9. La Società dell'Acquario
"Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia
e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli
elementi del mondo e non secondo Cristo" (Col 2, 8). Quanto
mai attuali si presentano le parole dell'Apostolo, se le riferiamo
alle diverse forme di esoterismo che dilagano oggi anche presso
alcuni credenti, privi del dovuto senso critico.
Lettera enciclica Fides et ratio
Nel 1985 il giornalista cattolico Vittorio Messori pubblicava
la sua intervista al Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della
Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, conosciuta in
passato anche col nome di "Santa Inquisizione Romana e Universale"
o "Sant'Uffizio".
In quel celebre Rapporto sulla fede, Ratzinger anticipava
di dieci anni molti dei temi e delle linee guida che Wojtyla avrebbe
seguito negli anni Novanta, lasciando ben pochi dubbi su quale
sia stata la vera mente strategica dell'azione pontificia in questa
fine millennio.
Quelle pagine sono una miniera di informazioni di prima mano che
occorre leggere, oggi, alla luce di quanto è accaduto e
accade in Italia. Vi si trovano anche una serie di slogan, o parole
d'ordine interessanti: Ratzinger parla della necessità
per la Chiesa di "un nuovo balzo in avanti", di una
riscoperta dell'"obbedienza alle sue legittime gerarchie",
tracciando un vero e proprio manifesto programmatico e preannunciando
il futuro prossimo.
Nel 1985 il capo della polizia teologica vaticana elencava con
nonchalance tutti i nemici pubblici della Chiesa cattolica: i
teologi della liberazione ("ciò che sembrava 'liberazione'
si rovescia nel suo contrario, mostra nei fatti il suo volto diabolico");
il capitalismo selvaggio come conseguenza della laicizzazione
del mondo e della morale ("il liberalismo economico
si traduce sul piano morale nel suo esatto corrispondente: il
permissivismo"); l'emancipazione femminile fuori e
dentro la Chiesa; e, dulcis in fundo, le sette neo-cristiane,
pagane e orientali.
Per la verità il riferimento alle sette compare nello scorcio
di una risposta più ampia sulla spiritualità nel
mondo d'oggi, ma nel corso dell'intera intervista non mancano
agganci più o meno espliciti a quella che per Ratzinger
sembra essere una contaminazione pericolosa della spiritualità
cristiana.
In effetti è soltanto a partire dai primi anni Novanta
che la Congregazione ha lanciato la sua offensiva in Italia, coinvolgendo
procure e questure nella sua crociata, ma evidentemente i germi
covavano da tempo. Nel Rapporto sulla fede, Ratzinger si
limitava a indicare come rimedio per il diffondersi del settarismo
un consolidamento dell'identità cattolica e dello spirito
comunitario cristiano, che non lasciasse soli gli individui, abbandonandoli
all'abbraccio delle nuove religioni.
Ciò che sembrava spaventarlo di più era il diffondersi
a metà degli anni Ottanta dei culti orientali, ecletticamente
sussunti per supplire alle carenze spirituali della società
moderna ("oggi ci troviamo esposti in modo così insidioso
alle lusinghe di pratiche religiose asiatiche").
Il Prefetto non sbagliava nell'individuare un trend spiritualista
di stampo orientaleggiante, che è andato via via diffondendosi
in varie forme fino alla rinascita New Age degli anni Novanta.
Con la sconfitta dei movimenti operai e studenteschi alla fine
degli anni Settanta, la repressione, le montature processuali,
le incarcerazioni e la cancellazione dei fermenti di rivolta,
un'intera generazione è sbandata senza più colpo
ferire. Il ripiegamento nella sfera privata è stata l'inevitabile
conseguenza delle mazzate prese e delle delusioni politiche. La
lotta di classe è diventata il ricordo di un passato epico
da rispolverare nelle osterie dopo il quindicesimo bicchiere di
vino: gli anni Ottanta sono stati una colossale gara etilica che
ha messo sotto spirito le velleità e le aspirazioni di
vent'anni di rivolta. La cultura diffusa e il semplice senso comune
sono stati precipitati indietro, mentre gli ex-rivoluzionari galleggiavano
in quel limbo decennale, inneggiando all'edonismo, ma dovendo
tragicamente fare i conti con le loro vite, che proseguivano nell'iniquità
rinnovata.
