istituzione ecclesiastica
o statale voglia documentarsi in materia.
La sede del Gris è a Bologna, in via del Monte 5, vale
a dire presso i locali della Curia.
Perché Bologna? Perché non Roma? Perché non
stabilire questo ufficio di supervisione sullo stato del settarismo
direttamente presso la Santa Sede?
I motivi possono essere i più disparati, ma vale la pena
avanzare un'ipotesi a riguardo. La Curia bolognese è una
delle più reazionarie e "integraliste" d'Italia.
Il Cardinale Giacomo Biffi è noto per i suoi attacchi ripetuti
al laicismo e all'edonismo (di cui l'Emilia-Romagna sarebbe una
culla privilegiata), nonché per il suo revisionismo storico
ostentato: non solo attraverso plurime condanne del comunismo
come causa scatenante del nazi-fascismo, ma anche della Rivoluzione
francese (resta famosa la sua rivalutazione dei "martiri"
della Vandea) e del Risorgimento (il momento storico in cui lo
Stato Pontificio ha dovuto cedere il terreno allo stato moderno).
Quella di Biffi è stata la voce isolata che nel 1992 -
quando Giovanni Paolo II ha riabilitato Galileo Galilei e ha chiesto
scusa per come si era comportata l'Inquisizione nei confronti
della scienza - si è alzata contro il mea culpa
della Chiesa, cercando di ridimensionarne le responsabilità
in merito a una delle pagine più oscure e "indifendibili"
della sua storia [1].
La Chiesa bolognese è ricca, ricchissima, e anche i suoi
felsinei aficionados appartengono per la maggior parte
alla media e alta borghesia cittadina. E' abbastanza chiaro quali
possono essere le simpatie politiche di prelati e fedeli bolognesi
all'interno delle fazioni ecclesiastiche. E' una Chiesa che si
è ferrata in lunghi anni di convivenza forzata con le amministrazioni
"rosse". Non a caso proprio Biffi fu nominato presule
di Bologna: a Roma i conti li sanno fare bene. Dove le cose funzionavano,
dove le amministrazioni ricche dell'Emilia-Romagna potevano dare
bella mostra del proprio "saper fare" e riscuotere consensi
illimitati, proprio là era necessario dislocare gli ossi
duri. Gente come Biffi appunto o Tonini. Non certo vescovi populisti
o "democratici", bensì integerrimi difensori
dell'ortodossia ecclesiastica e dottrinale.
La grassa Emilia, regione "rossa", laica, in cui la
Chiesa non gode di quella genuflessione popolare e di quel coinvolgimento
di massa più tipici delle aree povere, era ed è
un terreno di scontro privilegiato, perché nella visione
ecumenica e mondialista della Santa Sede essa rappresenta il Nord
sviluppato, laicista e razionalista; dove la visione della vita
nata con la Rivoluzione francese si è maggiormente radicata
e dove oggi, con la crisi di quei valori, proliferano le nuove
sètte. Per scendere nel dettaglio italiano proprio l'Emilia-Romagna
è al centro dell'area a più alta densità
"settaria", area che infatti include anche Toscana,
Veneto, Lombardia e Piemonte.
Alla luce di queste scelte potrebbe non essere un caso che proprio
Bologna sia stata la culla del Gris e che proprio Biffi si trovi
a coprirne l'operato con la sua ala protettrice. Rimanendo nell'ambito
delle ipotesi, si potrebbe trattare insomma di un decentramento
strategico.
Non sappiamo quanta gente sia coinvolta nell'attività del
Gris e a quale titolo, ma di sicuro sappiamo che questo gruppo
gode di avalli nelle più alte sfere ecclesiastiche, primo
fra tutti quello del Cardinale Prefetto Joseph Ratzinger.
