2. Legge Cossiga e altre nefandezze
Re: "Il mio popolo è felice! Come vedete, sorridono tutti. Se qualcuno non sorride, lo sbatto nelle segrete". Rivolto a un contadino sorridente: "Ehi, tu". Contadino sorridente: "Dite a me, maestà?". Re: "Portatelo nelle segrete!" (il contadino è subito trascinato via). Straniero sbigottito: "Altezza, non riesco a capire: quel contadino stava sorridendo". Re: "Già, ma adesso non sorride più. Preferisco prevenire il crimine piuttosto che attendere che venga commesso!". Sembrano "veline sceneggiate" di Cossiga ai suoi solerti subalterni. Oppure una realistica rappresentazione di Radio Alice di questo stato autorevolmente autorevole, dei suoi sospettosissimi e nervosi funzionari e delle loro dure lotte contro i cattivi pensieri della gente. Invece si trova nel settimanale, edito da Mondadori (n.1129, 17 luglio 1977) Topolino. Che sia l'ultima voce libera?
Giuliano Spazzali, Italiani, perché non dovremmo...?, "Lotta continua", 23/8/1977
Parlando di lotta al "terrorismo", è inevitabile
soffermarsi sul mandato speciale conferito al generale dei carabinieri
Carlo Alberto Dalla Chiesa. Ma sarebbe difficile farne capire
la portata e la gravità senza parlare dei servizi segreti
e della loro riorganizzazione.
Come molte altre materie (carcere, interrogatorio di polizia,
intercettazioni telefoniche...), anche l'organizzazione dei servizi
di sicurezza conosce una "riforma" a cui segue di pochissimo
una controriforma che ne contraddice, invalida o addirittura ribalta
gli enunciati. In realtà si dovrebbe parlare di una contemporaneità
dei due processi, quindi di un'unica "controriforma"
nell'accezione suggerita da Italo Mereu, cioè stante a
indicare
non... "chi è contrario a una riforma", ma... "chi vuol cambiare molto perché tutto resti come prima" ...chi vuol dare, cioè, una veste diversa (o anche nuova) a parte della istituzione, ma lasciarne intatta la struttura portante [...] normativa rinnegante. Intendiamo con questo sintagma quel metodo mediante il quale il legislatore pone nello stesso contesto normativo (o in testi diversi) due principi fra loro opposti e contrastanti, lasciando a chi detiene il potere la possibilità di valersi dell'uno e dell'altro. È l'incertezza giuridica ridotta in forma di legge; è l'arbitrio codificato e reso legale. (Italo Mereu, Storia dell'intolleranza in Europa, Bompiani, IIIa ediz., Milano 1995, p.5)
Dopo Piazza Fontana, da più parti si denuncia la strategia
della tensione e si scoprono i mille e mille casi di "deviazione"
di Sifar e Sid da quella che era teoricamente la loro sfera
di competenza, cioè il controspionaggio militare: complicità
nelle stragi e nei tentativi di golpe, spionaggio anti-operaio,
rapporti organici con mafia e trafficanti d'armi, ratfucking
a favore dei partiti governativi etc. Più tardi si scopriranno
le collusioni con la P2, Stay Behind etc.
Ovviamente i servizi segreti, lungi dall'essere "deviati",
hanno sempre fatto ciò per cui li si è istituiti:
spiare e provocare i dissenzienti, svolgendo mansioni di polizia
politica occulta. Ma tant'è: con la legge n.801 del 24/10/1977
si disciplina ex novo l'intera materia dei servizi di sicurezza
e del segreto di stato. Può far sorridere descrivere quella
"riforma" dei servizi oggi che sappiamo dei vari Gelli,
Sindona, Pazienza, Broccoletti, Malpica, stragi, Falange Armata,
Uno bianca, fondi neri, giallo dell'Olgiata. Ma non si tratta
solo del senno di poi: bastava quello di prima.
In sostanza, al vecchio Sid subentrano tre nuovi organismi dipendenti
da un comitato interministeriale presso la presidenza del consiglio:
si tratta del Sismi (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza
Militare), del Sisde (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza
Democratica) e del Cesis (Comitato Esecutivo per i Servizi di
Informazione e Sicurezza).
