ESTETICA DEL COMPLOTTO
Le lezioni di Luther a Radio Blissett
Prima lezione
Dal booklet di OUTSIDE, l'album di David Bowie uscito da poche settimane:
Giovedì 27 ottobre 1994 - 122 East Village, Manhattan.
Ron Athey, performance artist non adatto agli schizzinosi - già eroinomane e sieropositivo, si caccia ripetutamente quello che sembrerebbe un ferro da calza nella fronte, una corona di sangue, deve fare un male del diavolo. Scorre il sangue, tutto uno sgocciolio. Nessun lamento.
Smorfie di dolore. Lo portano in scena e lo strofinano giù nel suo stesso sangue. Poi acqua. A volte con T-shirt nere e jeans, e incide, con uno scalpello usa e getta, dei motivi sulla schiena di Darryl Carlton, un nero. Asciugamani di carta macchiati di sangue vengono poi sospesi a uno stenditoio sopra la testa del pubblico. Stampe a sangue dal vero. Tiratura estremamente limitata.
Quando la rappresentò la prima volta nel marzo scorso, Quattro Scene di Vita Dura fece esplodere una bomba di controversie nel Fondo Nazionale per l'Arte. ()
Athey dice di trattare temi di autoripugnanza, sofferenza, guarigione e redenzione.
Dove? Dove avevo già sentito parlare di questo Ron Athey? Mi ricordai all'improvviso di quel depliant che avevo ricevuto a maggio, in occasione della Biennale di Venezia. Mi era stato spedito dall'Inghilterra, in busta chiusa e senza mittente. Seppi più tardi che oltre a me lo avevano ricevuto un centinaio di critici d'arte, operatori culturali e almeno altri due colleghi, detective artistici come me Cito:
In una Biennale d'Arte Contemporanea intitolata
'Identità e alterità' non potevano mancare le pericolose incursioni
di COLEMAN HEALY. Nato a Sacramento (California) nel 1960, Healy si dedica
a una Body Art violenta e ultraradicale a partire dal 1991, dopo aver scoperto
di essere sieropositivo. () Nel 1992 assieme a Ron Athey (un terrorista
teatrale di New York) fonda la Body Modification Community, che mette in
scena spettacoli pirata pubblicizzati tramite passaparola sotterraneo. La
BMC è quasi interamente composta da sieropositivi e le sue performances
sono rituali di automutilazione. Sei mesi all'anno Coleman Healy vive in
Inghilterra, dove frequenta la scena underground e il Reverendo William
Cooper, autiore del saggio 'Radical Sex'.
() A new York, nel marzo 1994, con Ron Athey mette in scena lo spettacolo
clandestino Quattro Scene di Vita Dura, alla NY Public School 122. Sangue
infetto gocciolava sul pubblico, mentre Athey e Healy incidevano figure
sacre sulla schiena di uomini e donne appesi a carrucole. Dopo mezz'ora
la polizia ha fermato lo spettacolo.
Il depliant si concludeva con un invito a partecipare a una performance
che Healy avrebbe tenuto a Venezia, durante la Biennale. Mi ero ben guardato
dal presentarmi, visto che in quei giorni mi guadagnavo la pagnotta inseguendo
per le calli un pittore mezzosangue neozelandese che non dava più
notizie di sé da un anno. Un lavoraccio.
La mia trama cominciava ad infittirsi. Bowie, Athey, Healy, Cooper.
Avevo letto Radical Sex, a suo tempo, e ricordavo perfettamente che questo
Reverendo Cooper ringraziava un certo Harry Kipper, per avergli dato l'ispirazione
a scrivere quel libro, presentandolo come l'ideatore del nome colletivo
Luther Blissett.
C'era dell'altro però. Nel N°zero della rivista di Guerra Psichica
LUTHER BLISSETT, uscita nell'aprile del '95, si poteva leggere:
Il Progetto Luther Blissett è stato avviato dal musicista performer californiano Coleman Healy, che ne ha poi attribuito la paternità a Harry Kipper, un inglese immaginario.