E' molto importante sottolineare che l'attività del Gris
non si limita alla semplice supervisione: il Gris non è
l'occhio di Ratzinger, o meglio, forse è anche questo ma
non solo. L'attività più importante è quella
che riguarda la diffusione delle informazioni raccolte. Questa
non è rivolta soltanto all'uso interno delle gerarchie
ecclesiastiche o al popolo dei cattolici. Certo la rivista del
gruppo circola in certi ambienti, ma i membri del Gris non mancano
occasione di rilasciare interviste alla stampa italiana, partecipano
a trasmissioni televisive, fungono insomma da veri e propri esperti
del settore in ogni contesto comunicativo. Il Gris è un
megafono che negli ultimi anni si è fatto sempre più
sentire ogniqualvolta giornalisti più o meno seri hanno
deciso di trattare il tema "caldo" delle sètte.
Ed è evidente per chiunque legga quotidiani, riviste o
semplicemente ascolti telegiornali e trasmissioni televisive a
tema che l'argomento "sètte" tira parecchio negli
ultimi tempi. Siamo pur sempre alla fine del millennio e un po'
di apocalittismo spicciolo è quello che serve per aumentare
audience e vendite.
A questo si aggiungano santoni asiatici che spargono gas nervino
nelle metropolitane e qualche suicidio collettivo negli Stati
Uniti sotto l'egida delle stelle comete e la salsa mediatica è
servita.
Eppure la visibilità del Gris non si riduce alle comparsate
televisive o alle interviste allarmistiche su qualche rotocalco.
Questa è un'attività indispensabile se si vuole
creare un certo clima, ma tutto sommato non occorre una
documentazione particolare per dare ai giornalisti ciò
che vogliono. E' importante anche indirizzare, consigliare, il
popolo cattolico, porre insomma il "caso" al centro
dell'attenzione ecumenica. E infatti nella stampa specializzata,
o meglio, nella stampa cattolica, il Gris gode di un'ottima considerazione
e di buoni appoggi.
Fin qui ancora niente di particolarmente anomalo. I cattolici
sono liberi di scegliersi gli opinion makers che preferiscono.
Ma quello che si intravede all'orizzonte è la possibilità
di sfruttare il clima d'isteria collettiva per influenzare scelte
giuridiche e politiche. Come disse Goebbels, se si prende una
falsità e la si ripete un milione di volte, diverrà
verità. E' quanto sta accadendo in merito al "pericolo"
sètte.
Nel momento in cui il Vaticano ottiene il massimo spazio politico
da un centinaio d'anni a questa parte, le parole del papa, dei
vescovi e degli opinionisti o sedicenti esperti cattolici acquistano
un peso specifico enorme, anche se non tutti i cattolici la pensano
allo stesso modo o condividono gli stessi timori. Il panico sulla
diffusione delle sètte è inculcato, fomentato e
gestito spettacolarmente. E questo, nella cosiddetta società
post-moderna, è più che sufficiente per indurre
a paradossali provvedimenti "speciali", anche in campo
normativo.
Un esempio che può essere colto in parallelo per capire
il tipo di dinamica che si va instaurando, è quello del
finanziamento pubblico all'istruzione privata (ovvero cattolica).
Dato che la Costituzione non prevede niente del genere, anche
durante i tempi d'oro della Dc il problema reale e atavico della
scuola italiana è sempre stato quello della riorganizzazione
dell'istruzione pubblica (riforma dei programmi, modernizzazione
delle strutture, aggiornamento della didattica, ecc.), ma nessuno,
né laico né cattolico, si è mai sognato di
mettere in discussione il monopolio della scuola pubblica come
scuola di tutti. Anche perché l'art.33 della Costituzione
garantisce già la libertà di insegnamento per i
docenti, di qualunque orientamento etico, politico o religioso
essi siano.
Ma nel 1998-99 Wojtyla ha lanciato l'offensiva per la "parità"
scolastica, scatenando un putiferio mediatico e conseguentemente
politico sproporzionato, al punto che molti cattolici si sono
convinti di aver sempre avuto l'esigenza di togliere i propri
figli dalla scuola pubblica per mandarli a studiare dai preti.