Il terzo coordinerà i rapporti tra i primi due e con la
presidenza del consiglio. La presidenza del consiglio dovrà
rendere conto al parlamento dell'attività dei servizi,
tramite un rapporto semestrale. A sua volta, il parlamento nominerà
un comitato di controllo ("costituito da quattro deputati
e quattro senatori nominati dai presidenti dei due rami del parlamento
sulla base del criterio di proporzionalità"). Il comitato
parlamentare potrà formulare proposte e chiedere al governo
informazioni sulle attività dei servizi; a tali richieste
il governo potrà opporre il segreto di stato, "con
sintetica motivazione". Se il comitato riterrà infondata
tale motivazione, lo riferirà alle camere, che comunque
non potranno obbligare il governo a passare le informazioni richieste.
Inoltre, "i componenti del Comitato parlamentare sono vincolati
al segreto relativamente alle informazioni acquisite e alle proposte
e ai rilievi formulati [...] Gli atti del comitato sono coperti
dal segreto".
Si vede bene, dipanando la trama di questa pochade, che
i servizi non vengono sottoposti ad alcun reale controllo: ammesso
e non concesso che il parlamento conti qualcosa, i citati "criteri
di proporzionalità" escludono dal comitato di controllo
le forze politiche minori (ergo l'opposizione di estrema sinistra,
proprio quella che più avrebbe da temere dall'attività
dei servizi). Inoltre, il comitato non ha accesso ad altre informazioni
che non siano quelle fornitegli dal governo, che non spartisce
con nessuno il proprio potere sui servizi di sicurezza. Dulcis
in fundo, la legge 801 non prevede nemmeno che il comitato
sia informato degli stanziamenti di bilancio. Non c'è che
dire, i cittadini sono davvero garantiti, praticamente in una
botte di ferro!
Per quanto riguarda il segreto di stato, la 801 lo prevede per
tutti "gli atti, i documenti, le notizie, le attività
e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno alla
integrità dello stato democratico... alla difesa delle
istituzioni... alla preparazione e alla difesa militare dello
stato". I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli
incaricati del pubblico servizio "hanno l'obbligo di astenersi
dal deporre su quanto coperto dal segreto di stato". Ricordiamo
che il segreto di stato ha già coperto alcune delle più
gravi vicende della storia italiana, come lo scandalo Sifar, la
strage di Piazza Fontana, il golpe Borghese etc.
Il 31/1/1978 il ministro dell'interno Cossiga (che si dimetterà
dopo il ritrovamento del cadavere di Moro) emana un decreto col
quale istituisce l'Ucigos (Ufficio centrale per le investigazioni
generali e le operazioni speciali), a cui compete la raccolta
di informazioni "necessarie per il ristabilimento dell'ordine
pubblico", per la prevenzione dei reati di terrorismo e contro
la sicurezza dello stato, per le esigenze operative del ministero
dell'interno e delle prefetture. La motivazione è che Sismi
e Sisde non saranno operativi prima di qualche anno, mentre la
lotta al terrorismo necessita di interventi immediati. Sospendiamo
per un attimo il giudizio e arriviamo finalmente a Dalla Chiesa,
che nel frattempo è diventato il responsabile del circuito
delle carceri speciali (cfr. prossimo capitolo).
Il 30/8/1978 il nuovo ministro dell'interno Virginio Rognoni (Dc)
emana un decreto segreto. Per un anno, nonostante le molte
richieste, il testo non verrà comunicato al parlamento,
né pubblicato sulla "Gazzetta ufficiale",
né tantomeno trasmesso ai media. Perché tanta
riservatezza? Qual è il suo contenuto? Eccolo:
Considerata la necessità di rendere più incisiva la lotta al terrorismo eversivo... il Generale di divisione dell'Arma dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa - fermo restando l'incarico conferitogli [...] concernente il coordinamente del servizio di sicurezza degli istituti penitenziari - è posto a disposizione del Ministro dell'Interno, per la durata di un anno a decorrere dal 10 settembre 1978, per l'espletamento, ai fini della lotta contro il terrorismo, delle funzioni di coordinamento e di cooperazione di cui alle premesse, limitatamente alle attività degli operatori di polizia appositamente prescelti dal Ministro suddetto su proposta delle Amministrazioni interessate [...]