Ecco che alla mia lista si aggiungeva definitivamente il fantomatico Luther Blissett, il terrorista culturale, il pirata ontologico che tutti noi altri segugi artistici avremmo voluto incontrare. Cominciavo a farmi l'idea di un enorme complotto. Una cospirazione che toccava gli ambienti ultraradicali, l'editoria clandestina e i vertici della musica pop. Paranoie di fine millennio? Può darsi. Comunque pare avessero contagiato anche Mr. Jones, in arte il Duca Bianco o il 'Camaleonte', se si preferisce, il quale sembrava innegabilmente coinvolto nella storia. Pensai anche che forse si trattava di una sfida. Una sfida per chiunque avesse voluto seguire la trama, entrare nel romanzo collettivo e scriverne un capitolo. Si poteva cominciare in un modo qualsiasi. Per esempio cercando di spiegare perché nella Selva Lacandona, nel Chiapas, in una delle cosiddette 'buchette' che gli zapatisti usano come depositi di oggetti personali, era stato ritrovato un manoscritto. Le bozze di un libro, per l'esattezza. Un libro che in quei giorni veniva pubblicato in Italia in anteprima mondiale, o almeno così credeva l'editore. Neanche a farlo apposta l'autore aveva autografato quelle bozze: QUE VIVA MARCOS! SALUD, LUTHER BLISSETT.
Seconda lezione
Qualcosa stava succedendo. Giravo per la città cercando di respirare
nell'aria quel senso strano di possibilità. Era ancora un rimando
di eco, un trafiletto sul giornale, una notizia di cronaca, una scritta
su un muro. Camminavo per ore, cercando di cogliere con la coda dell'occhio
i dettagli che la quotidianità tendeva a nascondermi. Non potete
immaginare quanto siano importanti i particolari in questo genere di lavoro.
In quei giorni mi giunse una strana voce. In un liceo cittadino, una bella
mattina un professore di Storia dell'Arte era entrato in classe e aveva
vergato a chiare lettere sulla lavagna le due parole LUTHER BLISSETT. Quindi
si era girato verso il pubblico e aveva detto: "Per la fine del mese
dovete portarmi una ricerca su questo argomento". Una grande performance!
Qualche giorno dopo mi ero ritrovato a giringirare per una libreria del
centro e avevo scovato un libro intitolato LUTHER
BLISSETT, l'impossibilità di possedere la creatura una e multipla,
a cura di un certo Gilberto Centi. Cominciavo ad avere il sospetto che qualcuno
ordinasse le cose per farmi incappare continuamente nel fantomatico terrorista
culturale, il corsaro situazionauta. Come se le cose si trovasserto sempre
lì ad aspettare di essere notate Non ho mai creduto al destino. Solo
alle coincidenze. Naturalmente non comprai il libro di Centi era una partita
che preferivo giocare senza bastoni e senza carote. Sapevo che Luther avrebbe
disseminato il percorso di false piste, che avrebbe camminato all'indietro
per far credere agli scout di andare nella direzione opposta. Acquistai
il libro di Marcos, invece. Una selezione di interviste al vicecomandante
dell'EZLN. Se era vero che un mese prima, nella Selva Lacandona, in una
delle "buchette" degli zapatisti era stato ritrovato un manoscritto
firmato da Luther Blissett (notizia a cui non davo nessun peso) Luther avrebbe
dovuto avere contatti in Messico. Dubitavo anche di questo, fino a quando
non mi imbattei in una frase pronunciata dal subcomandante zapatista che
veniva riportata nel libro: "Se proprio volete sapere chi c'è
sotto il passamontagna potete sempre prendere uno specchio e guardarvi".
Tornai a casa di corsa. Mi precipitai al mio archivio e cominciai a spulciare il materiale che avevo accumulato in quei mesi su Blissett. La trovai. Una cartolina che mi era arrivata qualche mese prima. Pubblicizzava una mostra intitolata AUTORITRATTI VIRTUALI che Blissett aveva tenuto a Venezia durante la Biennale. Una sfilza di volti stipati e sul retro il testo che ricordavo:
Il LUTHER BLISSETT project è aperto a tutti: chiunque può guardare nello specchio e vedere LUTHER BLISSETT. I passanti sono LUTHER BLISSETT, chiunque è LUTHER BLISSETT: mio padre, il Papa, Liala, Pasolini, Eluard, Fortunato Depero, Bui, Frank Zappa, Guy Debord, Kurt Schwitters, Oscar Wilde, Ray Johnson, il subcomandante Marcos, Marlene Dietrich, Kerouac, Einstein, Man Ray, Mayakovsky, Pinot Gallizio, Duchamp, Harry Kipper, Keith Haring, Valentino, Fellini, Artaud, Che Guevara, Alberto Rizzi, Marilyn, Lennon, Piermario Ciani, Moana... Anche se non lo sai TU fai parte del LUTHER BLISSETT project. Quando guardi la faccia di LUTHER BLISSETT guardi te stesso. Questo è il solo AUTORITRATTO VIRTUALE che deve interessarti!