Ovviamente è falso, nella scuola pubblica c'è spazio
per tutti, e, se mai, i cattolici mantengono lo scandaloso privilegio
di avere l'insegnamento della loro religione all'interno dell'orario
scolastico; non hanno proprio alcun motivo di lagnarsi del fantomatico
"laicismo amorale" della scuola pubblica, visto che
quest'ultima continua a pagare una gabella religiosa al papa per
la vecchia storia di Porta Pia. Nonostante questo i politici italiani
del centro-sinistra sono immediatamente scesi a compromessi non
con i partiti cattolici - i quali senza l'intervento del pontefice
non avrebbero mai aperto una querelle di tale portata -
bensì con il papa stesso e con i vescovi, come se si trattasse
di una forza politica tra le tante, con pari dignità, e
non di autorità religiose che esprimono un parere di parte.
Le stesse dinamiche si stanno presentando per il fenomeno delle
sètte.
La stragrande maggioranza della gente non ha mai avuto a che fare
neanche da lontano con una setta religiosa, eppure molti sono
già assolutamente convinti che il settarismo sia una piaga
sociale, e che vada combattuto con mezzi adeguati: oggi un maggior
controllo poliziesco, domani, perché no, una legge d'emergenza,
l'ennesima eccezione costituzionale.
La responsabilità di questo idem sentire non va
certo ascritta soltanto al Gris e agli opinionisti cattolici.
I mass media sono i maggiori responsabili della vulgata moralista
su questo fantomatico "problema". Ma i media inseguono
comunque la notizia per la notizia, preferibilmente scabrosa e
insozzata di luoghi comuni, leggende metropolitane, morbose fobie
paesane. Ed è proprio per questo che possono essere facilmente
usati da chi abbia uno scopo ben definito. Ad un certo
punto la paura della gente porterà a chiedere a gran voce
una soluzione. E qualcuno ha già pronti i suggerimenti
adeguati.
Non è affatto uno scenario fantapolitico; basti pensare
alle dinamiche che hanno portato alla già citata legge
sulla "pedofilia" (un coacervo di ambiguità semantica
ed "eccezione" costituzionale).
Per quanto ci riguarda non si tratta di negare che in Occidente
e anche in Italia una reale proliferazione settaria ci sia stata.
Ma il fenomeno è assolutamente ridotto e comunque, come
si è detto, se di "problema" si vuole parlare
occorre partire dal più vasto fenomeno della crisi culturale
dell'Occidente, dalla chiusura degli spazi politici, dall'alienazione
e dalla debacle dell'intelligenza manifestatasi nei ruggenti
anni Ottanta. Il "problema" dunque resta generale e
ci riconduce alla perdita del senso politico dell'esistenza, alla
cancellazione di un valore laico della vita e della lotta per
migliorare il mondo.
Per venire al dunque, non è possibile passare sopra con
leggerezza al panico collettivo che si sta producendo intorno
al diffondersi delle sètte (neo-cristiane, pagane, pseudo-buddhiste
o quant'altro). Perché si tratta di un altro "segno
dei tempi" che può facilmente trasformarsi in una
delle tappe di quel "nuovo balzo in avanti" di cui Ratzinger
parlava quattordici anni fa.
Un esempio eclatante.
Il 29 aprile 1998 la Direzione centrale Polizia di prevenzione
del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno,
ha notificato alla Commissione Affari Costituzionali della Camera
il rapporto Sètte religiose e nuovi movimenti magici
in Italia.
Nei giorni seguenti i media hanno lanciato la notizia con toni
allarmistici dando enorme risalto all'avvenimento, sostenendo
che i servizi di sicurezza italiani mettevano in guardia contro
un "rischio sette" per il Giubileo, e anche l'Italia
si era finalmente dotata di un rapporto sulle sètte simile
a quelli pubblicati da commissioni parlamentari in Francia e in
Belgio.
In realtà il rapporto non è affatto allarmistico
a meno di non volerlo ad ogni costo leggere come tale. E tuttavia
è significativo che le autorità di polizia abbiano
ritenuto necessario compiere questa panoramica sulle sètte,
in seguito al putiferio che si era ormai creato sull'argomento.
