Ieri (sabato 26 settembre 98) "Alias", inserto settimanale del Manifesto, ha recensito a tutta pagina i "Quaderni Rossi di Luther Blissett".

Una nota introduttiva a titolo "personale":

L'articolo di Enrico Livraghi è costruito su imprecisioni cronologiche, giudizi superficiali e refusi reiterati ("Blisset" anziché "Blissett"), ma il suo impatto mitopoietico è innegabile. Ho riso più volte leggendolo, e il titolo è sublime.
Il problema è che a metà articolo Livraghi comincia a scivolare nel solito Pensiero Unico pro-situazionista, tirando in ballo il solito Guy Debord (consiglio per l'ennesima volta la lettura di "Guy Debord è morto davvero", in *Derive Approdi* n.7, primavera 1995).
Parlo di Pensiero Unico perché mi sembra che quelli delle pagine culturali del Manifesto - e purtroppo non solo loro - abbiano trasformato in una vera e propria ideologia la loro difficoltà a trovare (o anche solo immaginare) citazioni e riferimenti fuori dalla gabbia d'acciaio concettuale della paranoia debordiana (lo "spettacolo" etc.). Ogni volta che si trovano di fronte a un oggetto "strano" scomodano l'Internazionale Situazionista.
Io sono convinto che l'analisi di Debord (soprattutto quella auto-feticizzata del tardo Debord) abbia lasciato in eredità l'impotenza e sia divenuta un alibi per la mancanza di prassi: per molti pro-situ e affini, descrivere l'onnipotenza e onniveggenza del potere spettacolare significa già combatterla. Blissett non è di quella schiatta.
Nel pezzo di Livraghi il Pensiero Unico si fa perverso, nichilista, totalizzante: i redattori dei Quaderni Rossi dicono di non essere situazionisti? Dev'essere senz'altro una trovata situazionista! Nei Quaderni Rossi si attacca Carlo Freccero? Ma visto che Freccero è uno che ne sa di situazionismo (bah!), dev'essere un raffinato deturnamento! È sgradevole trattare quest'ultimo punto, ma noi intervenuti a Conegliano riteniamo veramente che Freccero sia un personaggio laido e sopravvalutato, espressione organica di quei disgustosi anni ottanta yuppistici e reaganiani di cui proprio "Alias" schernisce/paventa l'imminente revival (Freccero era il capoccia di Italia 1 negli anni più tetri delle nostre vite, don't you remember?). Ci sembra assurda la "difesa d'ufficio" che ne fa Livraghi, paragonandolo indirettamente a "Sartre, Lefebvre, Morin".

Tutto qui.

 


Da "Alias, "26 settembre 98

LUTHER BLISSET, UN PURO MARX

Torna il piccolo grande guastatore, "rieditando" i "Quaderni rossi" di Raniero Panzieri

 