Non potendosi più opporre frontalmente al mondo, qualcuno
pensò bene che almeno lo si poteva evitare, ci si poteva
appartare, in qualche casolare di campagna, ritirarsi sui monti
a occuparsi di sé.
Senza vincoli generazionali le idee cominciano a circolare, si
seguono esempi, intuizioni, si va a leggere o rileggere Siddharta
e ciarlatanerie dello stesso tipo, si va in India, a ricercare
le stesse cazzate da turisti occidentali, ci si lascia affascinare
da religioni antiche, "non dogmatiche", "naturali",
"introspettive" e via dicendo...
Il freakettonismo degli anni Settanta si trasforma piano piano
in una sorta di "vacanza a buon mercato nelle culture altrui",
sempre più patinata, per dimenticare gli orrori della quotidianità
occidentale, ma senza vedere e capire niente di quelli ben più
terribili della quotidianità orientale. L'India, il Nepal,
il Tibet, non sono più i luoghi delle guerre religiose
in grado di spaccare in due il subcontinente; non sono i luoghi
della fame, della miseria endemica, dell'integralismo religioso,
delle caste, ma paesi utopici, letti nei libri, dove è
possibile attingere a una cultura superiore, non materialistica,
naturalistica e dove si va a "cercare se stessi". Se
il mondo non ci vuole possiamo rinunciarci, sederci sulla riva
di un fiume e ascoltare il nostro respiro, cercare di capire le
cose che la nostra limitata mentalità occidentale ci impedisce
di scorgere.
Una cultura giovanile che per un decennio si era impostata sulla
necessità di cambiare il mondo, se per molti lasciava il
posto al rientro nella normalità produttiva e famigliare,
per altri si trasformava nella sublimazione del disagio attraverso
una riscoperta spirituale.
Certo tale riscoperta non poteva confluire nell'alveo clericale
cattolico (se non per chi già proveniva da quell'ambiente
e aveva solo momentaneamente abbracciato il "materialismo
storico"), ma aveva bisogno di qualcosa di diverso, di non
gerarchico e - per farla breve - senza preti.
Se, in generale, la risposta orientalista alla disumanizzazione
del mondo nel sistema capitalistico globale andrà radicandosi
in tutto l'Occidente, portando alla ribalta i testi dei teorici
della New Age degli anni Sessanta, in Italia fasce sempre più
estese della cosiddetta "cultura alternativa" o "controcultura"
subiranno il fascino dell'eclettismo tao-indu-buddhista.
Il culto della Nuova Era, quella dell'Acquario, la promessa di
una rigenerazione interiore, di uno stile di vita organico ai
flussi naturali, ai cicli astronomici e astrologici, non si fa
scrupolo di attingere un po' qua e un po' là dalle religioni
estremo orientali (o da generici saperi antichi e ancestrali),
ad uso e consumo delle frustrazioni occidentali.
A varie riprese il bucolicismo freakettone dilaga tra i brandelli
del "Movimento" e anche in quella fascia generazionale
che, anche solo per una questione anagrafica, avrebbe dovuto raccoglierne
l'eredità. Dall'altra parte vere e proprie sette orientali
e orientaleggianti - importate o self-made - acquistano proseliti
tra i disorientati e i confusi di un'epoca in bilico tra l'abbandono
della politica e (più che il Termidoro) l'Apocalisse psichica.
E' abbastanza naturale che il primo responsabile dell'ortodossa
diffusione della dottrina cattolica si stizzisca: se davvero queste
anime sono in cerca di una ragione per vivere e di una guida spirituale,
perché rivolgersi agli ultimi venuti, quando noi siamo
qui da duemila anni?!
La sfida viene girata alla Chiesa stessa e ai cattolici: si debbono
dare le risposte giuste a questa gente, sconfiggere la concorrenza
e riguadagnare il terreno perduto durante i decenni della contestazione
giovanile.
Se negli anni Settanta-Ottanta i nemici da battere sono stati
i marxisti - sia quelli esterni, sia quelli interni (leggi
teologia della liberazione) - l'ultima battaglia del millennio
deve essere combattuta contro la New Age e il diffondersi di una
spiritualità non cristiana fuori e dentro la Chiesa.
