5. I fratelli che sbagliano
Quando un uomo muore di fame accanto a un altro pieno
fino al gozzo, gli è impossibile darsi pace di questa differenza
se non c'è un'autorità che gli dica: "Così
vuole Dio, bisogna che ci siano i poveri e i ricchi a questo mondo,
ma dopo, e per l'eternità, le parti saranno fatte diversamente".
Napoleone Bonaparte
Nel 1970 si tenne a Santiago del Cile un incontro tra le forze
cristiane che appoggiavano la candidatura di Salvador Allende
alla presidenza del paese. Si trattava di quelli che potevano
essere grossolanamente definiti "cristiano-sociali"
e anche di alcune frange più radicali che propugnavano
un dialogo stretto con le forze marxiste del continente.
In quell'occasione uno degli interventi fu tenuto dal sacerdote
e teologo peruviano Gustavo Gutierrez, che un anno dopo dava alle
stampe il suo Teologia della liberazione, il testo che
avrebbe fornito un vero e proprio fondamento teologico al movimento
della chiesa popolare latinoamericana.
Le sue dichiarazioni muovevano essenzialmente dalla constatazione
della lotta di classe come realtà storica e non come forma
ideologica - un'idea che andava contro tutte le posizioni
vaticane dalla Rerum novarum in avanti.
Colui che parla di lotta di classe non la "propugna" (come si dice comunemente) nel senso di crearla inizialmente con un atto di (cattiva) volontà; ciò che egli fa è constatare un fatto e al massimo contribuire affinché se ne prenda coscienza. Non c'è nulla di più massiccio di un fatto. Ignorarlo è ingannare e ingannarsi, e inoltre privarsi dei mezzi necessari per sopprimere veramente e radicalmente questa situazione: camminare verso una società senza classi. [...] Sopprimere l'appropriazione da parte di pochi del plusvalore, creato dal lavoro degli altri, e non fare appelli lirici all'armonia sociale. Costruire una società socialista, più giusta libera e umana e non una società di conciliazione e di eguaglianza apparente e fallace. (G. Gutierrez, Fraternità cristiana e lotta di classe, in La fede come prassi di liberazione. Incontri a Santiago del Cile, Feltrinelli, Milano 1972, p. 37)
Gutierrez non si faceva scrupolo di mettere sul banco degli imputati la Chiesa stessa, accusandola di tradire la causa degli ultimi e di fungere da contenitore sociale nei confronti della lotta operaia e contadina.
Quando la chiesa rifiuta la lotta di classe si comporta oggettivamente come un pezzo dell'ingranaggio il quale cerca di perpetuare, negandone l'esistenza, la situazione di divisione sociale su cui poggiano i privilegi dei suoi usufruttuari. (Ibidem, p. 38).
Ma l'argomentazione più brillante del suo intervento
riguardava il problema centrale dell'azione dei cattolici nella
contingenza storica latinoamericana. Come conciliare l'amore universale
predicato da Cristo e la necessità della lotta di classe,
quindi del conflitto?
La risposta di Gutierrez conteneva un'interpretazione radicale
dell'intero messaggio cristiano:
L'universalità dell'amore cristiano è un'astrazione se non diviene storia concreta, processo, conflitto, superamento del particolarismo. Amare tutti gli uomini non vuol dire evitare conflitti, né mantenere un'armonia fittizia. Amore universale è quello che in solidarietà con gli oppressi cerca di liberare anche gli oppressori dal loro stesso potere, dalla loro ambizione e dal loro egoismo: l'amore verso coloro che vivono in una condizione di peccato obbiettivo esige che lottiamo per liberarli. La liberazione dei poveri e dei ricchi si realizza simultaneamente. Si amano gli oppressori liberandoli dalla loro disumana situazione, liberandoli da se stessi. Ma a questo si arriva solo optando decisamente per gli oppressi, cioè combattendo contro la classe degli oppressori. [...] Oggi nel contesto della lotta di classe amare i nemici suppone riconoscere ed accettare che si hanno dei nemici di classe e che dobbiamo combatterli. (Ibidem, p. 38-39).