A fronte del crescente allarme sociale, si è quindi ravvisata la necessità di esaminare il fenomeno e verificare la correlata esistenza di un concreto pericolo per l'ordine e la sicurezza o di eventuali altri aspetti d'interesse ai fini di polizia. (introduzione al rapporto, <http://xenu.com-it.net/rapporto/sette.htm>)
Da questo punto di vista la risposta fornita dal Rapporto
è categoricamente negativa: non esiste un reale "pericolo
sètte" in Italia. Secondo le ricerche condotte sul
territorio dalle questure, i nuovi movimenti religiosi raccolgono
circa 78.500 aderenti, mentre i nuovi movimenti magici raggiungerebbero
i 4.600 membri, per un totale quindi di 123.100 individui coinvolti
nel fenomeno.
Praticamente una goccia nell'oceano per un paese di sessanta milioni
di abitanti.
E tuttavia si è voluto leggere quel documento come un allarme,
perché è allarme che si vuole provocare.
Gli stessi redattori del rapporto notificato alla Camera hanno
ritenuto necessario sottolineare la difficoltà incontrata
nel fare il censimento, a causa del clima caotico e pesantemente
influenzato dall'allarmismo dilagante in cui hanno dovuto muoversi.
Fornire dati esatti sulle dimensioni del fenomeno, quantificando le "sette" del tipo in esame presenti in Italia e specificando per ognuna la consistenza degli aderenti, è alquanto difficile, stante l'eterogeneità delle fonti da cui è possibile attingere informazioni, rappresentate dai movimenti stessi, dai loro fuoriusciti, dai mezzi di comunicazione di massa e dagli studiosi della materia. (Rapporto <http://xenu.com-it.net/rapporto/sette.htm>)
Massimo Introvigne, presidente del Centro Studi sulle Nuove Religioni (cattolico, reazionario, ma studioso serio del fenomeno, che si distacca dalla schiera dei ciarlatani fomentatori di panico) commenta:
I sussurri, invece, diventano grida, e anche il nulla può fare rumore quando un rapporto di polizia - indirizzato ad autorità che ne conoscono lo stile, gli scopi e i limiti - è dato in pasto alla stampa e trasformato in notizia da prima pagina. I media - portati, per loro natura, a sottolineare le informazioni più sensazionali - trasformano facilmente le voci in fatti, le insinuazioni in accuse. Per esempio, il 30 aprile 1998, molti quotidiani avevano in prima pagina titoli relativi al "rischio sette per il Giubileo del Duemila" mentre, come si è accennato, il rapporto tende piuttosto a minimizzare questo rischio. Altri quotidiani hanno pubblicato liste di "sette pericolose", riproducendo semplicemente l'indice delle schede contenute nel rapporto, senza menzionare che molte delle schede non segnalano, per il gruppo preso in esame, alcun genere di pericolo. Quasi inevitabilmente i brani del rapporto più inclini a segnalare pericoli veri o presunti - su The Family, le "psicosette" o il "lavaggio del cervello" -, oltre a essere le parti più deboli del testo, sono anche quelle che hanno trovato più facilmente ospitalità sui mezzi di comunicazione. (M. Introvigne, <http://xenu.com-it.net/txt/rap1.htm>)
In sostanza lo studioso cattolico sottolinea come il "pericolo sette" sia un'appendice mediatica che non trova appigli nel Rapporto e che può avere anche conseguenze gravi per la vita sociale e privata di innocue persone. Ma aggiunge anche una notizia illuminante. La grancassa dei media non si sarebbe scatenata occasionalmente, ma tramite il filtro di alcuni parlamentari.
Gravi riserve devono invece essere espresse sui tempi con cui il rapporto è stato messo a disposizione anzitutto di alcuni uomini politici e - di conseguenza - della stampa. I media hanno creato un evento che non c'era, e hanno dato in pasto al pubblico liste di "sette pericolose" facilmente interpretate come liste di proscrizione. Migliaia di cittadini italiani - membri di movimenti a cui il rapporto ha ritenuto di dedicare una scheda, spesso escludendo peraltro qualunque attività di natura criminale o pericolosa - rischiano di trovarsi, precisamente come avviene in Francia e in Belgio, additati al pubblico ludibrio o molestati a vario titolo sul posto di lavoro in quanto "membri di una setta". (Ibidem)
Di ben altro tono è il commento del segretario generale
del Gris, Giuseppe Ferrari, apparso sulla rivista "Jesus",
numero 9, del settembre 1998.
