Totò, Peppino e la guerra psichica
(Release 2.0)
Prefazione a ripubblicazione di TP&LGP, Febbraio 2000
Per Gianni B.,
the brain behind
(al zarvéll dadrè)
Seppuku!
ovvero: Il piano quinquennale di un nome multi-uso
La domanda che mi ossessiona è se ho mantenuto ciò che avevo promesso. Con il mio rifiuto e la mia critica ho senza dubbio promesso qualcosa. Non sono un politico, e mantenere la parola data non significa per me procurare a qualcuno dei vantaggi reali, eppure sono ossessionato notte e giorno dalla sensazione di non avere ancora mantenuto una promessa più necessaria ed importante di quelle dei politici. A tratti sono tentato dall'idea di sacrificare persino la letteratura pur di mantenere quella promessa. Sarà forse un riflesso di "orgoglio virile", ma è indubbio che l'aver vissuto tranquillamente in questi venticinque anni di democrazia, traendone vantaggi nonostante la mia disapprovazione, ferisce da lungo tempo il mio animo.
Mishima Yukio, 1970
Quando l'avversario è spaventato, la sua combattività si affievolisce e subisce un vuoto nel tempo di reazione. Anche semplici gesti ordinari possono venire impiegati per distrarre l'attenzione di un avversario. Buttare a terra la propria spada, per esempio, rientra nell'arte della guerra. Se siete davvero abili nel combattimento senza spada non sarete mai disarmati.
Munenori Yagyu, XVII° secolo
Molte soggettività delle colonne italiane del Luther
Blissett Project hanno deciso di iniziare il millennio con un
seppuku, un suicidio rituale. Il suicidio è la dimostrazione
pratica della rinuncia di Blissett alla sopravvivenza come logica
identitaria e territoriale. Il suicidio è l'ultimo, estremo,
radicale darsi alla macchia di un eroe popolare.
Non si tratta di propugnare una soluzione nichilista e rinunciataria,
ma di scegliere la vita.
Il seppuku non è una direttiva, Luther Blissett
è un nome che chiunque può continuare ad usare anche
dopo il Capodanno del Duemila. Ci sono paesi in cui la lotta è
appena cominciata ed è bene augurarsi che prosegua.
Il seppuku è un suggerimento per tutti coloro che
usano il nome da almeno un lustro, per dare spazio a nuovi stili
di quest'arte marziale, facendo fiorire e proliferare i piani
quinquennali di chi utilizza il multiple name da poco tempo.
Occorre essere stranieri senza nome in territori sconosciuti:
per alcuni questo vuol dire iniziare o continuare a chiamarsi
L.B., per altri significa necessariamente il contrario.
Così il seppuku non è la fine di Luther Blissett,
ma l'inizio di una nuova fase, di un nuovo modo di servirsi della
sua faccia e del suo nome. Per chi vi prenderà parte, il
suicidio di Blissett significherà smettere di firmarsi
con quella sigla, ma proseguire un cammino. Esattamente il contrario
di quello che accadrebbe a un normale suicida: egli non va più
da nessuna parte, mentre il suo nome viene spesso usato ancor
più di quando si trovava in vita.
Il seppuku infine non è una mossa difensiva, per
evitare il recupero del Multiplo da parte dell'industria dello
spettacolo. Ciò che non ha identità non è
recuperabile. Da sempre l'obiettivo di Blissett è di entrare
nel mainstream come cavallo di Troia e aprire le porte
a molteplici esperienze. Ci devono dei soldi, ricordate? Ormai
siamo dentro al caveau.
Pensiamo alla dottrina buddista della reincarnazione. I seguaci
dello Svegliato non credono nell'esistenza dell'anima, tuttavia
pensano che una persona possa raggiungere il nirvana dopo aver
attraversato diverse vite. Ciò che appare a prima vista
contraddittorio, la reincarnazione senza anima, senza identità,
è possibile perché le azioni degli esseri viventi
lasciano una traccia, una sorta di potenzialità che alla
morte del corpo terreno dell'individuo produce la nascita di un
nuovo essere.
Allo stesso modo, affinché la tensione che Blissett ha
sprigionato in questi anni possa animare nuove (e vecchie) realtà
e nuove esperienze, occorre che il suo cadavere rilasci spore
più che mai infette e taumaturgiche. Tuttavia il Multiplo
ha un infinità di corpi, molti dei quali resteranno in
vita nonostante la morte di alcuni altri.
Grazie al seppuku L.B. darà vita a molteplici rinascite,
svincolate dall'uso di un nome. Perché per quanto si faccia,
alla lunga un nome conduce a un'identità. Singola o multipla,
reale o virtuale, storica o mitica, fa senz'altro differenza ma,
dopo un po', si tratta di qualcosa cui rinunciare.