Partendo da queste affermazioni non c'è da meravigliarsi
che la Santa Sede si mettesse in allarme. Un allarme che andò
aumentando nel corso degli anni Settanta, fino a coinvolgere anche
il neoeletto Wojtyla. Il primo viaggio di Giovanni Paolo II fuori
dall'Italia, ad appena un mese dall'elezione, fu per partecipare
alla Conferenza Episcopale Latinoamericana, che si tenne a Puebla,
in Messico, nel gennaio del 1979.
Forse proprio a Puebla, per la prima volta, Wojtyla ebbe chiaro
che uno dei compiti primari del suo pontificato avrebbe dovuto
essere quello di rafforzare la dottrina sociale della Chiesa.
E lo avrebbe dovuto fare innanzi tutto ripulendola da ogni
contaminazione marxiana o rivoluzionaria. La Chiesa doveva dotarsi
di una dottrina del tutto propria, per quanto era possibile, in
materia sociale. Bisognava recuperare lo sconfinamento dei teologi
della liberazione non tanto (o non solo) con la repressione, ma
soprattutto raccogliendo la loro sfida. In poche parole con una
mano li si doveva abbracciare, con l'altra colpirli allo stomaco
fino a quando non avessero imparato la lezione.
A vent'anni di distanza possiamo dire che quella lezione è
stata imparata.
Non poteva essere diversamente.
Uno dei primi a essere "scomunicato" fu Ernesto Cardenal,
sacerdote cattolico e poeta, che aveva partecipato alla rivoluzione
nicaraguense contro il dittatore Somoza, diventando ministro della
pubblica istruzione del governo sandinista. In occasione della
visita papale in Nicaragua (1983), Cardenal andò ad accogliere
Giovanni Paolo II all'aeroporto di Managua. Quando il sacerdote
si inginocchiò davanti al papa per baciargli la mano, questi
la ritrasse stizzito e alzò il dito in segno di ammonizione,
invitandolo a regolarizzare i suoi rapporti con la Chiesa. Con
quel gesto il papa cancellava ogni possibilità di dialogo
tra la Chiesa e il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale,
che si era battuto contro la dittatura. Da quel momento la linea
della Chiesa nicaraguense e quindi dei cattolici si indirizzò
nel senso dell'opposizione al governo sandinista, fino alla vittoria
elettorale nel 1989 del partito cattolico, sostenuto dagli Stati
Uniti. Da allora il Nicaragua, paese che per dieci anni era stato
alla ribalta delle cronache e aveva rappresentato un faro di speranza
per molti paesi latinoamericani, scivolò nel dimenticatoio,
perse ogni orgoglio e sprofondò nel caos, preda di ex-miliziani
arrivisti e speculatori d'ogni tipo.
Sul piano dell'immagine la prima mossa era stata fatta, era il
momento che scendessero in campo gli inquisitori.
Nello stesso 1983 il Cardinale Ratzinger, capo della Congregazione
per la Dottrina della Fede, chiese formalmente all'episcopato
peruviano di pronunciarsi sul "caso" Gutierrez e riunì
una commissione interepiscopale per giudicare le sue teorie (cfr.
C. Longobardo, op. cit., p. 46).
Un anno dopo (6/8/1984) la stessa Congregazione emise il primo
documento ufficiale: Istruzione su alcuni aspetti della teologia
della liberazione.
Ratzinger aveva studiato a fondo il problema, cogliendone
la complessità e rendendosi conto che la teologia della
liberazione esercitava un fascino unico "che non entra in
alcuno schema esistente fino ad oggi di eresia" (J. Ratzinger,
Osservazioni preliminari all'Istruzione, in V. Messori,
Rapporto sulla fede: a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger,
Mondadori, Milano 1985, p. 187).
Il Cardinale Prefetto stroncava senza mezzi termini ogni forma
di ibridazione ideologica, ogni brandello di materialismo storico
doveva essere cancellato e la liberazione doveva essere riaffermata
come categoria puramente spirituale-salvifica, inquadrata dentro
l'alveo ineludibile di Santa Romana Chiesa.
