6. Sulle macerie del Muro
E' mai possibile che, per un feroce inselvatichimento
dei tempi, uno stregone dica più verità di coloro
che si pretendono scienziati?
Antonio Negri
Siamo, dunque, di fronte a un grave problema di diseguale
distribuzione dei mezzi di sussistenza, destinati in origine
a tutti gli uomini, e così pure dei benefici da essi derivanti.
E ciò avviene non per responsabilità delle
popolazioni disagiate, né tanto meno per una specie di
fatalità dipendente dalle condizioni naturali o dall'insieme
delle circostanze.
Giovanni Paolo II
La stagione del trionfalismo per la caduta dei regimi comunisti
nell'est Europa è durata relativamente poco ed è
stata più che altro un'abile operazione pubblicitaria per
il migliore dei mondi possibili e il miglior papa di
tutti i tempi (hip-hip-hurrà). Proprio il confronto
con la teologia della liberazione in America Latina e con la matrice
"operaista" del movimento cattolico polacco hanno fornito
a Wojtyla e ai vertici vaticani gli elementi per valutare con
maggior lucidità il da farsi dopo la caduta del Muro di
Berlino. Non è infatti un caso che ben due delle tre encicliche
sulla dottrina sociale della Chiesa scritte da Giovanni Paolo
II si collochino negli anni cruciali della crisi del socialismo
reale, a breve distanza l'una dall'altra. Anche se molti temi
ripresi successivamente si trovavano già nella Laborem
exercens (1981), sono in particolare la Sollicitudo Rei
Socialis (1989) e la Centesimus annus (1991) che destano
il maggior interesse, assumendo la connotazione di veri manifesti
programmatici dell'azione ecclesiastica in Europa e nel mondo.
Il primo dato storico è questo: immediatamente dopo il
crollo dei regimi comunisti europei, Wojtyla si precipita a rispolverare
e "attualizzare" con forza la dottrina sociale della
Chiesa, a partire dalla Rerum novarum, di cui nel '91 ricorre
il centenario.
Ciò che viene sostanzialmente ribadito è quella
che potremmo definire la teoria della proprietà privata
limitata o controllata; ossia un ideale di stato socialdemocratico,
in cui il capitalismo trovi dei freni e dei bilanciamenti, apposti
dallo stato stesso, e in cui le masse operaie non siano lasciate
in balia delle leggi del mercato.
Bisogna ricordare ancora una volta il principio tipico della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti. Il diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale principio: su di essa infatti grava "un'ipoteca sociale", cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni (Sollicitudo Rei Socialis, Edizioni Paoline, Milano 1997, p. 57)
Giovanni Paolo II invita energicamente le nazioni e le classi forti a responsabilizzarsi nei confronti dei deboli.
In questo senso si può giustamente parlare di lotta contro un sistema economico, inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell'uomo. A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di stato, ma una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società. (Centesimus annus, Edizioni Paoline, Milano 1998, p. 49).
"Ma come?". avrà pensato qualcuno dei tanti
neo-liberisti "puri" ancora per poco al potere negli
stati occidentali, "Abbiamo lavorato ai fianchi l'Impero
del Male per decenni insieme al papa e, adesso che abbiamo vinto,
ci viene a dire che la proprietà privata va regolata e
limitata, che lo stato deve intervenire nell'economia?"
Proprio così, Leone XIII aveva parlato chiaro già
un secolo fa:
La classe dei ricchi, forte per se stessa, ha meno bisogno della pubblica difesa: la classe proletaria, mancando di un proprio sostegno, ha speciale necessità di cercarla nella protezione dello stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e bisognosi, lo stato deve rivolgere di preferenza le sue cure e provvidenze (Rerum novarum, cit. in Centesimus annus, op. cit., p. 15).
Giovanni Paolo II non fa che riprendere il discorso, ampliandolo,
con alle spalle l'esperienza latinoamericana e alla luce di quanto
accade nel Terzo Mondo e di quanto può accadere nell'Europa
orientale dopo il crollo della cortina; certo non prima di aver
sparso gli ultimi pugni di sale sulle fondamenta del marxismo,
per poi non parlarne più.
In sostanza l'uomo dell'Est Wojtyla sa bene che quello che si
è scoperchiato abbattendo il Muro è un pozzo stagnante
da cui può uscire qualsiasi cosa. Non può condividere
il sorriso dei vincitori, perché ha una paura maledetta.
