13 Marzo 2000
Polemiche su "Q" tra i Protestanti italiani
Abbiamo appreso solo in questi giorni che nell'autunno scorso le pagine della rivista "Riforma" (settimanale delle chiese evangeliche italiane, vale a dire luogo di dibattito e scambio di battisti, metodisti e valdesi) hanno ospitato un'accesa querelle su Q durata due mesi. Ad una prima recensione positiva, che anche per la nostra sensibilità di profani conteneva non poche frecciate "interne", è seguita una stroncatura, anzi, una sorta di "scomunica" da parte di Giorgio Tourn, decano degli studi calvinisti in Italia, l'uomo che negli anni '60 portò a termine la titanica impresa di tradurre la Istituzione della Fede Cristiana di Calvino (UTET, 1971). A sua volta Tourn si beccava una replica che allargava l'oggetto della discussione ai rapporti tra le vicende descritte in Q e il nostro presente, pur seguendo, alla ricerca delle origini del LBP, la falsa pista situazionista. Dedico alla discussione questo speciale di /Giap/, perché ciò che riguarda il futuro di Q riguarda anche quello di wu-ming, e questo è un preludio, pure in un paese dove il protestantesimo è minoritario, delle polemiche che il romanzo potrebbe scatenare in Germania, dove uscirà alla fine dell'anno. Aggiungo che non è la prima conferma del buon accoglimento di Q tra i Valdesi, confessione tradizionalmente libertaria e non-sessista, tempratasi in una plurisecolare resistenza al papismo, i cui fedeli sono in maggioranza orientati a sinistra. Aggiungo altresì che le varie correnti del protestantesimo italiano sembrano avere almeno un comune sentire nel disprezzo per Berlusconi. Buona lettura!
Da "Riforma" n.32 del 30 agosto 1999, pag.4:
"Q" O LA COMPLESSITÀ DELLA STORIA
Il romanzo storico del gruppo informatico "Luther Blissett" Sullo sfondo di contrasti tra Riforma radicale e realismo politico-ecclesiastico questo curioso libro provoca, interroga, stimola riflessioni certo poco abituali
di Antonio Di Grado
Thomas Muentzer risorge on line, gli Anabattisti scorrazzano sulle autostrade telematiche. E chi l'avrebbe mai previsto? Stiamo parlando di Q, il romanzo-evento, il libro-rivelazione che ha sfiorato il premio Strega, e del suo autore collettivo, Luther Blissett, un nick all'insegna del quale, nella rete e oltre, si sono consumate imprevedibili trasgressioni telematiche e fantasiose performances di matrice anarchico-situazionista. Stupisce e intriga, intanto, il fatto che i quattro giovani bolognesi contrassegnati dal quel nome-spauracchio e passepartout abbiano deciso di misurarsi col Romanzo e con la Storia. A destare curiosità e simpatia è, poi, la loro irruzione sfrontata nel salotto buono delle patrie lettere, con questo bel brogliaccio gonfio di umori eversivi ma confezionato con tradizionalissima maestria, alla Riccardo Bacchelli o (che è quasi lo stesso) alla Umberto Eco.
Ancor
più stupefacente è, però, che quei quattro
coltissimi monelli eleggano a terreno del cimento la Riforma protestante,
e che su quella scena muovano, con perizia da studiosi consumati,
personaggi del calibro di Melantone e Muentzer, di Anton Fugger
e Paolo IV Carafa, ed eventi che vanno dal 1525 della rivolta
contadina al 1534 della conquista anabattista di Muenster, e poi
dall'indulgente e quieta Olanda dei mercati riformati all'Italia
feroce e ambigua degli anni 40 e 50, del Sant'Uffizio e del Concilio
tridentino, nonché del cripto-evangelico Beneficio di Cristo
, libro nel libro che assurge a protagonista della terza e ultima
sezione del romanzo.
Il filo rosso, di sangue e sconfitte, che
lega la narrazione è ordito da due figure antagonistiche:
l'avventuriero anabattista dai molti nomi che corre, attraverso
l'Europa, ovunque un sogno estremo e disperato di palingenesi
arda di speranza e di furore, e poi si estingua nel disincanto;
e la spia di Carafa, il perfido Q (come Qoelet, l'Ecclesiaste),
altrettanto ubiquo e umbratile, che non solo orchestra la repressione
di quei conati ma addirittura contribuisce a tramarli, li ispira
e li manovra per conto e a uso dell'occhiuto Inquisitore. È
anzi questo sinistro personaggio, è quest'uso reazionario
della rivoluzione, a liberare la narrazione da quel tanto di apologetico
e di enfaticamente manicheo, tra Bertinotti e Tex Willer, che
aduggia qualche pagina e forse l'ideologia degli autori ma, fortunatamente,
non inquina il romanzo.