Con quest'ennesimo "decreto anti-terrorismo" e con
l'istituzione dell'Ucigos si rendono inefficaci le pochissime
garanzie contenute nella riforma dei servizi. Quest'ultima, all'art.10,
stabiliva che "nessuna attività comunque idonea per
l'informazione e la sicurezza può essere svolta al di fuori
degli strumenti della modalità, delle competenze e dei
fini previsti dalla presente legge", ma lo stato fa di tutto
per mantenere una zona franca al di fuori della legge, nella quale
possano proseguire, indisturbatissime, le vecchie pratiche.
È il trionfo della normativa rinnegante, e se ne vedranno
le conseguenze.
Intanto, Dalla Chiesa diventa una sorta di "regio commissario",
di supremo super-poliziotto a cui tutte le forze dell'ordine devono
prestare la massima collaborazione. Il testo del "decreto
occulto" verrà reso noto solo nell'agosto 1979, e
il mandato speciale a Dalla Chiesa sarà prorogato di un
altro anno.
Veniamo ora alla cosiddetta "legge Cossiga" del febbraio 1980, e descriviamola con le parole di Amnesty International:
...Amnesty International ritiene preoccupante che il 15 dicembre 1979 il governo abbia emanato un nuovo decreto-legge sulle "misure urgenti per la protezione dell'ordine democratico e per la pubblica sicurezza". Con poche modifiche, il decreto-legge è stato approvato dalla Camera dei Deputati e dal Senato, ed è divenuto la legge n.15 del 6 febbraio 1980.
Sono di particolare interesse quattro articoli: l'art.3 introduce un nuovo reato, la "associazione a fini di terrorismo e distruzione dell'ordine democratico", che diventa l'art. 270bis del Codice Penale e prevede condanne sostanziali, dai quattro agli otto anni per chi partecipi ad atti di terrorismo e dai sette ai quindici anni per chi li organizzi. Questo in aggiunta alle condanne previste dall'art.270, associazione sovversiva.
L'art. 6 è una norma straordinaria, che rimarrà in vigore per un anno. Esso autorizza il fermo di polizia di individui sospettati di essere in procinto di commettere il reato di cui al summenzionato art.305 o all'art.416 del Codice Penale. Il fermato può essere perquisito e trattenuto in una stazione di polizia per 48 ore; il Procuratore del"La Repubblica" deve esserne immediatamente informato, e ci sono altre 48 ore a disposizione per giustificare il fermo.
L'art.9 estende i poteri di perquisizione, e la permette per causa d'urgenza anche senza il mandato del magistrato competente. Il Procuratore della Repubblica dev'esserne informato senza ritardi.
L'art.10, in casi riguardanti il terrorismo, estende di un terzo il periodo massimo di carcerazione preventiva ad ogni fase di giudizio. Questo significa che la procedura può, nei casi più estremi, avere una durata legale di 10 anni e otto mesi.
È parere di Amnesty International che queste nuove misure, pur legali di per sé, rappresentino una diminuzione dei diritti dei cittadini, soprattutto perché la legislazione già vigente dava poteri sufficientemente ampi alla polizia e alla magistratura. Oggi sono permessi ulteriori ritardi per il rinvio a giudizio in un paese già ben noto per i suoi lunghi processi. Ciò rappresenta anche una notevole riduzione del valore del diritto, previsto nell'art.25, di appelli individuali contro la violazione della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Tali appelli sono ammessi solo qualora siano risultate vane tutte le garanzie nazionali. (Amnesty International Report 1980, pp.279-281, traduzione nostra)
La Legge Cossiga rappresenta l'ulteriore incrudelimento repressivo, in un quadro politico-giudiziario già devastato. Sull'introduzione temporanea del fermo di polizia, ecco la spiegazione dell'allora ministro degli interni Virginio Rognoni (Dc):
Le forze dell'ordine la richiedevano e un'attenzione particolare per coloro che erano più esposti era assolutamente dovuta. Inoltre era difficile trascurare anche uno solo dei tanti mezzi di lotta che potevano apparire efficaci [...] una lettura, corretta e prudente insieme, di quella stagione politica portava a riconoscere come tendenza di fondo che la solidarietà e il bisogno di sicurezza erano prevalenti ad ogni altra domanda. Io non mi stancavo di ripetere ad ogni occasione che le libertà e le garanzie dell'individuo erano fuori discussione, ma che era necessaria una forte autodisciplina [...] Erano tempi in cui... non si doveva vedere, in occasione di atti terroristici, il cittadino come vessato da controlli di polizia, ma il cittadino pronto a collaborare con la polizia per un preminente dovere di solidarietà. (V. Rognoni, Intervista sul terrorismo, Laterza, Bari 1988, pp.77-78)
La legge Cossiga introduce anche sconti di pena per i "terroristi"
che scelgano di collaborare con la giustizia. È la prima
legge speciale sul pentitismo a inserirsi nell'ordinamento giuridico
italiano, producendo uno sconcertante effetto-domino.