Le pagine della Centesimus annus trasudano paura: cosa
succederà alle popolazioni che escono dal bunker del socialismo
reale e a cui avevamo promesso i cotillons della libertà
occidentale? Verranno abbagliate dalle luci del capitalismo e
pretenderanno di avere quello che per decenni è stato esposto
nella vetrina dell'Occidente. L'economia nazionale allo sbando
creerà scompensi enormi, si verificherà una corsa
all'accaparramento e la forbice sociale si allargherà a
dismisura, imponendo a quelle popolazioni una realtà nuova
e durissima. E cosa pensare del vuoto politico lasciato dalla
sparizione dei partiti comunisti nazionali? I vecchi e nuovi burocrati
cercheranno di ritagliarsi una fetta del potere vacante con ogni
mezzo possibile, non da ultimo il revanscismo etnico-religioso.
Nonostante i bei discorsi sulla democrazia, la libertà,
la rivoluzione pacifica, eccetera, dalle pagine delle due encicliche
in questione emerge la visione dell'abisso. Wojtyla sa che la
Chiesa deve darsi un compito nuovo.
Da questo punto di vista però non ha potuto nulla. Quello
che doveva succedere è successo. La necrosi dell'Urss,
poi Csi, quindi soltanto Russia (e tra un po' nemmeno quella);
la crisi economica, il mercato nero, la mafia, un colpo di stato
a suon di castagnole e tricche-tracche, i finti democratici al
potere, i secessionisti barricati nel palazzo del parlamento e
cannoneggiati, la rovina, il crollo dello stato più forte
del mondo. E ancora, la guerra in Jugoslavia, cinque anni di caos
che restituiscono all'Europa un grappolo di repubbliche l'una
contro l'altra armata e dove non riescono a spegnersi le rappresaglie,
gli eccidi; la finta rivoluzione in Romania, un ramo della nomenclatura
di regime che fa fuori Ceausescu e subito dopo spedisce i minatori
a picconare gli studenti che manifestano in piazza; l'Albania,
il capitalismo dei poveri e la truffa delle assicurazioni private,
i profughi... E dietro a tutto questo, più a Est ancora,
lo spettro di Tien An Men che per dieci anni si allunga lugubre
sui Balcani che bruciano. Laggiù il "comunismo"
resiste col beneplacito degli Stati Uniti... Sipario.
Eppure c'è dell'altro. Nel fuoco dell'Europa orientale
Wojtyla vede bruciare il Terzo Mondo. Nella "balcanizzazione"
e nell'immiserimento di mezzo continente si rispecchiano le guerre
e la miseria dell'Africa, dell'Asia e del Sudamerica, da sempre
mete privilegiate del papa polacco. Wojtyla vede i boat people,
i profughi, lo strapotere degli aguzzini di ogni etnia e latitudine,
la farsa del debito estero contratto dai paesi sottosviluppati.
Come si può raccontare ancora a quei miserabili che vi
sarà sviluppo? Con quale faccia l'Occidente si può
presentare al loro cospetto, oggi che è dominatore incontrastato
dell'economia globale?
Ecco allora che gli slogan dei Gutierrez, dei Boff, dei Frei Betto,
adeguatamente ripuliti, aprono uno spiraglio e lasciano
intravedere il compito della Chiesa. Mettersi alla testa di quell'esercito.
Come Pietro l'Eremita nella crociata dei pezzenti. Diventare i
portavoce indiscussi della causa dei diseredati al cospetto dell'Occidente
ricco e consumista. Fornire a costoro un modello, una speranza,
una promessa ecumenica e con questi muovere all'attacco delle
società opulente.
Se il mondo deflagra nell'apocalisse è il momento in cui
devono entrare in scena i professionisti dell'apocalisse.
Nell'unificazione mondiale del mercato economico e politico, Giovanni Paolo II identifica la possibilità per la Chiesa di riprendere la sua vocazione medievale. Essa è ora infatti, sola e potente davanti agli Stati, davanti all'Impero. Essa è la sola rappresentante dei poveri. (A. Negri 1996, op cit. , p. 199).
Se le ideologie crollano e i poveri non hanno più un ideale da realizzare, soltanto la Chiesa può offrirgliene uno. Se l'internazionalismo proletario non ha più un senso nel mondo unificato e globalizzato del capitalismo, allora sarà l'universalismo cristiano che potrà raccoglierne lo stendardo. Certo non nell'accezione rivoluzionaria e classista, bensì come generico richiamo alla giustizia e al ripristino della dignità dell'uomo.
Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le sono proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell'umanità. (Centesimus annus, op. cit., p. 48)
Nella Centesimus annus Wojtyla, senza alcun pudore,
non si fa scrupolo di ricostruire la storia del movimento operaio
come storia dell'affermazione della dottrina sociale della Chiesa,
dei precetti contenuti nella Rerum novarum: i marxisti
hanno strumentalizzato le sacrosante lotte dei proletari, le hanno
distorte e incanalate verso l'odio di classe; la Chiesa invece
ha sempre caldeggiato la risoluzione della questione operaia in
direzione della concordia sociale e dell'unità. Adesso
che i marxisti si sono tolti di mezzo con le loro mani, il cammino
può essere ripreso nella direzione di una socialteocrazia
che, tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale,
possa rallentare e regolare il divario tra ricchi e poveri.
Il cerchio si chiude. Il Nord del mondo viene messo sotto accusa,
proprio quell'Occidente "democratico" che ha sconfitto
il comunismo, diventa un inferno di consumismo, materialismo,
mercificazione, e squallore morale.
L'ideale rivoluzionario è fuori gioco, i libri di Marx
si coprono di ragnatele. E' arrivato il momento di fare i conti
con gli ex-alleati: le borghesie occidentali, i capitalisti, come
sinonimo di materialisti, come sinonimo di relativisti, come sinonimo
di razionalisti, come...
Lo sfruttamento sistematico e selvaggio del Terzo Mondo è
il frutto della progressiva espansione economica dei paesi sviluppati,
che si arricchiscono sulla miseria altrui. Ma per Giovanni Paolo
II questa non è tanto la conseguenza strutturale del sistema
economico capitalistico, quanto piuttosto il risultato dell'abbandono
di ogni principio etico. Disumanizzandosi, reificando il mondo
e la vita degli esseri umani, in nome dell'avidità di possesso
e dell'edonismo, il capitalismo occidentale ha portato il pianeta
sull'orlo del baratro. Il capitalismo non è inumano per
sua stessa natura - Wojtyla ha già detto che questi
"pregiudizi" ideologici di matrice marxista devono cadere
una volta per tutte -, ma è tale perché si fonda
su una cultura atea, razionalista e relativista. Se i paesi che
guidano l'economia mondiale riscoprissero Dio, allora anche questo
sistema economico, che oggi appare così irrimediabilmente
nocivo, si trasformerebbe in un capitalismo mitigato, sostenibile
e "progressista".
Accusare la Nestlé, la Volkswagen o la Texaco è
fermarsi all'epifenomeno. Invece occorre andare alla radice del
problema. Sul banco degli imputati devono salire Montesquieu,
Diderot e Voltaire [1].
La caduta del comunismo apre davanti a noi un panorama retrospettivo sul tipico modo di pensare e di agire della moderna civiltà, specialmente europea, che ha dato origine al comunismo. Questa è una civiltà che, accanto a indubbi successi in molti campi, ha anche commesso una grande quantità di errori e di abusi nei riguardi dell'uomo, sfruttandolo in tanti modi. Una civiltà che sempre si riveste di strutture di forza e di sopraffazione sia politica sia culturale (specialmente con i mezzi della comunicazione sociale), per imporre all'umanità intera simili errori e abusi.
Come spiegare altrimenti il crescente divario tra il ricco Nord e il sempre più povero Sud? Chi ne è responsabile? Responsabile è l'uomo; sono gli uomini, le ideologie, i sistemi filosofici. Direi che responsabile è la lotta contro Dio, la sistematica eliminazione di quanto è cristiano; una lotta che in grande misura domina da tre secoli il pensiero e la vita dell'Occidente. Il collettivismo marxista non è che una "edizione peggiorata" di questo programma. (Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, cit., pp. 146-7).