Come ci ricorda Zhuang-zi: "L'uomo perfetto è senza
io, l'uomo ispirato è senza opere, l'uomo saggio non lascia
nomi."
E, come disse l'inimitabile Cary Grant:
"Meglio andarsene un minuto prima, lasciandoli con la voglia,
piuttosto che un minuto dopo, avendoli annoiati."
I. La comunità aperta di Luther Blissett
Nascita di un mito
"Just take a look around you, what do you see?
Kids with feelings like you and me.
Understand him, he'll understand you,
For you are him, and he is you."
Sham 69, If The Kids Are United
"Ora scrivono di lui, e parlano di lui,
lo psicologo, il sociologo e il cretino.
E scrivono di lui, e parlano di lui,
ma lui resta sempre clandestino."
Gianfranco Manfredi, Dagli Appennini alle bande
Perché centinaia, migliaia di persone decidono di adottare
lo stesso pseudonimo, di condividere - non senza contrasti - la
stessa reputazione, per firmare/rivendicare azioni politico-culturali,
performances, scritti teorici o di narrativa e, in generale, "opere
dell'ingegno"? A cosa si deve il successo del nome "Luther
Blissett" tanto sul World Wide Web quanto nel mondo "reale",
nelle strade delle città europee, nell'editoria su carta
stampata, praticamente ovunque?
Da anni semiologi, antropologi, studiosi delle sottoculture giovanili
e del loro rapporto con le tecnologie si interrogano su quali
siano esattamente le caratteristiche di questa sfuggente comunità
aperta... Come può definirsi "comunità"
quello che sembra solo un incostante flusso di informazioni palesemente
contraddittorie?
Da anni i giornalisti coniano strampalate definizioni, una meno
calzante dell'altra: "pirati telematici", "terroristi
culturali", "artisti radicali" etc.
Da anni Luther Blissett continua a spiazzare gli osservatori e
a mettere in crisi ogni definizione che non nasca direttamente
dalla prassi di chi sceglie di adottare il nome.
Tra le tante caratteristiche del pensiero e dell'azione di Blissett,
forse quella che più lascia perplessi è la feroce,
violenta critica al concetto di "Individuo", inteso
come soggetto principe del diritto borghese ("Uomo Egoista",
lo definì Karl Marx). In nome di che cosa questo concetto
viene continuamente sbertucciato, vilipeso, cortocircuitato, spinto
al paradosso? [1]
In certe fasi del Progetto, è sembrato che Blissett opponesse
all'individualismo liberale un collettivismo da Rivoluzione Culturale,
"cementato" dal culto di un inesistente Grande Timoniere
(appunto, Luther Blissett); in altre, è sembrato che la
critica all'in-dividuum fosse fatta esclusivamente in nome
della -divisibilità del singolo, di un'apologia
della schizofrenia e del desiderio sfrenato, con evidenti echi
deleuzo-guattariani (L'Antidipe, Mille Plateaux...)
La nostra immodesta opinione è che non si possa comprendere
il "comunitarismo" di Blissett senza partire dal concetto
di "mitopoiesi", creazione di mito.
Tra gli anni Ottanta e Novanta del XX secolo d.C. un imprecisabile
network di "artisti" senza opere, attivisti post-politici,
operatori di media indipendenti come radio, BBS etc., nauseati
dalle obsolete tecniche e strategie di comunicazione ancora in
auge presso un immobile "movimento" e una "scena"
europea tanto poco vivace da ricordare il teatro da camera espressionista,
decisero di darsi metaforicamente "alla macchia", avvolgersi
di leggenda, scommettere sul meraviglioso.
Non fu necessario riunire alcun comitato centrale: semplicemente,
si decise (tale forma impersonale sarebbe risultata
fatidica, poiché avrebbe dato forma a tutte le azioni a
venire) di usare il potenziale dei nuovi media e il loro imminente
impatto su quelli tradizionali, allo scopo di lanciare un nuovo
"prodotto", una merce intangibile, immateriale: un mito
di lotta comune a tutte le tribù e comunità
di rivoltosi. Tale mito doveva inserirsi in uno scenario di sconvolgimenti
epocali, definito dalle sempre più frequenti ecocatastrofi,
dalla tumultuosa fine dell'ordine mondiale bipolare e - last
but... - dall'emergere del cosiddetto "lavoro immateriale"
post-fordista e dall'estendersi della Rete.