Ma soprattutto, la Legge Cossiga completa e corona
la legislazione d'emergenza con un elemento di tautologica, spettacolare
perversione: come vent'anni dopo, nella società del digitale,
si creeranno reati ex novo aggiungendo a quelli già
esistenti l'attributo "telematico", così
l'art. 270bis del Codice Penale - tramite l'aggiunta del sostantivo
"terrorismo" - crea un reato che, a rigore, sarebbe
già previsto dal 270:
Art.270 del Codice Penale (Associazioni sovversive):
Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.Art.270bis (Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico):
Chiunque promuove, costituisce, organizza e dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da 7 a 15 anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da quattro o otto anni.
L'evidente scopo di tale inserimento è la guerra psicologica
totale attraverso la spettacolarizzazione del reato associativo:
si addita il nemico pubblico, si scatena l'allarmismo e si estende
il controllo sociale su chiunque rifiuti l'ideologia dominante.
Si tratta della puntuale traduzione legislativa di un ragionamento
esposto nella cosiddetta "Carta di Cadenabbia". A Cadenabbia
(CO) si è da poco svolto un convegno dei magistrati titolari
delle principali inchieste sul terrorismo. Nel loro documento
finale c'è un paragrafo intitolato "Tentativo di definizione
giuridica della fattispecie terroristica":
[il fine terroristico] è al di là dello scopo immediatamente perseguito dall'agente (omicidio, danneggiamento, ecc.); è un fine ulteriore rispetto ad esso, consistente, appunto, nello stabilimento del terrore presso individui, gruppi o la collettività medesima ed a sua volta è strumentale rispetto al fine ultimo (costituito dall'auspicata realizzazione di determinati programmi politici, sociali, ecc.). Si è così ritenuto di poter inquadrare gli atti di terrorismo nella categoria dei reati a forma libera, caratterizzati da uno specifico dolo [...] che offre l'elemento unificatore e l'essenza dei delitti terroristici. (cit. in: R. Canosa - A. Santosuosso, "Il processo politico in Italia", Critica del Diritto n.23-24, Nuove Edizioni Operaie, Roma, ottobre 1981 - marzo 1982, p.17)
Insomma, gli atti concreti non sono importanti, ciò
che conta è individuare il fine ultimo, quindi stabilire
nessi logici, interpretare la personalità e le convinzioni
delle persone sospette, sì da rinvenire la "fattispecie
terroristica". Poiché la già citata legge n.534
dell'8/8/77 permette di stralciare anche i reati collegati tra
loro, diviene possibile costruire un'accusa prescindendo totalmente
dagli atti concreti, che tanto verranno giudicati in altri
processi (forse), e concentrandosi solamente sul reato associativo,
che spesso è solo l'ingigantimento di un presunto reato
d'opinione[1].
Pochi mesi prima della legge Cossiga, i giudici dello "spezzone
romano" dell'inchiesta 7 Aprile hanno dichiarato al "Corriere
della sera", 27/5/1979 (corsivo nostro):
Stiamo cercando di ricostruire il percorso ideologico che ha portato l'imputato a commettere i gravissimi reati di cui è accusato... L'imputato non si è ancora reso conto di questo e continua ad attendersi che gli venga contestato un fatto preciso.
"Caccia alle streghe" e "inquisizione"
sono forse espressioni abusate e sclerotizzate, ma è innegabile
che con l'emergenza si sia tornati al Sant'Uffizio (cfr. cap.4).