La prima critica che Ferrari muove al rapporto è (ovviamente)
di aver sottostimato numericamente la presenza delle sètte
in Italia. A suo dire i gruppi e i movimenti presenti sul territorio
sarebbero di gran lunga più numerosi. Come è nel
suo stile, Ferrari non fornisce cifre esatte sul numero degli
aderenti a nuove religioni o a sotto-correnti cristiane, ma ci
fa sapere che "c'è addirittura qualche parlamentare
che ha parlato della presenza di ben 13.000 associazioni e di
oltre 12.000.000 di clienti italiani, che fanno riferimento alla
New Age e ai prodotti proposti o veicolati da quell'ambiente".
Verrebbe da ridere, se non fosse che la frase contiene due oscure
e preoccupanti implicazioni. La prima è che tra i gruppi
parlamentari potrebbe esserci già qualcuno a cui "prudono
le mani", che vorrebbe aggiornare il codice penale. La seconda
è che, anche se la cifra fosse realistica (ne dubitiamo),
come si evince dall'enunciazione stessa, è inclusiva di
chiunque abbia avuto contatti anche solo occasionali con centri
medici alternativi, o abbia acquistato per posta un talismano
togli-malocchio, o si sia rivolto a un "consulente spirituale"
non cattolico, o ancora si sia fatto spedire pubblicazioni e gadgets
new age.
Il dettaglio è rivelatore. C'è qualcuno (probabilmente
Ferrari stesso, visto che non riporta né il nome del parlamentare
che avrebbe affermato quanto sopra, né l'occasione in cui
lo avrebbe fatto) che include nell'emergenza sètte
un intero sottobosco culturale dalle forme più disparate
e che vorrebbe portarlo al vaglio dei legislatori.
A parte i limiti, penso che il merito principale del rapporto sia stato quello di avere suscitato un'attenzione e aperto una discussione a livello istituzionale su una tematica come quella delle sètte che indubbiamente ha implicazioni di diverso genere e un'importanza che con il passare del tempo è destinata ad aumentare, visto che attualmente la loro diffusione è in pieno sviluppo (G. Ferrari, Accerchiati dalle sètte, in "Jesus", anno XX, n° 9, settembre 1998, p.10).
Questo è in realtà ciò che Ferrari si
augura e questa è la lettura forzata e distorta che
intende dare del Rapporto, il quale, lo ribadiamo, ha esattamente
l'intento opposto, ovvero quello di dimostrare con i dati e le
statistiche che al momento non c'è alcuna emergenza sètte,
se non nella mente di qualche astuto fanatico [2].
Il punto d'approdo dell'analisi di Ferrari è quanto mai
esplicito:
Sono varie le questioni che un fenomeno di tal genere può porre ai legislatori, alle autorità giudiziarie e di polizia, agli studiosi del settore e alle persone a qualunque titolo interessate.
Tra queste possiamo evidenziare: l'opportunità o meno di ricorrere a leggi particolari per affrontarlo. [...].
Non ha senso opporsi tout-court all'introduzione di nuove leggi, ma è invece fondamentale valutare l'effettivo bisogno di introdurle e in caso affermativo è ancor più importante preoccuparsi di valutare l'equità o meno delle stesse impegnandosi a far sì che siano improntate a un profondo senso di giustizia. (Ibidem, p. 10-12).
Il tono è pacato ed equilibrato, ma il messaggio di
fondo è abbastanza chiaro. Si sta cercando da un lato di
dare per assodato - partendo dalla lettura falsata del Rapporto
- che esiste un "caso", un'emergenza, e dall'altro
di convincere pacatamente i legislatori che presto o tardi dovranno
emanare una legge speciale sulle sètte.
