Dal "Corriere della sera" di domenica 11 aprile 1999, articolo su *Q* di Adriano Prosperi, autore di *Tribunali della coscienza*, uno dei più importanti storici italiani dell'Inquisizione
IL GIALLO DELL'ERETICO CHE VOLEVA CONVERTIRE IL PAPA
Profeta, rivoluzionario, forse cospiratore. Un romanzo che si spinge
laddove gli storici non osano.
Un enigma del Cinquecento affrontato da quattro scrittori che si celano
dietro lo pseudonimo collettivo di Luther Blisset [sic]
di Adriano Prosperi
Si parla sempre più spesso, anche in Italia, della scrittura di storia come narrazione, "fiction". Gli storici di mestiere, da noi, non si sono preoccupati molto, finora, di conquistarsi lettori al di fuori dei recinti accademici. Oggi, invece, quella preoccupazione sta diventando diffusa. Fin troppo. Raccontare meglio è una buona cosa. Non lo è affatto, invece, seguire il motto "anche se non è vero, è ben raccontato". E poi, sono proprio sicuri gli storici che l'insoddisfazione dei lettori riguardi solo loro? Nella domanda agli storici di raccontare storie appassionanti c'è di sicuro anche una certa insoddisfazione nei confronti di una narrativa dove non accade mai niente di importante.
Forse è per questo che sta lentamente rinascendo l'antico genere letterario del romanzo storico. Qui si misurano ora le ambizioni di un romanzo lunghissimo e dal titolo brevissimo: Q di "Luther Blisset" [sic], nome collettivo che dichiara gli intenti non pacifici di quattro giovani scrittori che esordiscono nella più diffusa collana di Einaudi (si chiamano Luca Di Meo, Federico Guglielmi, Fabrizio P. Bellati [sic], Giovanni Cattabriga). Sono entrati in una delle gallerie dove lo scavo degli storici è stato più intenso, si sono imbattuti in un autentico mistero storico e lo hanno affrontato - con gli strumenti del loro mestiere, quello del romanziere.
Ecco il mistero che gli storici non sono riusciti - per ora - a decifrare. Negli anni e nei paesi di Tiziano Vecellio, negli stessi paesi del Veneto, visse un altro Tiziano: un ribelle, un eretico, un uomo dotato di grande fascino. Era "uno con la barba granda", "diceva cose grande". Apostolo di una religione rivoluzionaria e radicale, fu amato e seguito da una vasta rete di seguaci, che diffuse le sue cellule segrete nell'Italia centro-settentrionale e fu capace di riunire a Venezia, in barba a tutte le autorità, un concilio più affollato di quello cattolico di Trento. Come ogni rete cospiratoria anche questa ebbe il suo "pentito": un prete marchigiano, don Pietro Manelfi, nell'ottobre del 1551 ne svelò all'Inquisizione l'esistenza e ne consentì il rapido e violento smantellamento. Manelfi fece il nome di Tiziano e ne raccontò le imprese.
Fra tutte, la più stupefacente fu questa: Tiziano si era incontrato col papa e aveva fatto il tentativo di convertirlo all'eresia anabattista.
Rivelazione straordinaria: si può immaginare con quale imbarazzo la registrassero allora gli inquisitori della Chiesa cattolica. Il verbale della confessione ci è giunto mutilo ed alterato. E gli storici, davanti a quel documento tormentato, sono stati tentati di tacere o di minimizzare.
Lo ha preso alla lettera solo Carlo Ginzburg, uno storico che ama le storie notturne, che crede fermamente che la storia può essere raccontata come un romanzo. Il fatto è che quell'incontro segreto fra papa ed eretico non sembra verosimile: e misurare il vero col metro del verosimile è una tentazione antica. D'altra parte, il documento storico, di per sé, è come un lampo improvviso nel buio del passato: svela l'esistenza di un mistero, non lo spiega.
Qui la strada dello storico e quella del romanziere divergono risolutamente: il primo non può che arrestarsi davanti al vuoto, segnalando che lì la strada è crollata e tutt'al più gettando i fragili ponti delle sue ipotesi; l'altro può liberamente inventare.
I giovani romanzieri che si firmano col nome collettivo di Luther Blisset [sic] hanno preso al balzo l'occasione. Hanno messo Tiziano al centro di un romanzo vasto, finto di avvenimenti e di personaggi, e hanno fatto di lui un personaggio che unisce e ricapitola nella sua biografia i precedenti storici europei di quella cospirazione anabattista italiana. È la sua voce quella che racconta e distende davanti ai nostri occhi il disegno delle azioni di un ribelle sullo sfondo dell'Europa incendiata dalle rivolte e dalle guerre di religione. In questo, hanno fatto tesoro di un dato reale della storia del Cinquecento. Si potrebbe dire, con un'immagine un po' desueta, che allora uno spettro si aggirava per l'Europa: lo spettro della sovversione religiosa e sociale. Un esercito di contadini tedeschi aveva marciato contro i nobili mettendo sulle sue bandiere l'insegna del rozzo scarpone contadino. Un sarto olandese, a Muenster, era diventato sovrano di una nuova Gerusalemme, un regno dei santi, dove l'ordine sociale era rovesciato e si praticava la poligamia e il comunismo dei beni. La reazione era stata violentissima. Contadini e anabattisti erano stati massacrati senza pietà. I "santi" di Muenster avevano terminato la loro vita tanagliati con ferri roventi dentro gabbie di ferro dove per due secoli le loro ossa dovevcano restare, biancheggianti dall'alto del campanile della chiesa di San Lamberto, a memoria e terrore delle generazioni future. È questo il carico di avventure che il Tiziano del romanzo porta con sé nel mondo degli anabattisti italiani.
Certo, quello vero, il Tiziano della storia, colui che aveva materializzato lo spettro dell'anabattismo in Italia, vicino al papato cattolico, anzi proprio al suo fianco, resta per noi uno sconosciuto. Il suo è uno dei tanti misteri nei quali gli storici si imbattono quando affondano la ricerca nei mondi segreti delle congiure e nella realtà sommersa delle classi subalterne. Nel caso degli anabattisti e di Tiziano, un doppio sigillo chiude le porte della conoscenza storica: il silenzio dei documenti dell'epoca sul mondo della classi subalterne ("Tebe dalle sette porte / chi la costruì?") e la scelta deliberata del nascondimento da parte di un ribelle in lotta con poteri schiaccianti e crudeli. Una cosa sappiamo però con certezza: che, nella realtà storica, gli anabattisti italiani furono sconfitti. Lo sanno anche i narratori di Q, che da questo risvolto fallimentare della storia hanno ricavato un disegno narrativo a scatole cinesi. La congiura di Tiziano viene iscritta in un altro complotto che la comprende e la determina: quello di Q, il nemico fraterno di Tiziano, l'agente del cardinale e poi papa Carafa. Q sta per Qohelet, l'autore biblico di cui tutti conoscono almeno una frase: "Non c'è niente di nuovo sotto il sole". Dunque i romanzieri, dopo aver rubato agli storici tutti i personaggi e tutte le informazioni, tolgono alla storia ogni speranza di mutamento reale, di progresso. Lo storico, però, ha almeno un argomento dalla sua; uno solo, ma decisivo: può sempre dire che questo è solo un romanzo. E, se proprio vuole aggiungere qualcosa, può rispondere a Qohelet con le parole di un saggio egizio, suo quasi contemporaneo, che la ha lasciato scritto: "Non dire: 'Oggi è come domani'".