Un altro grave elemento di anticostituzionalità della legge
Cossiga è il suo imporsi come retroattiva, in contrasto
con la Costituzione (art.25, comma 2: "Nessuno può
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in
vigore prima del fatto commesso"). Difatti, l'art.11 della
legge ordina di applicare le nuove norme sul carcere preventivo
"anche ai procedimenti in corso alla data dell'entrata in
vigore del presente decreto".
Grazie al pacchetto delle leggi anti-terrorismo e al "capolavoro"
che le implementa, i reati associativi diventano le pietre angolari
di tutto l'edificio repressivo italiano. Non è un caso
che si tratti dei reati che porrebbero più problemi di
costituzionalità, dal momento che all'art.27, comma 1,
la Costituzione recita: "La responsabilità penale
è personale.".
Tra l'altro, nel campo del reato associativo è quasi impossibile
stabilire la responsabilità di qualcuno sulla base di una
normale indagine di polizia giudiziaria, senza, cioè, l'intervento
dei "pentiti": costoro rappresentano quasi sempre l'unico
strumento che hanno in mano gli inquirenti per poter provare la
colpevolezza dell 'indagato. Da qui l'importanza che viene data
alle loro deposizioni, anche quando queste non siano corroborate
da nessuna prova e siano palesemente calunniose. La pentitocrazia
che invaliderà le innovazioni del nuovo codice di procedura
penale (parità tra accusa e difesa, terzietà del
giudice, primato del dibattimento sull'istruttoria, etc.) si afferma
grazie al peso che viene dato al reato associativo.
In teoria l'associazione sovversiva è un reato "a
consumazione anticipata", da punire in itinere, prima
cioè che il bene venga effettivamente danneggiato. Le "associazioni
sovversive" sono caratterizzate dalla volontà degli
associati di un effettivo uso della violenza e di una turbativa
dell'ordine costituzionale. Sono quindi illecite già nello
stadio della programmazione dei reati, anche se non si è
nemmeno tentato di compierli. La "soglia di punibilità"
retrocede sulla base di "ipotesi criminose aperte" o
addirittura libere. Con l'aggravante della "finalità
di terrorismo", tali ipotesi vengono ulteriormente espanse,
fino all'arbitrio assoluto degli inquirenti e dei giudici, autorizzati
dal potere politico a fare come credono, e a retrocedere
la soglia di punibilità alla manifestazione del pensiero
e addirittura al pensiero stesso.
L'unico modo per stabilire se propositi antagonisti anche parzialmente
espressi siano in realtà atti preparatori alla consumazione
di un reato è ampliare a dismisura l'area dell'analisi,
ricostruire ad usum accusae il contesto storico in cui
quelle opinioni sono state espresse. "Chiari" indizi
di antidemocraticità e di ribellione alla Costituzione
saranno, ad esempio, il rifiuto della politica istituzionale e
delle tradizionali rappresentanze sindacali; per dirla con Antonio
Bevere:
Da una giustizia mirante all'accertamento della lesione di un bene si può passare a quella mirante all'accertamento della violazione di un dovere politico di fedeltà [...] Un altro degli effetti è [l']ampliamento dell'area della rilevanza penale di comportamenti in sé leciti. Tale rilevanza viene attribuita a causa del valore sintomatico in essi individuato dal giudice [...] E' proprio lo stato d'animo, il pensiero nascosto e non espresso, la interna disobbedienza che divengono oggetto di indagine, in quanto è all'accertamento di essi che il giudice tende a risalire Ecco che in processi di questi ultimi anni sono sottoposti al vaglio del giudice penale comportamenti quali la creazione di un collettivo di lavoratori contrapposto al sindacato, l'organizzazione dei seminari autogestiti, la collaborazione, mediante un articolo dal contenuto lecito, a un periodico riconducibile ad una struttura associativa ritenuta illecita; l'intervento in un'assemblea universitaria, e, in genere, rapporti interpersonali manifestatisi attraverso scambi di documenti politici, lettere, telefonate, ecc., tutti dal contenuto penalmente irrilevante. (A. Bevere, "Processo penale e delitto politico, ovvero della moltiplicazione e dell'anticipazione delle pene", in Critica del diritto n.29-30, Sapere 2000, aprile-settembre 1983, pp.62-69)
Il reato associativo è un reato d'opinione all'ennesima
potenza, un reato a consumazione virtuale.