Il fatto che due studiosi del fenomeno delle sètte, abbiano
prodotto interpretazioni così contrastanti del Rapporto,
e in particolare l'allusione di entrambi a un interessamento specifico
da parte di alcuni deputati della Camera, ci porta a una considerazione
ulteriore.
Per usare le parole di Introvigne, "ci si potrebbe chiedere,
naturalmente, perché il rapporto è stato reso pubblico
proprio il 29 aprile 1998, e proprio con certe modalità.
Il problema non riguarda tanto l'attività delle agenzie
di stampa e dei media - le cui accentuazioni sono, in una
certa misura, normali e prevedibili - quanto la decisione,
presa non si sa bene da chi, di trasmettere il rapporto a un certo
numero di deputati"(M. Introvigne, Url cit.)
La risposta che si dà Introvigne stesso, è interessante.
In quei giorni il governo Prodi si apprestava a stipulare un accordo
con l'Unione Buddhista Italiana (Ubi) e con i Testimoni di Geova,
tramite il disegno di legge n. 3947 ("Norme sulla libertà
religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi"),
in corso di discussione proprio mentre il Rapporto è
stato reso pubblico. In sostanza si trattava di riconoscere a
geovani e buddhisti la stessa dignità religiosa delle altre
confessioni (quelle storicamente presenti sul territorio nazionale,
per intenderci).
La rivista ufficiosa dell'Ubi "Quaderni di Buddhismo per
la pratica e il dialogo" dava conto, nel numero di aprile-giugno
1998, di "manovre per sabotare l'intesa (fra governo italiano
e Ubi, N.d.R.) e sovvertire l'UBI", e rilevava come al
centro di tali manovre si trovassero parlamentari della Sinistra
Democratica (cfr. M. Introvigne, Url Cit.).
La tesi (invero un bel po' fantasiosa) dei "Quaderni di Buddhismo"
è che questi parlamentari opererebbero come referenti politici
di una fazione del monachesimo buddhista italiano, ostile all'intesa
per problemi di leadership e primato religioso.
Mettendo in relazione tutti gli elementi raccolti finora noi avanziamo
un altro sospetto. Ovvero che questi misteriosi deputati altri
non siano se non alcuni membri della componente cattolica della
maggioranza, imbeccati dalla fazione fondamentalista anti-sette,
ben radicata in certi ambienti. E del resto non stupirebbe che
a costoro si aggiungessero anche esponenti della Sinistra tradizionalmente
intesa. All'interno di questa infatti non devono essere pochi
quelli che preferiscono i controlli di polizia e le restrizioni
di legge a una radicale affermazione della libertà religiosa.
Purtroppo è difficile trovare conferma alle voci di Palazzo
o inoltrarsi nelle faide interne alle comunità d'ispirazione
buddhista italiane. Quello che ci interessa sottolineare è
che di fatto i nuovi movimenti religiosi sono già
un problema politico. Si tratterà di capire in che modo
i fanatici cattolici e gli alti prelati vaticani possono continuare
a esercitare pressioni in questo senso.
Noi non condividiamo l'ottimismo del cattolico Introvigne. E'
pur vero che forse, per la morfologia culturale di questo paese,
è difficile che "possa davvero nascere in Italia un
movimento anti-sette vero nomine più numeroso ed
efficiente di quello che ha operato fino ad ora". Ma questo
potrebbe non significare nulla. Se l'influenza esercitata sul
piano culturale e politico da questi loschi figuri non verrà
arginata e se sarà loro consentito di continuare a disinformare
e disseminare allarme sociale, pochi o tanti che siano i pasdaran
dell'anti-sette, potrebbero ugualmente influenzare l'attività
legislativa in questo paese e, di conseguenza, le nostre vite.