Gli autori, cioè, possono pure detestare Lutero, ridotto a turpe caricatura, a goffa marionetta in mano ai principi tedeschi, e tifare per Muentzer e gli anabattisti, obbedendo alla stessa vulgata paleomarxista che elevò l'incolpevole Jan Hus agli altari dello stalinismo cecoslovacco. Ma la storia che da quel groviglio di giudizi e pregiudizi si dipana è invece, come la grande storia delle umane vicende, ambigua e impura, complessa e contraddittoria, inestricabilmente impastata di purezza e ferocia, di candore e cinismo, di fede e disincanto.
E lo stesso Gert dal Pozzo, incontaminato campione dell'ingenua fede dei santi straccioni, finisce via via col somigliare a uno smagato mercenario, a un antieroe della beffa e del raggiro, a un avventuriero da western crepuscolare o da torbido noir, non a caso precipitato, dalla limpida icona del martirio di Frankenhausen, nella raffinata ed equivoca Venezia, patria elettiva di incanti e di inganni, dell'incrocio e dell'intrico dei destini umani. E non a caso, in quella che doveva essere la resa dei conti tra il bene e il male e invece è un finale di esemplare ambiguità, l'eroe positivo finisce con lo specchiarsi nel proprio antagonista, nel malefico Q, riconoscendo nel nemico di sempre e nel sicario della reazione pontificia un compagno di pena e un doppio speculare, una intercambiabile pedina dello stesso grande gioco trafico e beffardo. Si farà presto a dire, da parte di un lettore scaltrito e magari di fede evangelica, che la ricostruzione del grande scenario della Riforma offerta dagli autori di Q è faziosa e strumentale, in quanto azzera il significato e i moventi religiosi di quello straordinario evento e viceversa ne esalta e radicalizza certe sfocate risonanze libertarie.
Vero, così com'è vero che l'occhio del fantomatico Blissett è rivolto piuttosto al presente, ai Lutero-D'Alema [Tài hao le!!! N.d.R.] e, di contro, alle patetiche eresie e alle rivoluzioni virtuali dei nostri giorni, tra retroguardie neocomuniste da museo degli anni di piombo e irriverenti hackers giocosamente sguinzagliati nel Web. Vero, ma è altrettanto vero che da questo grumo di vicende e di umori, di storia e di polemica, di documentazione e di gioco, vien fuori un'accattivante prova di scrittura romanzesca e affiora una piccola ma viva e fresca lezione, di caparbio impegno e di fresca coscienza, un afflato che potremmo definire di realismo romantico e di spes contra spem.
E infine è assai probabile che alla fede riformata, se non altro sull'onda d'una curiosità storico-culturale o d'un sacrosanto impulso esistenziale all'eresia, possano avvicinare più e meglio queste pagine prive di fede che la catacombale ortodossia di certe chiese che di fede sono fin troppo sazie.
Da "Riforma" n.37 del 24 settembre 1999, pag.5:
UN ROMANZO CHE RIPROPONE UNA SERIE DI STEREOTIPI CONSUNTI
"Q", ambientato ai tempi della Riforma, prodotto tipico della cultura di oggi
Giorgio Tourn
Q: affascinante il volume, pertinente la recensione che ne ha fatto sul nostro giornale Antonio Di Grado. Il romanzo, opera di ignoti autori, è infatti un caso letterario quanto mai interessante, ma la sua lettura ha suscitato in me reazioni contrastanti assai più radicali di quelle espresse da Di Grado, un misto di stupore e fastidio, meraviglia e insofferenza. Stupore per l'abilità consumata degli autori, la loro genialità nella costruzione di questa macchina letteraria nella più pura tradizione letteraria italiana del romanzo secentesco con i suoi intrighi miracolosamente risolti dalla destrezza e dalla fortuna. Dopo Il nome della rosa si è ormai imposto con successo questo "neo-secentismo" che assommando genialità raffinata di cultura libresca a struttura poliziesca evocia in un'autocompiaciuta prolissità figure storiche solo in apparenza sanguigne e dense di umanita, in realtà esangui come fantasmi. Seicentismo neppure più evocatore di sogni, ma solo di ideologie allusive.