Tuttavia il prelato tedesco non nascondeva la necessità
per la Chiesa di far proprie - con altri mezzi - le istanze
espresse da quella teologia, pena la perdita di terreno in tutto
il Terzo Mondo.
Con l'analisi del fenomeno della teologia della liberazione diventa manifesto un pericolo fondamentale per la fede della Chiesa. Indubbiamente bisogna tener presente che un errore non può esistere se non contiene un nucleo di verità. Di fatto un errore è tanto più pericoloso quanto maggiore è la proporzione del nucleo di verità recepita. Inoltre l'errore non potrebbe appropriarsi di quella parte di verità se questa verità fosse sufficientemente vissuta e testimoniata lì dove è il suo posto, cioè nella fede della Chiesa. Perciò, accanto alla dimostrazione dell'errore e del pericolo della teologia della liberazione bisogna sempre affiancare la domanda: quale verità si nasconde nell'errore e come recuperarla pienamente? (Ibidem, p. 185).
Mentre l'Istruzione veniva pubblicata, la Congregazione per la Dottrina della Fede convocò a Roma il frate brasiliano Leonardo Boff. Si trattava di uno degli esponenti più brillanti della teologia della liberazione, impegnato nel sostenere le comunità di base alla periferia delle grandi metropoli del Brasile, e autore di Chiesa, carisma e potere, testo che sosteneva la necessità per il popolo cattolico di "riprendersi" la Chiesa, attraverso l'autorganizzazione dal basso.
Il colloquio, che era stato presentato a Boff come una conversazione, fu un vero e proprio interrogatorio. All'imputato era stato impedito di essere accompagnato dai propri confratelli e gli fu comminata la pena di un anno di silenzio, durante il quale non poteva svolgere nessuna attività pubblica né pubblicare libri. (C. Longobardo, op. cit., p. 47).
Caddero altre teste.
Il cardinale brasiliano Arns, che aveva difeso Boff. Quindi il
vescovo Casaldaliga e anche Helder Camara, uno dei promotori della
Conferenza di Medellìn, il quale fu sostituito "per
sopraggiunta anzianità" dall'ultraconservatore Cardoso
Sobrinho.
Vescovi appartenenti all'Opus Dei furono introdotti da Wojtyla
nelle diocesi "calde" del Brasile e del Perù.
Così pulizia era fatta. I protagonisti della stagione di
Medellìn erano ormai isolati o ridotti al silenzio. Ai
teologi come Gutierrez e Boff era stata cucita la bocca.
Nel 1986 Giovanni Paolo II, in una lettera all'episcopato brasiliano,
poteva attenuare i toni e affermare che la teologia della liberazione
era "non solo utile, ma necessaria" [1]
Un mese dopo, la Congregazione della fede emetteva la sua seconda istruzione in merito, dal titolo Libertà cristiana e liberazione, in cui attenuava le forme della critica precedente, ma soprattutto accentuava la tendenza a fagocitare i contenuti e la fraseologia della liberazione, per neutralizzarne qualunque valenza antistituzionale. (C. Longobardo, op. cit., p. 48).
Da quel momento comincia la storia del recupero che
arriva fino a Plaza de la Revolucion. Il "nucleo di verità"
contenuto nella teologia della liberazione poté essere
gestito e incanalato nel progetto restauratore wojtyliano.
Ma mentre Roma spendeva le sue energie "migliori" per
annientare l'eresia anomala della teologia della liberazione,
i suoi avversari nel continente latinoamericano lavoravano alacremente.
Per di più l'imminenza di eventi epocali in Europa non
avrebbe giocato a favore di Wojtyla.
I risultati si vedono a occhio nudo: oggi l'America Latina è
ancora teatro bellico per la guerra religiosa di Wojtyla contro
i suoi "concorrenti". Una guerra per molti versi ancora
tutta da combattere.
A tutt'oggi le congregazioni che fanno riferimento al Consiglio
latinoamericano delle Chiese e alla Confraternita evangelica latinoamericana
(esclusi dunque i fondamentalisti) contano più di 40 milioni
di fedeli.