NOTE
1. La voce di Biffi è l'unico vero contraltare alle
reiterate "scuse" di Wojtyla. Negli ultimi anni il papa,
nell'intento di rifare il make-up alla Chiesa, ha chiesto perdono
(non si sa bene a chi) per le nefandezze del passato compiute
dai rappresentanti di Dio: dall'Inquisizione alla persecuzione
degli ebrei e degli scienziati... Si tratta ovviamente di grandi
ed efficaci operazioni spettacolari, che nascondono anche nella
forma una buona dose di ipocrisia (nella sostanza sappiamo bene
che rifarebbero tutto quanto da capo, se gliene fosse data la
possibilità...). E sono proprio le parole di Biffi a svelare
questa ambiguità formale, nonché gli intenti sottesi
alle Grandi Scuse wojtyliane:
"La Chiesa, proprio come Chiesa, ha dei peccati? No, la Chiesa
considerata nella verità del suo essere non ha peccati,
perché è il 'Cristo totale': il suo 'capo' è
il Figlio di Dio, al quale non si può attribuire niente
di moralmente deplorevole. Però la Chiesa può e
deve far propri i sentimenti di rammarico e di dolore per le trasgressioni
personali dei suoi membri. [...]" (G. Biffi, Christus
hodie - nota pastorale in preparazione al Congresso Eucaristico
Nazionale del 1997 e al Grande Giubileo del 2000, EDB, Bologna
1995, pp. 23-24).
Le colpe sono da attribuire ai singoli membri della Chiesa, ai
fratelli che sbagliano, e quindi non intaccano assolutamente il
corpo ecclesiale, che è sempre perfetto e immacolato. Ma
anche la responsabilità individuale va a sua volta scissa:
"Noi siamo congiunti e apparteniamo al 'Cristo totale' in
quanto siamo santi, non in quanto non lo siamo: le nostre azioni
peccaminose sono azioni entitativamente extraecclesiali. [...]"
(Ibidem, p. 24).
In altre parole, un rappresentante di Dio che "gioca sporco"
è protetto dalla propria santità e non deve temere
di macchiare la Chiesa con le nefandezze messe in pratica, perché
la responsabilità è esclusivamente personale, anche
quando tali azioni sono attuate in conformità al proprio
ruolo ecclesiastico. Conclusione: le scuse papali sono uno specchietto
per le allodole, servono a tappare la bocca ai laici, a liberare
la Chiesa dalle responsabilità del passato e a tranquillizzare
i cattolici. Non c'è alcuna possibilità sostanziale
di revisione del giudizio sull'operato della Chiesa. Biffi almeno
ha il dono della sincerità.
"[Chiedere perdono degli errori ecclesiastici dei secoli
passati] può servire anche a renderci meno antipatici e
a migliorare i nostri rapporti con i rappresentanti della cultura
così detta 'laica', i quali si compiaceranno della nostra
larghezza di spirito, anche se non ricaveranno di solito nessun
incoraggiamento a superare la loro condizione di incredulità.
Non si dovrà però omettere di sottolineare che,
anche quando sono state commesse colpe o errori dai maggiori responsabili
della Chiesa, essa è stata ciononostante in grado di continuare
a generare frutti mirabili di santità, comprovando così
di essere sempre e comunque la sposa di Cristo, santa e immacolata.
Tale sottolineatura appare particolarmente doverosa nei riguardi
del popolo fedele, il quale, non sapendo fare molte distinzioni
teologiche, da queste autoaccuse vedrebbe insidiata la sua serena
adesione al mistero ecclesiale" (Ibidem, p. 25).
2. A proposito della minaccia per l'ordine pubblico che le sètte potrebbero rappresentare, i redattori del Rapporto sono espliciti: "Certo, specialmente nella prospettiva del Giubileo, non può escludersi in via ipotetica l'eventualità che qualche esaltato, inserito in una formazione dell'uno o dell'altro tipo e cosciente che nella circostanza l'Italia assurgerà a palcoscenico e megafono internazionale, decida di commettere un atto eclatante per lanciare un "messaggio" all'intera umanità; ma si tratta di un'incognita che in ricorrenze di tale rilievo è sempre presente, considerando che di mitomani e sconsiderati ne esistono anche, ed in percentuale non minore, all'esterno dei movimenti religiosi" (Rapporto, Url cit.)