di Enrico Livraghi

Un fantasma pop? Una pura immagine mitopoietica? Una gag elettronica? Insomma, chi è Luther Blisset? Non si tratta del vecchio calciatore del Milan, famoso per la sua broccaggine, ma di qualcosa - o di qualcuno - che è ovunque, e può essere chiunque. Che sia un non-senso? Una burla dadaista? Una semplice essenza virtuale, un puro simbolo, una banale metafora? In pratica, può apparire e scomparire improvvisamente nei luoghi più diversi, assumendo le sembianze più disparate, praticando una "deriva" continua, e generando "spiazzamenti" inauditi. Luther Blisset è un Multiplo. Lo dice lui stesso. E lo ripete, quasi a contrapporre la radicalità sbeffeggiante dei *molti* alla mistificante proliferazione post-moderna dell'*Uno* (digital-plotiniana?).
In realtà Luther Blisset è nato a Bologna, più o meno nel 1995, probabilmente generato dal cervello virale di un pugno di guastatori del senso comune. Una sorta di *gremlin* sgusciante e volutamente fantasmatico, dapprima conosciuto a pochi e in seguito assurto agli onori (dis-onori) dei media nazionali, dopo una destabilizzante incursione ad Antennacinema di Conegliano Veneto, il 18 aprile 1997. *Luther Blisset - rivista mondiale di guerra psichica* è, appunto, una rivista (si fa per dire) apparsa in soli tre numeri nel 1995. Dello stesso anno è il saggio *Mind Invaders. Manuale di guerriglia e sabotaggio culturale*, edito da Castelvecchi. Un libro scandaloso, "maledetto", indagato dalla magistratura per "abuso del diritto di critica". Intanto sono da poco in libreria i QUADERNI ROSSI DI LUTHER
BLISSETT (edizioni Grafton 9, pp.44, L.5000), una nuova piccola pubblicazione, di cui sono previsti pochi numeri, che potrebbe suggerire l'idea di un progetto di "sovvertimento del mondo". Ma non è così semplice, forse a Luther non gliene frega niente di un "altro" sovvertimento del mondo. Intanto, perché Quaderni Rossi? Perché - così recita una sorta di editoriale - la scelta del nome è un "chiaro omaggio all'omonima rivista di Raniero Panzieri, capostipite dell'operaismo dei primi anni sessanta, precursore del '68 e dell'autunno caldo". Ma non è solo un omaggio al mai abbastanza compianto Panzieri; è bensì, e coerentemente, "una dichiarazione sarcastica nei confronti del trentennale del '68, per spiazzare e schernire tanto quelli che si contendono una presunta 'eredità' quanto quelli che vedono in quel ciclo di lotte semplicemente l'anticamera del 'terrorismo' e già ci hanno rotto il cazzo col ventennale di Moro".
Poco importa che la leggera pubblicazione sia dedicata per lo più a un rendiconto della devastante incursione di (dei) Luther al convegno di cui sopra. Si faccia caso alle parole "spiazzare" e "schernire": risuonano come un'eco. Da quando qualcuno ha messo nero su bianco e, soprattutto, ha fatto sgusciare e dilagare il nome di Luther Blisset nell'infospazio, lo spirito magmatico e destrutturante del situazionismo sembra tornare a ribollire.
Nondimeno Luther si picca di essere anti-situazionista: per esempio un'altra delle sue prime pubblicazioni del 1995 ha per titolo "Guy Debord è morto davvero". Tra l'altro, il buon Carlo Freccero, che del situazionismo ha fatto quasi una bandiera, viene definito su questi quaderni "una verminosa carcassa di fighetto lottizzata dall'Ulivo". Ma non bisogna prendere le parole di Luther alla lettera: si tratta di puro detournement appunto, puro spiazzamento. Del resto che altro faceva il defunto Debord quando impiantava violente polemiche, non si dice con il PCF, ma con i vari Sartre, Lefebvre, Morin, per non dire con i rivoltosi del ghetto di Watts nel 1965?
È pur vero, comunque, che Debord tirava i suoi duri attacchi in vista di un programma di *rilettura* in profondità di Marx, mantenendo la parola, come è noto. *La società dello spettacolo*, infatti, appare nel 1968. Si tratta di un testo cruciale del pensiero sovversivo di questo secolo, con il quale viene rimesso in campo un Marx ignoto, e comunque annullato e perfino dileggiato da quasi tutti i "marxisti". In effetti ancora oggi questo straordinario libro - molto citato e ben poco letto - non può che risultare sostanzialmente indigesto senza una precedente penetrazione nei luoghi più rimossi del pensiero di Marx. Percorrendo strade del tutto autonome, Debord arriva al nucleo centrale di quel pensiero, cioè all'idea che la società capitalistica è *fondata sull'astratto*.
Può essere che questo preteso anti-situazionismo di Luther riproduca simbolicamente il classico parricidio. Anche Panzieri coi suoi *Quaderni Rossi* metteva in scena il prologo di un parricidio: quello del movimento operaio terzinternazionalista, che poi i compagni-epigoni di *Classe Operaia* avrebbero consumato. Una volta, Bifo (Francesco Berardi) ha definito Luther Blisset "il nostro principale contributo all'estinzione della civiltà". Beh, appunto, se si tratta della civiltà fondata sul lavoro alienato, un bel pezzo di contributo l'aveva già fornito Panzieri. Non per caso Luther gli rende omaggio. Non per caso il suo editore si chiama Grafton 9: era l'indirizzo di Marx a Londra.
Che poi Luther stesso sia anche l'"Anticristo dell'informazione" (sempre Bifo) ben venga. Ben venga che si presenti come "un'antropomorfizzazione dell''intelletto generale' "(parentesi nel testo: "una nota espressione marxiana"), dato che oggi la spettralità del feticcio-merce per lo più *appare* annidata nell'estasi virtual-trascendente del mercato elettronico. Come scriveva Debord, "lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione che diventa immagine".