Le sètte orientaleggianti, come Soka Gakkai o Seicho-no-ie,
nonché quelle pseudo-cristiane e misticheggianti, vanno
invadendo il continente.
Ecco quello che affermava un missionario in Brasile nel 1986:
Penso che ormai in Brasile per ogni chiesa cattolica esistano almeno dieci chiese evangelico-fondamentaliste e altrettanti centri appartenenti a sètte spiritiste e a culti orientali. Anagraficamente la maggioranza del popolo è ancora cattolica, ma se facessimo un censimento di quanti settimanalmente frequentano un culto cattolico o crente o spiritista, forse noi resteremmo al terzo posto! Noi abbiamo la maggioranza anagrafica; ma si tratta di una religione che serve per battesimi, matrimoni e suffragi... (cit. in P. Canova, op. cit., p. 9).
L'importanza del Cointelpro e la complicità dei colossi nordamericani in questa progressiva infiltrazione non smette di tornare alla ribalta:
nel 1991, la Conferenza episcopale messicana denuncia la multinazionale statunitense Alexander Jenssen come finanziatrice di cento sètte fondamentaliste che starebbero diffondendo "idee neocapitaliste, con l'obiettivo che il Messico si trasformi in un retrobottega degli Stati Uniti per propagandare questa fede pseudocristiana nel resto dell'America" (M. Stefanini, op. cit., p. 177).
Per di più, tra la fine degli anni Ottanta e i primi
anni Novanta, gli evangelici hanno cominciato a darsi un'organizzazione
politica. In Argentina e Bolivia si sono costituiti in vere e
proprie lobbies di pressione elettorale; in Colombia troviamo
due evangelici eletti alla Costituente; a Panama è nata
un'organizzazione fondamentalista, la Misiòn de Unidad
Nacional, che si propone con forza sul piano politico e promuove
"riforme" istituzionali. Poi ci sono gli esempi più
lampanti: il Movimento de Acciòn Solidaria, che
in Guatemala ha portato alla presidenza l'evangelico Jorge Serrano,
spostando su di lui i voti dell'estrema destra; e Cambio 90,
il blocco sociale di ispirazione evangelica che ha fatto eleggere
il sanguinario Fujimori alla presidenza del Perù e alla
vicepresidenza il pastore battista Carlos Garcìa.
In America Latina i "partiti" evangelici coprono un
ampio arco politico, dall'estrema destra, al riformismo moderato,
finanche, in almeno un caso, alla socialdemocrazia (Partido
Evangelico de Nicaragua, fondato dal pastore battista ed ex-deputato
sandinista Sixto Ulloa), e influiscono ormai in maniera determinante
nella vita politica.
Quella che continua a svolgersi in America Latina è una
guerra di religione per la supremazia culturale e politica sul
continente. Una guerra che non esclude i colpi bassi e il tradimento
di alleanze antiche. Basti pensare all'immagine da cui eravamo
partiti: il papa e Fidel Castro insieme in Piazza della Rivoluzione...
l'uomo in bianco che condanna come inumano l'embargo statunitense
su Cuba... il riconoscimento dei buoni risultati ottenuti da Cuba
in campo sociale, scolastico, previdenziale...
Certo Wojtyla è andato laggiù per molti motivi,
ma è altrettanto certo che uno dei più importanti
è stata la necessità di rafforzare l'immagine della
Chiesa come paladina dei poveri, degli angariati e degli stati
deboli contro gli stati forti. Un'immagine che cerca di strappare
il terreno sotto i piedi alle sette cristiane appoggiate dagli
USA e ai guru self-made di matrice estremo-orientale.
E' stata l'occasione per tirare fuori dal cilindro gli slogan
concepiti dalla teologia della liberazione più di vent'anni
fa, riproponendoli in un'accezione nuova, utile al progetto dei
vertici vaticani.
L'esemplarità costituita dalla recente storia religiosa
latinoamericana consiste nel fatto che essa è stata uno
dei principali banchi di prova della strategia wojtyliana e delle
nuove direttrici d'azione della Chiesa nel mondo.
