Dopo anni di presbiopia, "l'Unità" [edizione nazionale] si è accorta dell'esistenza di Luther Blissett e, in occasione della Grande Truffa alla Mondadori, scrive un articolo denso e magistralmente incompetente. A voi!
Da "l'Unità 2" di venerdì 8 marzo 1996
IL FATTO. Mondadori prende le distanze da un suo libro. Perché? Storie di cyber-guerriglia e copyright
UNO, DIECI, UN MILIONE, MA CHI È LUTHER BLISSETT?
Mondadori pubblica un volume con lo pseudonimo Luther Blissett.
Ma chi è Luther Blissett? O sarebbe meglio dire "chi
sono"?
Il fatto è che dietro c'è una complicata storia
di tradimenti, visto che Luther rifiuta il copyright mentre c'è
qualcuno che si è appropriato del suo nome.
di Stefano Bocconetti
Un libro scritto a dieci, mille, un milione di mani. Raccolto, impacchettato, in qualche modo legato da una sola persona, con tanto di timbro del copyright. E fra gli "autori", quelli veri - e che hanno fatto della loro non-riconoscibilità una filosofia - suona scandalo. Non è una metafora, è successo proprio così, ma forse vale la pena spiegare le cose con calma. Dunque, per gli "Oscar narrativa" della Mondadori esce oggi nelle librerie "Netgeneration", un volume a doppia firma. Una è di Giuseppe Genna, appunto la persona che ha raccolto, impacchettato, ecc. L'altra firma è quella di Luther Blissett. La stessa firma, quest'ultima, che campeggiava su un altro libro, "Mind Invaders", Castelvecchi, uscito tre mesi fa, subito esaurito e di cui a giorni uscirà la ristampa.
Già, ma chi è Luther Blissett? Innanzitutto non è, nel senso che la risposta non può essere al singolare. Sono. Luther Blissett, infatti, è un nome collettivo. Scelto da chi? Anche in questo caso, come tutto ciò che riguarda l'argomento, i contorni sono sfumati. All'inizio degli anni '60, è stato il titolo di una rivista dei situazionisti parigini. Uno, due numeri, scritti dai seguaci di Debord, convinti, anche allora, che la destrutturazione del Potere avvenisse rompendo "i nessi logici".
Molti anni dopo, quello pseudonimo ritorna. Il nome ritorna (anni '80) su un manifesto degli studenti inglesi neosituazionisti, firmato: Luther Blissett. Un nome e un cognome che proprio in quegli anni apparteneva (e appartiene tuttora) anche ad un singolo individuo, piuttosto popolare: il centravanti di colore del Watford, la squadra di Elton John. Quel numero 9 che tentò la fortuna anche in Italia, col Milan (all'epoca a corto di osservatori internazionali). In tutto, dalla brevissima esperienza italiana, Blissett - ironia della sorte - ne guadagnò solo un "soprannome": il "Calloni nero". Dove Calloni sta per un'altra, assolutamente improbabile, nel senso di incapace, punta rossonera di qualche tempo fa.
Ma il vero ispiratore del ritorno sulla scena di Luther Blissett come nome collettivo, è stato Ray Johnson, suicida nel gennaio dell'anno scorso, un artista 67enne. Anche se questa definizione, artista, serve a poco a capire: Johnson si fece promotore di quella che si chiama Mail Art, cioé le opere costruite attraverso la posta. C'era chi mandava una lettera, chi un disegno, chi una foto. Chi nulla. E a sostegno di questo progetto, c'era (e c'è) la filosofia che rifiuta il copyright sulle opere d'arte, concepite, invece, come lavoro collettivo. Da questa impostazione all'approccio dei punk americani il passo è breve. Ed è qui che nel '92, al "Convegno Panamericano della Sovversione" che si reintroduce l'uso del nome Luther Blissett. Nome che tutti possono usare, il nome di tutti. Banalmente perché in questo modo si evita che "il Potere li possa identificare". Ma c'è di più, molto di più: lo sbarazzarsi del concetto di In-dividuo ("concetto reazionario, profondamente connesso alla cultura antropocentrica") diventa uno strumento di liberazione. Scrivere tutti, progettare tutti, elaborare collettivamente, insomma, manda in corto circuito le logiche del profitto.
È la rinascita del situazionismo, dunque. [Perché non dei Pre-raffaelliti? N.d.LB.] Che ora può contare su uno straordinario mezzo in più: la rete telematica. Dove espressioni come "progetti collettivi" possono diventare cose concrete, anche se virtuali. Il nodo telematico "Avana" di Roma ne è un esempio. Lo scambio di informazioni, di "pezzi di opere d'arte", la diffusione di saperi: tutto questo grazie al modem. Ma non solo, visto che le Mail Art, attraverso la posta, continuano a funzionare, c'è un fiorire di riviste autoprodotte, numeri unici. Anche da noi, in Italia. C'è un crescere di fenomeni che, loro stessi, definiscono di "guerriglia mediatica". Assolutamente incruenta. Si fa così: si diffondono notizie false, "leggende" che vengono poi amplificate dai media. La "gaffe" dei giornali o delle Tv è uno degli obiettivi. Tutto qui.
E di questo crescere d'interesse per il ritorno di Debord & C. alla fine si è accorta anche l'editoria. Pure quella ufficiale.
Per ultima, arriva la Mondadori. Che pubblica con una stranissima premessa ("Le cose scritte non rispecchiano la proposta culturale dell'Editore") ciò che è capitato a Giuseppe Penna [sic]. Lui la racconta così: approdato ad Internet, s'è imbattuto in (nei) Luther Blissett. Che discutono della loro concezione dei miti, della modernità, della loro speranza di un mondo costituito da "con-dividui", senza copyright. Li ha messi insieme, li ha conditi con qualche riflessione di stampo "giovanilista" (ed anche qualcosa in più: come il recupero di Evola e frasi del tipo 'i giovani non se la sentono più di aspettare un nuovo '68) e li ha dati alle stampe. Con tanto di firma, e copyright, del curatore.
Difficile la situazione, ora, per i veri Luther Blissett: non possono rivendicare nessun diritto, e visto che quella sigla "sono tutti" non possono rivendicare coerenza. Possono però scrivere, per esempio il gruppo "Fatwah" di Bologna, che "se il libro fosse almeno decente, consiglierei a tutti di fotocopiarlo, di depositarlo nelle Bbs, di diffonderlo nei centri sociali in edizioni pirata... Ma non vale tanta fatica".