Stupore dunque ma all'opposto rabbia (disdicevole sentimento per un intellettuale oggi ma tant'è) per evidenti motivi confessionali. Anzitutto: non si può tollerare che giovani studiosi come pare siano gli artefici di questo congegno letterario, aggiornati e intelligenti, si lascino irretire dagli stereotipi di una cultura del più gretto pregiudizio clerico-marxista. Del Lutero "lecca.... dei principi" e del Calvino arrostitore di Serveto trabocca ormai la nostra letteratura accademica e popolare e sarebbe gran tempo che questi giovani universitari leggessero altro e scrivessero altro! Reazione infastidita di un chierico calvinista? i vieux jeus, risponderanno; forse, ma se disponessimo di spazio maggiore potremmo divertirci a smontare la loro macchina poliziesca dimostrandone la vacuità. I pezzi del marchingegno sono esatti: i luoghi, i testi, i nomi, ma l'insieme è fasullo perché non coglie il senso del dramma cinquecentesco e qui nasce il secondo livello di fastidio.
Il protagonista della vicenda dovrebbe essere un anabattista: in realtà una sorta di spadaccino che ama le donne, il vino e il turpiloquio passando dalla scuola di Muentzer alla tragedia di Muenster ai cenacoli radicali delle correnti fiammignhe per finire predicatore in Italia senza credere a nulla. E questi sarebbero gli uomini che morivano sul rogo e rischiavano la vita per la fede in Gesù Cristo? Ma qui di fede non si parla, neppure per dire che si tratta di una alienazione psicologica, non è l'errore, è il non essere.
Il nostro mister X tedesco anabattista? ma quando mai? È questa l'immagine perfetta, a creazione letteraria compiuta dell'italiano del Cinquecento, a meno che non sia invece la proiezione utopica di quello che i nostri giovani autori sognano di vivere: girare l'Europa, incontrare donne, fregare il capitalismo dei Fugger, commerciare libri proibiti giocando d'astuzia pr sfuggire all'occhio inquisitoriale del papa onnipresente per finire nel mondo confortevole dello scettico Solimano?
Certo i romanzi sono romanzi, si può inventare e dire tutto quello che si vuole, ma i libri hanno messaggi e questo gioco raffinato ne ha molti, alcuni segreti, allusivi; uno però resterà: gli anabattisti furono in Europa una banda di fanatici, deliranti, nel migliore dei casi fautori del libero amore, che l'Inquisizione spazzò a ragione, e mentre l'intellettuale moderno si riposa a Costantinopoli l'ombra di Carafa si materializza nel papato di Paolo IV. Un libro da leggere, o sfogliare, non per capire gli anabattisti (bastano i due volumi di Ugo Gastaldi editi dalla Claudiana) ma la cultura italiana dell'età berlusconiana.
Da "Riforma" n.42 del 29 ottobre 1999, pag.6:
FRA ERUDIZIONE E PIRATERIA INFORMATICA
Prosegue la discussione sul caso del romanzo storico "Q" le opere precedenti del gruppo Luther Blissett illustrano una strategia che intende smascherare alcune strutture della contemporanea società della telematica
Mauro Pons
Una parola su Q se si può ancora ragionare e non scomunicare. A molti potrà sembrare inopportuno, ma mi sembra che aprire al nostro interno un dibattito sulle reazioni suscitare dalla lettura di Q non sia del tutto inutile. Non tanto perché siamo interessati a disquisizioni più o meno dotte sull'attuale panorama letterario italiano, all'interno del quale in ogni caso il romanzo "blissettiano" si fa notare per intelligenza narrativa, immediatezza, ricchezza di una trama che cattura continuamente l'attenzione di chi legge in una variante continua di colpi di scena, ma piuttosto perché questo testo è una delle rare occasioni in cui il nostro patrimonio storico, culturale e spirituale viene sottoposto a un'interpretazione "altra" dalla nostra. Ora è evidente che la lettura di questo romanzo possa suscitare reazioni contrapposte per cui alla fine, pur tra una serie di ma, di però e di distinguo, alcuni concluderanno con Antonio Di Grado che [finale dell'articolo di Di Grado da "È assai probabile..." a "... sazie"] mentre altri, come Giorgio Tourn, sottolineata la presenza nel testo di "stereotipi di una cultura del più gretto pregiudizio clerico-marxista", l'assenza della dimensione della fede, si atterranno alla tesi secondo la quale il messaggio ultimo che lascerà il romanzo sarà che [da "gli anabattisti furono in Europa..." a "nel papato di Paolo IV"], per cui questo libro può essere letto "non per capire gli anabattisti [...] ma la cultura italiana nell'età berluscioniana".