ALLEANZA NEOISTA, Venezia, giugno 1995.
Sembrava fatto apposta. Il riferimento allo specchio e tutto il resto. Eppure non poteva essere, perché il libro di Marcos era uscito in ottobre, e la cartolina di Blissett risaliva a giugno. Dunque? Ve l'ho detto, io credo alle coincidenze. Aveva tutta l'aria di un messaggio diretto, come se Blissett e Marcos giocassero a lanciarsi dei richiami, e io mi trovassi a fare il Fesso in Mezzo. Io o chiunque altro, s'intende. Ma chi faceva da ponte? Chi era il corriere? Forse soltanto la mia immaginazione. Del resto quel libro ritrovato nel Chiapas non si intitolava proprio Invasores de la Mente? Un senso doveva pur esserci C'era dell'altro, come al solito. Cosa spingerebbe un Master of Arts dell'Università di Toronto a dedicare un libro a Luther Blissett? Ebbene sì, si trattava di una raccolta di sermoni radiofonici di Hakim Bey, il santone sufi nordamericano. Il curatore, un certo Ugo Scoppetta, nato a Salerno nel 1962, dedicava l'operazione al Nostro; e più volte lo citava nel saggio introduttivo. Bologna, Toronto, Mexico City. Dal segmento eravamo passati al triangolo, ma qualcosa mi diceva che questo gioco tendeva alla circonferenza. E quello in mezzo ero sempre io. O magari io ero già il quarto vertice del parallelogramma. La geometria comunque non è mai stata il mio forte. Era il caso di dedicarsi ai docenti di Storia dell'Arte, agli specchi, ai libri fuori dall'ordinario, agli editori fantasma, alle cartoline, a tutte queste cose INSIEME. A conti fatti il Mezzo può essere anche il Centro della Cospirazione. Dipende da quale angolazione si guardano le cose
Terza lezione
Dal primo capitolo di Mind Invaders:
Il 13 gennaio 1995 Ray Johnson, il Grande Padre dell'Arte Postale, si è suicidato tuffandosi da un ponte nelle acque gelide del Sag Harbor, nello stato di New York.
Pochi giorni dopo il suicidio, l'agente di Johnson, Rick Faigen e l'avvocato ingaggiato dai famigliari hanno fatto alcune scoperte sconcertanti: tutti sapevano del totale disinteresse di Ray per il lusso e le comodità, nondimeno sono stati trovati quasi 400.000 dollari in un suo conto in banca, intestato a... Luther Blissett. A tre giorni dalla scomparsa, il postino ha consegnato una cartolina indirizzata a Ray, spedita da Los Angeles proprio il 13 gennaio. C'era scritto: 'Se stai leggendo queste righe, vuol dire che sono morto. Firmato: Ray Johnson'.
Come faceva Ray a impostare quella cartolina a Los Angeles mentre si stava gettando nel Sag Harbor, a seimila miglia di distanza? Ovviamente qualcun altro sapeva che quel giorno Johnson si sarebbe suicidato. Chi era il misterioso mittente? Tutto questo gettava una strana luce sul caso. Un caso che poteva sembrare banale e già visto: ogni giorno c'è un artista disperato che decide di farsi fuori in qualche modo strano: simbolico. Ma questa volta mi trovavo ancora tra i piedi Luther Blissett, intestatario di un conto da far paura. La morte simbolica poteva essere una buona pista, sia che si fosse trattato di suicidio sia che qualcuno avesse dato una non troppo affettuosa pacca sulla spalla a Johnson, in modo da spedirlo ai pesci. Il fiume porta all'Oceano, l'uno che confluisce nel multiplo. Era abbastanza Lutherista per i miei gusti. C'era ancora un indizio però che la polizia e i legali della famiglia non avevano considerato: un biglietto aereo per Città del Messico e un indirizzo scritto a mano su un foglio di block-notes accanto al telefono nella casa di Ray. Sul biglietto c'era scritto: Hotel Washington, Calle 5 de Mayo, Mexico, DF. Questo riportava a galla tutti i miei sospetti sulle connivenze tra Blissett e Marcos. Magari un Marcos cittadino, che si dilettava di telematica e networking. Ma era comunque presto per sbilanciarsi. Di certo suonava davvero strano che Johnson avesse deciso di partire, visto che a sentire gli amici pare fosse uno di quei tipi che fanno fatica a superare il cortile di casa. Eppure quel biglietto della TWA era intestato a lui. La partenza era prenotata per il 13 gennaio. Che bella coincidenza! Certo il modo di volare l'aveva trovato comunque Eppure non poteva essere. Era quanto meno contraddittorio prenotare un volo per il Messico e pianificare la propria dipartita da questo mondo lo stesso giorno. E poi cosa andava a fare Ray Johnson a Mexico City? Tutto lasciava supporre che qualcuno avesse voluto sbarazzarsi del vecchio Ray. Sì, ma perché? A chi poteva dare fastidio un mail-artista plurisessantenne?