Ora che l'unica alternativa realizzata dalla cultura politica occidentale non c'è più, l'unico sistema rimasto in campo può essere definitivamente messo sotto accusa, fin nei suoi capisaldi culturali: il liberalismo, il razionalismo, il relativismo. Ad essi andrebbe imputato l'impoverimento del Sud del mondo. Un'esegesi quanto meno azzardata, se non fosse che può poggiare sul filo diretto coi paesi poveri che Giovanni Paolo II ha costruito durante tutto il pontificato. Un legame che soltanto adesso rivela fino in fondo la sua macroscopica importanza. Si tratta di usare la forza d'urto degli ultimi della terra come mezzo di pressione sull'intera cultura occidentale, oltre che sul sistema economico capitalista. Wojtyla sa che per quell'82% della popolazione planetaria che deve spartirsi il 18% delle ricchezze prodotte nel mondo, l'apocalisse è già in atto. L'unico modo per evitare il cataclisma, che per altro non risparmierebbe nemmeno i paesi sviluppati, è sconfiggere il neo-liberismo e spingere le nazioni forti a riprendere in mano la regolamentazione dell'economia globale. Ma per il vecchio polacco l'imminenza apocalittica è anche il segno che è giunto il momento di mettere in discussione alla radice la cultura occidentale degli ultimi quattro secoli. La riconquista progettata dal Concilio Vaticano II deve incarnarsi in un'offensiva scatenata su tutti i fronti, con la massima potenza e il massimo dispiegamento di mezzi. Es ist Zeit! Il tempo è questo.
Eccoci di nuovo a Cuba, su quella piazza, a ribadire, come
già nella Centesimus annus, che il debito estero
dei paesi arretrati deve essere cancellato, che gli embarghi non
servono se non a gettare nell'indigenza le popolazioni, che il
"neo-liberismo selvaggio" è un male per il pianeta
e che il mondo dei ricchi è corrotto e perverso.
Ma più che ai poveri il papa si rivolge ai ricchi medesimi,
indicando loro l'unica via di salvezza per il pianeta e per il
loro stesso mondo privilegiato. Allo scoccare del Terzo Millennio
cristiano, Wojtyla vede l'iceberg dal ponte del Titanic e prepara
le scialuppe per il capitalismo mondiale. Convertitevi, perché
senza di me non avete speranza. Io sono quello che può
ancora parlare ai poveri della terra; al contrario voi sazi e
corrotti occidentali avete perso ogni credibilità. Frenate
la corsa verso l'abisso, altrimenti deflagrerete anche voi nelle
fiamme dell'apocalisse sociale che avete scatenato.
NOTE
1. Per la verità Wojtyla fa risalire l'origine di tutti
i "mali" contemporanei alla rottura cartesiana.
La parentesi della modernità comincerebbe con il cogito
ergo sum del filosofo francese. Il ragionamento è particolarmente
stringente ed esplicito. Vale la pena riportarlo integralmente:
"Perché metto pure qui in primo piano Cartesio? Non
soltanto perché egli segna l'inizio di una nuova epoca
nella storia del pensiero europeo, ma anche perché questo
filosofo, che è certo tra i più grandi che la Francia
abbia dato al mondo, ha inaugurato la grande svolta antropocentrica
nella filosofia. 'Penso, dunque sono' [...] è il motto
del moderno razionalismo.
Tutto il razionalismo degli ultimi secoli - tanto nella sua
espressione anglosassone quanto in quella continentale con il
kantismo, l'hegelismo e la filosofia tedesca del XIX e XX secolo,
fino a Husserl e Heidegger - può dirsi una continuazione
e uno sviluppo delle posizioni cartesiane. [...]
Se non è certo possibile addebitare al padre del razionalismo
moderno l'allontanamento dal cristianesimo, è difficile
non riconoscere che egli creò il clima in cui, nell'epoca
moderna, tale allontanamento poté realizzarsi. Non si attuò
subito, ma gradualmente.
In effetti, circa centocinquant'anni dopo Cartesio, constatiamo
come tutto ciò che era essenzialmente cristiano
nella tradizione del pensiero europeo sia già stato
messo fra parentesi. Siamo nel tempo in cui in Francia è
protagonista l'illuminismo, una dottrina con la quale si ha la
definitiva affermazione del puro razionalismo. La Rivoluzione
francese, durante il Terrore, ha abbattuto gli altari dedicati
a Cristo, ha buttato i crocifissi nelle strade, e ha invece introdotto
il culto della dea Ragione. In base al quale venivano proclamate
la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza. In questo
modo il patrimonio spirituale, e in particolare quello morale,
del cristianesimo era strappato dal suo fondamento evangelico,
al quale è necessario riportarlo perché ritrovi
la sua piena vitalità". (Giovanni Paolo II, Varcare
la soglia della speranza, op. cit., pp. 55-56).