Ciò porta alla "lievitazione" dei capi d'accusa:
da fatti specifici attribuiti a singole persone si risale, per
induzione, a una presunta struttura organizzativa; chiunque
abbia avuto rapporto politici con gli inquisiti di partenza viene
inserito in tale struttura, e considerato colpevole di qualunque
reato ad essa attribuito, in concorso con tutti gli altri inquisiti.
Di più: ciascun imputato viene collocato ai vertici dell'ipotetica
Organizzazione, descritto come un capo, un "leader storico",
un "mandante" (cfr. il "Teorema Calogero",
cap.6). Non esistono più i cosiddetti "reati intermedi"
come il favoreggiamento: si verifica una traslazione della responsabilità,
la spirale accusatoria porta in galera sempre più "capi"
(la cui "pericolosità" è il pretesto per
una lunga carcerazione preventiva) e l'O. - come i ragazzi della
via Paal - diventa una banda armata di soli generali e al massimo
un sottufficiale, il povero Nemecsek. L'O. è ormai
una cellula cancerosa, produce una metastasi di mandati di cattura,
requisitorie, sentenze-ordinanze, ma soprattutto di falsi scoop
e veline.
Tutto questo è indiscutibilmente anti-costituzionale, ma
in questi anni la Corte costituzionale sospende il proprio sindacato
di legittimità sulle leggi anti-terrorismo, emettendo sentenze
come quella n.15/1982, in cui si parla della "necessità
di tutelare l'ordine democratico" e si dice che "vista
la situazione d'emergenza", "il governo e il parlamento
hanno il dovere indeclinabile di adottare un'apposita legislazione"
e il diritto "di non ritenersi strettamente vincolati alla
Costituzione".
NOTE
1. Nel 1981 il giudice istruttore Palombarini, che
durante l'inchiesta 7 Aprile fu il bastone garantista tra le ruote
del Pm Calogero (e per questo fu quasi accusato di "fiancheggiare"
i "terroristi"), dedicò all'art. 270 ben 69 pagine
della sentenza-ordinanza che, ridimensionando le ipotesi accusatorie,
fece saltare il Teorema Calogero (cfr. cap. 6). Riassumiamo
qui le sue argomentazioni:
L'art.270 c.p. non è incostituzionale, a condizione che
esso venga applicato solo per la repressione di quelle associazioni
che "si organizzano concretamente per mutare l'ordinamento
costituito con mezzi violenti", quelle "la cui organizzazione
sia sintomatica della volontà degli associati di un uso
effettivo della violenza". Illecita non è l'associazione
che si limiti alla propaganda, alla "predisposizione programmatica
di tutte le iniziative ritenute funzionali alla futura rottura
rivoluzionaria", bensì quella che ha come fine "immediato"
la guerra civile, l'insurrezione o altri reati.
Elemento essenziale dell'associazione sovversiva è la stabilità
del vincolo associativo, che la distingue dal semplice accordo;
è necessario cioè che ci sia un'organizzazione "che
in qualche misura corrisponda - per i mezzi predisposti, per la
distribuzione dei compiti tra i singoli, e più in generale
in termini di idoneità rispetto allo scopo - ai fini che
si vogliono raggiungere". L'intenzione sovversiva
non assume livello penale senza una organizzazione consistente,
quanto a numero di militanti ed estensione territoriale. Essenziale
è inoltre la "violenza", intesa come "ogni
forma illecita di estrinsecazione di una energia fisica contro
cose o persone"; occorre che l'organizzazione non si limiti
alla propaganda, ma "miri a realizzazioni pratiche di un
programma di azione violenta." (P. Petta, "I reati associativi
e i giudici del '7 aprile", in Critica del Diritto
n.23-24, cit., pp. 108-109)
Se non sussistono tali caratteristiche, concludiamo noi, ci troviamo
di fronte alla persecuzione delle opinioni, e il ricorso all'art.270
dice molto di più sul progetto politico degli inquirenti
che su quello dei presunti imputati.