Telefonai al mio ex-collega Jerry Mullighan, che da qualche anno ammazzava il tempo giocando a Risiko per la CIA, e gli chiesi se sapeva qualcosa della misteriosa morte di Johnson, loro sanno sempre tutto, forse avrebbe saputo darmi qualche dritta. Sembrò che gli avessi premuto una mano sulla pancia durante un attacco di appendicite. No comment. L'unica cosa che gli strappai fu: "Se vuoi scoprire la verità segui le tracce di Blissett". C'era un che di mistico in una frase del genere, ma non mi impressionai. Dunque c'entrava la CIA, in qualche modo. Questo era appurato. E se fossero stati proprio quei masturbatori mentali, i principi indiscussi della paranoia, a fare fuori Johnson? Il tocco in effetti poteva essere il loro: la cartolina, il fatto di presentare tutto come una performance apocalittica Ancora però mancava il movente. Forse c'entravano le connivenze di Johnson col Luther Blissett Project. Nel libro firmato da Blissett medesimo, uscito in quei giorni per l'editore Castelvecchi di Roma, Johnson figurava tra i fondatori del progetto. Potevo immaginare che l'Agenzia si fosse interessata alla faccenda. Ve l'ho detto: sono dei pazzi paranoici, se non sanno di te più di quanto tu stesso non sappia pensano già che qualcuno stia complottando contro di loro. E sapere qualcosa di esclusivo su Blissett, qualcosa che li potesse far sentire in qualche modo al di sopra dei comuni mortali, era davvero difficile. Per chiunque, dato che chiunque avrebbe potuto essere Luther Blissett.
Forse avrei dovuto seguire la pista di quei 400.000 dollari. A che cosa e a chi erano destinati? Presumibilmente dovevano essere i risparmi di tutta una vita. Dunque: una sacco di soldi, un biglietto per il Messico, un presunto suicidio lo stesso giorno in cui Johnson avrebbe dovuto recarsi a Mexico City, la CIA che ci mette lo zampino Tutto congiurava a farmi credere che Johnson avrebbe dovuto incontrare qualcuno all'hotel Washington, magari proprio per decidere cosa fare di quei soldi. E la CIA aveva voluto mandare a monte l'affare, togliendo di mezzo Johnson e cercando di spacciare la sua scomparsa per un suicidio artistico. Se conosceste gli impiegati frustrati di Langley quanto me capireste che non è un'ipotesi così inverosimile. Del resto era stato proprio il vecchio Jerry Mullighan, in un pomeriggio piovoso dell'85, a definirmi la creatività di quella gente: "Un grande scenario si compone di elementi che non avrebbero dovuto essere in quel posto. I buoni scenari sono composti da cose che abitualmente nella vita quotidiana non si presentano unite. Tutta l'arte consiste nel riuscire a riunirle in una trama che si muova nel tempo e nello spazio". Beh, una filosofia del genere poteva andare bene tanto per la CIA quanto per Luther Blissett, il Grande Tessitore. Forse i puffi di Langley stavano cercando proprio di eliminare un concorrente Un'idea geniale e insana. Di quelle che possono interessare uno come me. Forse avevo trovato il filo pendente di una trama più grande e intrecciata di quanto inizialmente non immaginassi. Si era impigliato per caso in un biglietto aereo fuori posto e in un conto in banca aperto per Mr. Blissett. Una cosa era certa: valeva la pena scoprire chi faceva l'uncinetto dall'altra parte, ovvero chi aveva aspettato Johnson invano il 13 gennaio, in quella stanza d'albergo
Quarta lezione