In ogni caso rimane aperta una serie di domande: chi sono gli autori di questo romanzo? Ma, più importante ancora, a quale "disegno" risponde la stesura di questo testo? e perché questo interesseper un periodo così particolare della storia europea? Gli autori di Q [...] appartengono alla cellula bolognese del movimento "Luther Blissett Project", all'origine del quale ci sarebbe un certo Harry Kipper, artista punk-situazionista britannico, il quale firmava con il nome di Luther Blissett le sue azioni di "sabotaggio mediatico" (falsi eventi spacciati come scoop ai media, hacking telematico, detournement della segnaletica stradale, ecc.), riprendendo in questo modo pratiche di "deriva" inventante dall'Internazionale Lettrista negli anni Cinquanta e da quella Situazionista negli anni Sessanta. In Italia la sigla "Luther Blissett" appare per la prima volta negli anni Novanta a opera di un gruppo friulano facente capo a Piermario Ciani, fondatore della casa editrice AAA di Bertiolo, il quale, già nei primi anni Ottanta, aveva sperimentato la pratica del "multiple name" (nome collettivo) di invenzione, creando falsi gruppi musicali chiamati "Mind Invaders" e network di mail-art conosciuti come Trax". Dal gruppo friulano il movimento si diffonde in numerose città italiane. La particolarità del gruppo bolognese è di essere particolarmente politicizzata e quasi tutti i suoi interventi sono incentrati sulla critica radicale alla "società di controllo" contemporanea.
Se questo è il contesto in cui nasce il romanzo, non lo si può leggere come una semplice opera di giocosa erudizione letteraria, come ricostruzione, seppur fantasiosa, del passato, come già avvertiva il professor Di Grado. Il messaggio da ritenere, ammesso che ce ne sia uno, deve essere cercato nel nostro presente, deve essere utilizzato eventualmente per scardinare il tempo presente, il tempo dell'era berlusconiana. Infatti, contemporaneamente all'uscita del romanzo il gruppo bolognese ha pubblicato un altro testo [ Nemici dello Stato, N.d.R.] la cui tesi di fondo può essere grossolanamente espressa nel modo seguente: a partire dagli anni Settanta in poi, il "metodo di governo" della società italiana si è sostanziato attraverso un "avvicendarsi di emergenze", ma negli ultimi anni, dal libello "macrosociale" si è passati al livello "molecolare", per cui attraverso "false" emergenze, devianze del comportamento soggettivo, artificialmente "gonfiate" dal sistema dei media, si vorrebbe criminalizzare ogni forma di dissenso e di comunicazione aperta e alternativa. Secondo Andrea Cortellessa questo saggio costituisce "un vademecum per la lettura di Q (per altro del tutto incomprensibile senza il suo utilizzo), ma anche una ricchissima raccolta di fonti a documentare le tesi degli autori".
Che cosa c'entra con tutto questo la Riforma, la vicenda degli anabattisti, la storia religiosa italiana seicentesca? Apparentemente niente. O, al contrario, molto. Poiché ritengo che in qualche modo l'assunzione di una storia che non appartiene al nostro paese e alla nostra cultura, se non in termini di minoranze significative, peraltro inascoltate, debba essere valorizzata e non esorcizzata, mi sembra che l'atteggiamento più proficuo che possiamo assumere è quello dell'ascolto delle istanze di cui il romanzo si fa portatore. Nell'Italia berlusconiana sicuramente queste istanze sono minoritarie, ma non tanto quanto si crede o si vuol far credere. In ogni caso, preso atto del successo editoriale del romanzo e sfruttando il potenziale ascolto che ha suscitato, toccherebbe a noi "correggere" le sviste dei giudizi storici in esso contenuti, ma anche, contemporaneamente, aprire un dialogo con quelle forze culturali e politiche che cercano in altri modelli culturali ed etici gli strumenti per dare al paese un contributo alla sua trasformazione in termini di civiltà. La Riforma non ha potuto dare il suo contributo di idee e di spiritualità al processo politico e culturale del nostro paese. L'ingresso in Europa obbliga i nostri concittadini a confrontarsi con la storia e le culture di paese che invece sono stati forgiati proprio dalla Riforma: qualcuno se ne è accorto e tenta di riferirsi a questo patrimonio? Lo fa male? Ebbene non tocca a noi correggere il tiro? Ma, per favore, non scomunichiamo: non è nel nostro stile, e poi, anche nel caso che qualcuno di noi fosse in grado di scomunicare, non sarebbe segno di un certo provincialismo?