Le preoccupazioni di Ratzinger riguardano infatti anche i propri
"sottoposti". Non sono pochi i cattolici che negli ultimi
anni si sono lasciati affascinare dalla New Age, tentando spericolati
accostamenti tra Cristo e Buddha, tra il misticismo cristiano
e la filosofia orientale, tra le meditazioni dei santi e la psicanalisi.
Visitando in Sudamerica una libreria cattolica, ho notato che là (e non solo là!) i trattati spirituali di un tempo erano ormai sostituiti da manuali divulgativi di psicoanalisi, la teologia aveva fatto posto alla psicologia, magari la più corrente. Quasi irresistibile, poi, il fascino per ciò che è orientale o presunto tale: in molte case religiose (maschili e femminili) la croce ha talvolta lasciato il posto a simboli della tradizione religiosa asiatica. Sparite anche in diversi luoghi le devozioni di un tempo per far posto a tecniche yoga e zen. (J. Ratzinger, op. cit., p. 100).
Il pout pourrì new age ha dunque contagiato anche
i cattolici. Questo spiega perché ad esempio la Congregazione
per la Dottrina della Fede abbia recentemente deciso di scomunicare
gli scritti del gesuita indiano Anthony De Mello (morto nel 1987):
il suo flirt teologico con il buddhismo non deve essere proprio
piaciuto a Ratzinger. Tutto quell'insistere sul cammino interiore,
sull'autocoscienza, sulla consapevolezza, per "scoprire
se stessi e riprendersi in mano la vita"... E poi Cristo
che via via sbiadisce come Figlio di Dio per ritrovarsi indosso
i semplici panni del maestro spirituale. Bisognava dare un segnale
forte e ribadire tenacemente che "la salvezza può
venire solo da fuori, da Dio, accolto come dono gratuito,
non conquistato da nessun cammino di autoappropriazione e da nessun
pensiero illuminato" (V. Bordini, La fede nel Dio che
salva e i polli di De Mello, in "Famiglia cristiana",
n° 35, 1998).
Ma c'è di più. Quello che spaventa i vertici ecclesiastici
è il fatto che le sette e tendenze in questione sono una
vecchia conoscenza della Chiesa. Agli occhi dello stesso Giovanni
Paolo II la New Age non è altro che la riedizione dell'eresia
gnostica, quella che, in parole povere, pretendeva di trasformare
la fede in una forma di conoscenza, in una sorta di cammino sapienziale
dell'uomo.
Una questione a parte è la rinascita delle antiche idee gnostiche nella forma del cosiddetto New Age. Non ci si può illudere che esso porti a un rinnovamento della religione. E' soltanto un nuovo modo di praticare la gnosi, cioè quell'atteggiamento dello spirito che, in nome di una profonda conoscenza di Dio, finisce per stravolgere la Sua Parola sostituendovi parole che sono soltanto umane. La gnosi non si è mai ritirata dal terreno del cristianesimo, ma ha sempre convissuto con esso, a volte sotto forma di corrente filosofica, più spesso con modalità religiose o parareligiose, in deciso anche se non dichiarato contrasto con ciò che è essenzialmente cristiano. (Varcare la soglia della speranza, op. cit., p. 99).
E' il papa stesso ad ammetterlo: i newagers sono in qualche
modo l'alter ego dei cristiani all'interno di una stessa mentalità
religiosa, sono dei fratelli che sbagliano. Il "deciso"
ma non "dichiarato" contrasto di cui parla Wojtyla e
l'identificazione tra gnosticismo e New Age, consentono di riconoscere
in quest'ultima, più che una forma di "apostasia",
la riedizione di una vecchia "eresia", vale a dire non
una contrapposizione molare, ma piuttosto una deviazione
che può (deve) essere recuperata.
Alla base della tendenza, dei culti o anche solo della moda New
Age, c'è un bisogno di sacralità che sia gestita
al di fuori delle rigide strutture ecclesiastiche; c'è
un'esigenza di ritualità, di unione organicistica col cosmo,
di ricostituzione di un quadro simbiotico in cui gli uomini e
il mondo ritrovino uno spazio comune, una nuova identificazione.
C'è in sostanza un fottutissimo bisogno di religione. Ma
appunto senza preti, senza dogmi, con la possibilità di
scegliere come e in che quantità attingere alle culture
e ai culti altrui. Non c'è nemmeno un grande proselitismo,
se non per le sette vere e proprie costituitesi in società
"di capitali"; anzi, la cultura della New Age, almeno
in Italia, tende a diffondersi su un piano più che altro
individuale.