In particolare l'idea di Chiesa condivisa da Wojtyla trova ulteriore
conferma nelle vicende fin qui narrate. Spostandoci in Europa
e in Italia ne incontreremo soltanto una versione più circoscritta.
Per definire questa idea useremo le parole di uno degli ultimi
teologi della liberazione rimasti in piedi, il brasiliano
"Frei" Betto. Domenicano, perseguitato dalla dittatura
nel suo paese negli anni Sessanta, discepolo di quel Cardinale
Arns messo a tacere dall'Inquisizione, Frei Betto oggi continua
imperterrito nel suo impegno con le comunità di base delle
favelas brasiliane, occupandosi prevalentemente dei ben noti "bambini
di strada". E' famoso anche per la sua amicizia con Fidel
Castro, grazie alla quale ha potuto realizzare una celeberrima
intervista al lider maximo sulla religione.
Ecco quanto dichiarava il frate brasiliano a Gianni Minà,
in occasione della visita del papa a Cuba:
Il Papa [...] è venuto a Cuba con una teologia di neocristianità. Fino all'Ottocento, la Chiesa dominava la società e il Papa incoronava i re. Nella neocristianità la Chiesa vuole avere l'egemonia sulla cultura e sulle istituzioni pubbliche, vuole proiettare la luce della dottrina cristiana su tutto l'insieme delle istituzioni educatrici. Il Papa concepisce la Chiesa [...] al di sopra delle istituzioni sociali; per questo la Chiesa è libera di criticare da un lato il capitalismo e, dall'altro lato, il socialismo. La Chiesa è l'unica detentrice della verità e non c'è una vera società se non sotto il manto della Chiesa. E' chiaro che si tratta di una concezione ultrasuperata teologicamente, nel senso che nega le conquiste della modernità. (G. Minà, op. cit., p. 32).
Occorrerà tenere a mente queste parole mentre ci si accinge a riattraversare l'Atlantico per arrivare ai fatti che ci riguardano da vicino.
NOTE
1. Ovviamente non si deve pensare che la controffensiva
wojtyliana si limiti all'attività repressiva. Per farsi
un'idea delle forze dispiegate sul campo, vale la pena riportare
i dati forniti da Maurizio Stefanini nel suo articolo su "Limes":
"La nuova evangelizzazione di Giovanni Paolo II, dunque,
si sta manifestando soprattutto come restaurazione della disciplina
"tridentina": nomina di vesovi soprattutto amministratori;
insistenza sulle vocazioni tradizionali e sulla formazione secondo
un modello tradizionale; ripristino della disciplina nella liturgia,
nella catechesi, nell'organizzazione. [...]
Il Vaticano si rende conto della necessità di coinvolgere
i laici. Ma preferisce ricorrere a strumenti di aggregazione più
"affidabili" delle comunità di base. Ad esempio
l'Opus Dei, che in America Latina conta su 10 vescovi e 35.000
membri (la metà del totale). I Cursillos de cristianidad,
che già esistevano, ma si sono particolarmente sviluppati
in questi ultimi anni. Gli Incontri degli sposi con Cristo, che
sono in crescita vertiginosa. Il Movimento dei focolarini, che
era presente fin dagli anni Sessanta, ma ora è cresciuto
fino a contare migliaia di aderenti a tutti i livelli. Il Movimento
neocatecumenale, che è presente in quasi tutti i paesi
[...]. Comunione e Liberazione, che è pure presente in
molti paesi, ed è fortissima a livello editoriale. Il Movimento
di Schonstatt, cui fanno capo due vescovi cileni, e che è
ben attestato anche in Argentina.
Ma la grande forza è quella del Rinnovamento carismatico,
ormai forte di milioni di aderenti. Una forza che è anche
una debolezza. Il movimento carismatico non è che l'applicazione
del pentecostalismo al cattolicesimo. Per sopravvivere, anche
la Chiesa neotridentina di Giovanni Paolo II deve cedere al grande
nemico". (M. Stefanini, op. cit., pp. 190-191).Note