La puzza si sentiva da lontano. Coniglio andato a male. Una settimana dopo l'omicidio del capo della Jihad a Malta, lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno di Israele si fa passare sotto il naso un killer invasato che spara tre colpi di pistola su Ytzhak Roger Rabin. Il coniglio esce dal cilindro del Mossad e tutto fila liscio come in un film di Oliver Stone. Tutto già visto. Si chiama Ygal Amir. Fa parte dell'organizzazione della destra ebraica più estrema, niente da invidiare a Komeini e compagnia. È stato addestrato militarmente e ideologicamente in un kibbuz dai reparti speciali. Alla facoltà di giurisprudenza di Tel Aviv - uno dei maggiori centri di reclutamento del Mossad - è stato compagno di corso della guardia del corpo di Rabin, la quale al momento dell'attentato invece di fare da scudo umano al primo ministro si butta su Amir, improvvisatosi mano di Dio per l'occasione. Restiamo nel classico: anche Bruto e Cassio avevano comprato un momento di ditrazione del capo dei Pretoriani. Non c'è molta estetica in tutto ciò, è un manuale collaudato. Il manuale della festa perfetta, la ricetta del coniglio in umido dell'Artusi che mia nonna seguiva alla lettera. Al rinfresco presenzieranno tutti. Nessuno può mancare. Tutti in prima fila al party d'addio. Il loro funerale. L'ultima cena. Dalla moglie Jessica al vicepremier Hanna e al re del Rif Barbera. Arafat e Clinton come due caimani piangono se stessi aspettando che qualcuno stacchi la spina. Presto smetteranno di disegnarli. È una serie che non tira più.
L'ultimo capitolo di MIND INVADERS, il libro di Blissett, parla di ratfucking, ovvero di come fottere i topi. E i conigli. Ma non c'è niente che possa essermi utile. L'ipocalisse saluta il secondo millennio che tira le cuoia. E quasi quasi mi viene da ridere. Odio i casi già risolti in partenza, anche quando sono soldi sicuri. Dal breve dizionario per il secolo XXI: "Nei giorni successivi le Nazioni Unite, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale fecero bombardare coi gas le città conquistate dai fanatici: in America Salt Lake City, Anchorage e La Paz; in Europa Aberdeen, Losanna, Bucarest e Ankara; in Asia Novosibirsk e Macao; in Oceania Wellington". Mi sentivo superfluo quasi quanto una sniffata a una bottiglia di whisky. Telefonai a Jerry al suo numero di casa per avere qualche pettegolezzo fresco da Langley con cui rodere l'insonnia. Il messaggio nella segreteria telefonica diceva: "Salve, sono momentaneamente assente perché ho vinto un biglietto gratis per l'apocalisse. Lasciate un segno, non andrà perduto". Il solito umorismo da bibliotecari comunali. Non perderanno mai il vizio.
C'era poco da stare allegri, non c'era un complotto decente su cui impegnarsi neanche a pagarlo in marchi su un conto svizzero. La CNN trasmetteva uno speciale sul fattaccio di Israele presentato dalla rana Kermit e intitolato "Chi ha incastrato Roger Rabin?". Insomma, la nottata si prospettava lunga e noiosa. Poi all'improvviso mi sganciarono sulla testa la notizia d'agenzia che si era suicidato Gilles Deleuze, un nome da rasoio elettrico o da profumo finto-francese. Un tuffo olimpionico dalla finestra con triplo salto mortale stile gatto Silvestro. Ci rimasi come dire di sasso. Ma nemmeno questa poteva essere una buona pista. Il vecchio aveva 70 anni e pare stesse molto male. Decisamente sconsolato ricominciai MIND INVADERS per la quinta volta. Tanto valeva immergersi nella teoria e aspettare che comparisse la scritta. THAT'S ALL FOLKS!