Tutto questo può far rabbia ai supervisori vaticani, ma
non cambia la sostanza. E cioè che loro per primi individuano
nel successo di queste idee una potenziale miniera di scontento,
di bisogno di fede, che deve essere recuperata.
Andando alla radice del variegato mondo della New Age ci si imbatte
infatti in un denominatore comune accertato: il rifiuto -
sincero o semplicemente ostentato - della visione occidentale
del mondo. Gli scrittori che popolano la letteratura new age,
come Fritjof Capra, solo per citare uno dei più divulgativi,
muovono dall'intuizione che la cultura e la scienza sperimentale
nate in Occidente abbiano raggiunto un punto morto, dei veri e
propri paradossi strutturali, superabili soltanto attraverso un'auspicata
fusione con la visione orientale del mondo. E così anche
su un piano personale, individuale, la crisi d'identità
dovuta al supersviluppo della società contemporanea, sarebbe
colmabile con la relativizzazione dei paradigmi filosofici ed
esistenziali dell'Occidente e con l'avvicinamento alla percezione
orientale della vita, più rispettosa del corpo, della psiche,
del loro reciproco rapporto, e del legame più generale
con la natura vivente.
Ma al di là di alcune affascinanti intuizioni, la moda
New Age che prende spunto da questi testi, getta via il bambino
con l'acqua sporca e diventa l'emblema dell'epoca attuale. Ovvero
scaraventa nel dimenticatoio della storia anche tutto ciò
che in Europa ha determinato la nascita di un pensiero della rivolta
al dato, dell'insurrezione contro l'ingiustizia. Si butta via
l'Illuminismo, troppo razionalista ed eurocentrico; si butta via
il materialismo storico, troppo determinista e teleologico; si
butta via la lotta di classe, troppo legata a una visione conflittuale
della vita; ecc.
In poche parole la New Age si sbarazza di tutta quella "zavorra"
teorica occidentale che la Chiesa ha in progetto di seppellire
una volta per tutte. Dunque, se da un lato fa concorrenza spirituale
alle forme del culto ufficiali, e rischia di contaminarle
attraverso una "pericolosa" ibridazione, dall'altro
corre parallela al progetto wojtyliano di restaurazione religiosa
nelle coscienze; progetto che vede proprio nello sterminio della
cultura new age il suo primo banco di prova.
I newagers sono soggetti politicamente deboli, senza più
alcuna coscienza di classe, né dello scontro. Sono approdati
alla spiritualità, quindi non possono più contrapporre
alla repressione clericale un sano illuminismo. Si trovano costretti
a combattere nel campo della "religione" come ultimi
arrivati, contro la più grande potenza religiosa della
storia. Sono fottuti in partenza.
Poco male, ma oggi ci tocca difenderli. Perché i
prossimi saremo noi.
La guerra alla New Age e alle sette dichiarata dalla Chiesa è
il passaggio essenziale per ricompattare un immaginario etico-religioso
unitario. Paradossalmente la guerra santa alle sette è
un momento dialettico importantissimo della guerra, più
vasta, contro l'ateismo e il laicismo. Screditando ogni forma
religiosa non ufficiale, la Chiesa cerca di recuperare a sé
il monopolio della spiritualità, proponendosi come unica
alternativa all'"inaridimento culturale e morale" dell'Occidente
"senza Dio".
Gettare merda sulla New Age, denigrare le sette, accusarle di
essere un cancro sociale, fomentare il panico morale contro di
esse, sparare cifre allarmanti senza alcun fondamento, e infine
insinuare il sospetto della loro perseguibilità penale,
sono tutti elementi di un'unica, organica strategia, che ha già
dato i suoi primi frutti.
Con l'attacco alle sette new age si spera di reintrodurre nella
coscienza collettiva e quindi nei codici penali un ridimensionamento
drastico del concetto di libertà individuale, nonché
elementi pre-illuministi e anti-liberali nel senso più
limpido del termine.
Crediamo si tratti di un obiettivo di medio raggio. La seconda
fase non può che consistere inevitabilmente nel colpire
l'ateismo, il nemico numero uno, e chiudere la parentesi della
modernità. Una bella sfida per il Terzo Millennio.