Il diario di Nathan Adler (parte II)

ovvero il 1° maggio neoista di Luther Blissett

by Luther Blissett

 

"Luther Blissett non ha inventato la storia. Ha solo guardato più in basso, come sa fare la talpa che erode la terra nelle fondamenta. Luther Blissett non ha inventato la storia. Ha solo visto il movimento e l'ha chiamato col nome di Luther uno e multiplo."

Luther Blissett, "Sull'Ipocalisse - miseria dell'apostolo Paolo"

 

30 aprile 1996, ore 18.00. Tutto poteva essere cominciato in un pomeriggio di primavera del 1649, quando il cialtronauta Abiezer Coppe era entrato in chiesa, era salito sul pulpito e aveva bestemmiato per un'ora di fila: "Che una piaga di Dio si prenda tutte le vostre preghiere!"

Solo che questa volta era in versione Totò imperatore di Capri, quanto mai adatto all'occasione e di un cattivo gusto u(n)nico. Pelle di leopardo e turbante di un blu tuareg quasi originale; invece di una navata i nuovi locali della libreria Grafton 9 in Piazza Aldrovandi 1/a. In cima al pulpito, dicendo cose serissime, arringando i presenti con toni gioiosi da bestemmiatore, Luther presentava il suo libro Totò, Peppino e la Guerra Psichica (una vera miniera per chiunque indagasse sul suo conto), sfoggiando una non chalance incredibile. Lo affiancavano una ragazza bionda sul prosperoso, oltre agli immancabili Stan Lorel e Oliver Hardy:

"Innanzi tutto il saluto di Luther, cari fratelli e sorelle. Fino a quando dormirete, fino a quando non riconoscerete i tempi, la primavera sulla vostra pelle!? Dovete essere fiduciosi, ma soprattutto FELICI. Questa primavera assoluta ci risuona dentro come una chiamata all'azione, come un orgasmo prolungato, con un'eco lunghissima, di quelli che ti fanno urlare e ti lasciano boccheggiante a guardare il soffitto per mezz'ora. Lo so, lo so, anch'io ho rischiato di lasciarmi sopraffare, di lasciarmi vivere addosso, e tutto scorreva lento di fianco a me, come se io potessi solo soffiare sulle cose senza deviarne il corso. Ma non è così, fratelli e sorelle, non lo è MAI. Io e voi c'entriamo sempre, Luther è qui a dimostrare che il suo zampino è ovunque, vivo, mobile, serpeggiante nelle situazioni"

 

Era uno di quegli attacchi che avrebbe fatto la gioia di Thomas Müntzer e pazzi del genere. I presenti erano indecisi se non credere ai propri occhi o alle proprie orecchie, se ridere o piangere di commozione. Luther proseguiva sparando a zero sull'arretrata e reazionaria cultura del copyright, sull'idea del genio individuale e la proprietà privata dei prodotti culturali. Lo faceva citando un eretico del ventesimo secolo:

"Per più d'una ragione quello che pubblico qui avrà punti di contatto con quello che altri oggi scrive. - Le mie osservazioni non portano nessun marchio di fabbrica che le contrassegni come mie - così non intendo avanzare alcuna pretesa sulla loro proprietà".

Ludwig Wittgenstein - Ricerche filosofiche

 

Lo sentivo sputare anche sul trend dell'internettismo modaiolo cyberpunkeggiante a cui alcuni giornalisti avrebbero voluto ridurre le sue imprese e invitare ad usare tutte le forme di comunicazione esistenti, dal modem ai piccioni viaggiatori, al linguaggio per sordomuti. Ogni situazione richiede media adeguati, si tratta di individuarli e praticarli. La mia sensazione era che Luther chiedesse a tutti i presenti di riprendere in pugno le proprie vite, con un'energia che mi metteva quasi a disagio e mi gettava uno strano panico addosso.

"In verità vi dico: Non c'è bisogno di saper fare bei discorsi o scrivere libri o recitare o sputare più lontano degli altri. Certo c'è bisogno anche di questo, ma più di tutto c'è bisogno di vivere! Questa è la battaglia a cui siamo chiamati: non lasciarci addormentare dal fancazzismo, non lasciare che la primavera e le tempeste ormonali ci spezzino le ginocchia impedendoci di abbandonare le solite piazze e i luoghi comuni della memoria. Destiamoci! I tanti me sparsi per il globo terracqueo sono desti: Luther vuole divertirsi! Ma è questione che riguarda ognuno: la Guerra Psichica comincia da qui, in questa ultima primavera, sì ultima, fratelli e sorelle, perché solo così possiamo viverla, pensando che tutto si giochi adesso!"