Quinta lezione
Era un bel sogno quello da cui mi svegliò il nuovo cliente. Io e Peter Sellers organizzavamo un complotto a casa di Cary Grant. Ai suoi danni, s'intende. La mia fidanzata, anzi la mia ex-fidanzata, sei ore prima mi aveva detto che ero ossessionato, che non riuscivo più neanche a scopare e passavo tutte le notti tra la CNN, il computer e i libri di spionaggio esoterico, sempre a oliarmi le rotelle del cervello sulle storie più assurde. Il campanello suonò alle otto, più o meno quando Peter stava distraendo Grant perché io potessi fottergli un paio di forchette d'argento. È un peccato quando i bei piani vanno a monte: eppure è così, c'è sempre una donna delle pulizie nel posto sbagliato o un DJ troppo chiacchierone o un cliente che suona alla porta di prima mattina Un tipo distinto, un nero, sui quaranta, accento inglese, una bella giacca anche se un po' demodé. Lo feci accommodare sul divano sul quale otto ore prima avevo tentato di avere un incontro al vertice piuttosto cinico con la mia ex, senza alcun risultato. L'amico ebbe un'uscita che mi causò un moto di stima immediato: "Qualcuno ordisce un complotto ai mei danni. Voglio che lei scopra di chi si tratta".
Mi raccontò la sua storia, disse che dirigeva un negozio di articoli sportivi a nord di Londra, ma che dieci anni prima era stato un campione di calcio, capocannoniere del campionato britannico con trenta gol all'anno. Lo bloccai prima che aggiungesse altro. Andai in bagno e mi sciacquai la faccia per essere sicuro di essere sveglio. Mi ci volle un buon minuto prima che riuscissi a convincermi di avere in salotto Luther Blissett, nato a Falmouth, in Giamaica, prestanome involontario della Blissett s.p.a., la società col maggior numero di azionisti anonimi del mondo.
"Qualcuno, anzi, svariate persone, stanno usando il mio nome, violando la mia privacy. Pensi che ieri ho scoperto di essere sorvegliato dalla polizia credono che io abbia a che fare con le azioni di questi farabutti".
Era sinceramente scosso, e ti credo Non doveva essere facile rendersi conto di portare sul passaporto un nome collettivo. "Voglio che lei scopra chi ce l'ha con me e perché mi fanno questo. Il mio nome sta comparendo ovunque, nei posti più impensati. Io non mi sono mai occupato di politica, né di arte o roba del genere".
Lo lasciai mentre scendeva le scale sconsolato dopo avermi pagato una settimana anticipata. Un caso umano, faceva una gran pena.
Mi misi subito al lavoro, era l'affare su cui mi arrovellavo da mesi. Ora si trattava di risalire all'origine della leggenda e scoprire "chi", chi aveva avuto l'idea geniale di plagiare il nome del distinto Mr. Blissett per i propri scopi. Mind Invaders, il libro-manifesto uscito da poche settimane e firmato appunto col nome collettivo, parlava chiaro: i padrini del progetto erano stati almeno tre. Lo scomparso Ray Johnson, il performer californiano Coleman Healy, e il suo collega inglese Harry Kipper. Il quarto moschettiere pareva fosse Stewart Home, un romanziere da strapazzo travestito da skinhead che viveva nell'East End. Lo rintracciai tramite la sua casa editrice, spacciandomi per giornalista: i narcisisti sono facili da lavorarsi. Chiesi un abboccamento a quattr'occhi con lui e Kipper e fissai un appuntamento per il giorno dopo. Il luogo prefissato era un ristorante spagnolo della city, dove se ordinavi un english breakfast tea ti portavano una colazione all'inglese con uova sbattute e pancetta. Dovetti offrire io naturalmente, anzi offrì per tutti e tre Blissett, visto che pagai con i soldi dell'onorario. Parlammo per tutto il pomeriggio. In quell'occasione scoprii che i conti non quadravano. Home e Kipper mi dissero di aver aderito al Progetto Luther Blissett insieme a Healy su invito di un anonimo mail-artista canadese. Qualcuno mentiva. O forse tutti dicevano la verità.
Nei due giorni seguenti raccolsi quanto più materiale potevo sul Progetto e lo spedii al mio cliente. Per due settimane non ebbi più sue notizie e pensai che mi avesse scaricato. Poi un pomeriggio, mentre le cose con la mia ex, quella del divano, cominciavano a mettersi al meglio, suonò il telefono: "Pronto, sono Blissett. Scusi se non mi sono fatto vivo prima, ma ho riflettuto molto sul materiale che mi ha spedito".
Sembrava eccitato. Attesi il verdetto come il classico condannato a morte che spera che il boia non sia troppo ubriaco.
"Beh, ecco, volevo dirle che è qualcosa di grandioso! Molto meglio che essere capocannoniere! Capisce, è come l'ultima scena di quel film, Il colore dei soldi, quella in cui Paul Newman prende in mano la stecca e dice: 'Ehi, sono tornato!".