 

Alla fine della presentazione, Luther ribatezzava i partecipanti, attingendo l'acqua da un catino in cui tutti dovevano sputare. La formula recitava: "Io mi battezzo nel nome di Luther e del condividuo". Ovviamente una schifezza del genere sarebbe finita sul conto degli extra che avrei presentato ai miei committenti

L'invito era per il rito neopagano del giorno dopo, il 1° maggio contro il lavoro, sotto la bandiera dell'annichilimento dell'orario di lavoro a parità di salario.

Lo scenario sarebbe stato suggestivo: Piazza S.Stefano, con tanto di chiesa e prete allibito annessi. I druidi, vestiti di bianco, si sarebbero mossi due a due intorno a tre braceri, tracciando un cerchio magico per terra con semi di grano e farina, distribuendo fiori ai presenti, accompagnati dai canti celtici del coro e dal battere del tamburo di guerra.

Gli spettatori sarebbero stati almeno trecento, scaldati da un sole primaverile fatto emergere da Luther, con i suoi inni, dalle nuvole che fino a mezz'ora prima pisciavano sulla piazza Ragazzi, coppie di innamorati, comitive di pensionati in gita turistica, famigliole Moulin Blanc, transfughi annoiati da sindacalisti sbraitanti con il lavoro e la morte nel cuore, e chi più ne ha.

1° maggio 1996, ore 16.30. Una festa contro il lavoro, per il reddito di cittadinanza, per il tempo libero e la possibilità di fare tutte le cose che ci piacciono. Sì, c'era qualcosa di strano nell'aria, oltre all'odore di rosmarino e alloro bruciati C'era profumo di divertimento e di "possibilità", qualcosa che non annusavo da un pezzo. Mi ricordai improvvisamente della copertina della compilation della Beggars Banquet che avevo acquistato a Londra un'eternità prima, intitolata Streets:

"Quello fu l'anno in cui la gente uscì dalle sale e scese in strada; in cui i gruppi indipendenti spuntarono dal nulla per soddisfare nuovi gusti; in cui il teatro tornò all'energia e al divertimento; in cui i consigli comunali persero il controllo. D'improvviso, potevamo fare qualunque cosa".

 

E ancora le parole dell'avanbardo Blissett, declamate il giorno prima dal pulpito, mi ronzavano in testa come in un post-sbornia sedicenne:

"Se siete solo tre, se siete due, o anche soltanto uno, non temete neanche centomila, poiché siete Luther e siete già imprendibili in mezzo a QUEI centomila, perfettamente mimetizzati nelle strade, nelle Piazze Verdi o di qualsiasi altro colore, sugli scaffali delle librerie, nelle scuole, nelle facoltà, nei centri sociali, nei santuari della cultura."

 

Aveva il retrogusto di una dichiarazione di guerra: di una chiamata alle armi. Robin the Hood, lo spirito della foresta, il bandito, il tagliagole e Blissett l'Incappucciato, il pirata dell'immaginario collettivo, riempiono di frecce la faretra. A rito ultimato, l'avanbardo e frate Tuck invitano tutti gli spettatori a seguirli in processione. I druidi e il coro in testa, il corteo non autorizzato dei fratelli di Sherwood si muove verso Piazza Maggiore, intonando un canto di guerra bretone ritmato da un tamburo inquietante. "I lupi della bassa Bretagna digrignano i denti, alle armi, alle armi!" Seguirli è come sentire i muscoli riempirsi di una strana gioia: i brividi che galoppano sulle braccia. Improvvisamente, senza quasi accorgermene - come Dean Martin la prima volta davanti allo spartito di That's amore -, mi scopro a cantare una canzone vecchia di qualche secolo che sprona alla guerra di classe in una lingua di cui non conosco neanche una parola.

Così vi dico: "Lo Sceriffo di Nottingham ha sguinzagliato i suoi sgherri per la contea. Ma voi non temete, non vi deprimete per questa gran moltitudine che ci fronteggia, poiché non è battaglia vostra, ma di Luther. Questa battaglia non dovete combatterla da soli, ciascuno di voi è Luther, dovunque, comunque. Il condividuo è l'arma più potente e la posta in palio, lo dirò finché avrò fiato per urlare, non è nient'altro che questa spudoratissima, splendidissima, eccitantissima, VITA!"

 

to be continued