Mitopoiesi. "Costruzione del mito". Usare le leggende
urbane, le tecniche di intelligence, le strategie pubblicitarie,
ma dirottando tutto ciò verso la creazione di una reputazione,
di un personaggio - dapprima "virtuale" e poi, escrescendo,
sempre più reale. Quel personaggio avrebbe compiuto
azioni di guerriglia nei confronti della stracca, logora cultura
del suo tempo - avrebbe aggredito quella cultura come la tigre
fa con l'elefante nel celebre apologo raccontato dallo zio Ho
Chi Mihn al reporter americano David Schoenbrunn:
Sarà la lotta tra una tigre e un elefante: Se la tigre si ferma l'elefante la schiaccia. Ma la tigre non si ferma. La tigre, di giorno, si nasconde nella giungla ed esce soltanto di notte. Così aggredisce l'elefante, e gli lacera pezzo a pezzo la schiena, poi sparisce di nuovo nell'ombra. L'elefante morirà per lo sfinimento e per il sangue perduto.
Essere fluidi come l'acqua, ma all'occasione colpire duro come
la tibia di un pugile Thai.
Mitopoiesi, dicevamo: saccheggiare e riadattare un patrimonio
antichissimo di miti e archetipi comuni a tutte le società
umane, poi rielaborato nell'arte e nella cultura di massa. Trovare
alcune figure topiche, risalendovi dal cinema, dal fumetto e dalla
letteratura seriale ("di genere"), per poi produrne
una sintesi, basata su un massimo comune denominatore: una "reputazione"
intesa come opera aperta, costantemente rimanipolabile, basata
sul maggior numero possibile di "ritocchi" e interventi
soggettivi.
Lo strumento sarebbe stato il "multiple name" o - espressione
che preferiamo - "multi-use name", tecnica di comunicazione
già sperimentata da alcune avanguardie estetiche nel corso
del XX secolo (dal Dada berlinese al Neoismo).
In realtà l'uso dello stesso nome da parte di molte persone
è un antico enunciato di dissimulazione e sottrazione,
uno stratagemma di camuffamento usato prima dagli eretici medievali
e rinascimentali, poi da società segrete neo-alchemiche
e proto-illuministe; si pensi a Ermete Trismegisto, a Christian
Rosenkreuz, a Fulcanelli...
Ma - ciò che è più significativo - fin dai
suoi remoti albori il multiple name è anche e soprattutto
un enunciato positivo, di affermazione di una nuova visione
del mondo da cui derivano, per il singolo che merita di adottare
il nome, un nuovo stato di coscienza e un nuovo status nella comunità
degli umani.
Sia detto tagliando con l'accetta (anzi, col guandao):
il più antico multiple name è senz'altro
Buddha, ("il risvegliato") che nasce come appellativo
di un singolo (Gautama Siddharta, principe del clan Sakia dell'India
nord-orientale, 565 ca. - 486 ca. a.C.) per poi giungere a designare
chiunque, tramite la meditazione e una determinata condotta di
vita, abbia raggiunto l'Illuminazione.
La scommessa era usare il nome multiplo in una maniera senza precedenti,
che ne coniugasse la natura di inganno con quella illustrata nell'esempio
del buddismo.
Lo scopo era la creazione di un nuovo folk hero, le cui
scorribande nell'immaginario facessero intravedere i contorni
di una nuova potenziale comunità.
Folk Heroes
L'eroe popolare, pur derivando dall'eroe delle mitologie classiche,
non corrisponde più al topos di colui che "s'avventura
oltre il mondo del quotidiano, in una regione di meraviglie soprannaturali,
dove s'imbatte in potenze favolose e vince una battaglia decisiva,
dopodiché, torna da questa misteriosa avventura recando
in sé il potere di fare del bene agli altri uomini"
(Joseph Campbell, 1949). No, l'eroe popolare è una leggenda
vivente, la sua lotta non è un'allegoria del ritrarsi
nella psiche, bensì ha luogo nel "mondo del quotidiano",
o perlomeno in una sua versione idealizzata. Che quest'eroe sia
realmente esistito o meno, i racconti delle sue gesta sono sempre
stati materia di manipolazione collettiva, per dare una speranza
di rivalsa e una temporanea consolazione a una limitata Gemeinschaft,
il più delle volte una classe contadina oppressa da tiranni
e feudatari di origine straniera. Questo mito rivive nelle epopee
banditesche e del brigantaggio (da Frà Diavolo a Dick Turpin
al Passatore, passando per le avventure di Florian Geyer durante
la rivoluzione contadina di Thomas Münzer), nell'odierna
cultura di massa (da Zorro ai supereroi dei fumetti) e nelle narrazioni
guerrigliere (da Ho Chi Mihn agli Zapatisti etc).
Stiamo parlando di miti di terra, miti "boschivi", delle
foreste. In tutte le società storiche è rinvenibile
un pattern preciso, che si perpetua con poche variazioni:
quello del Waldganger, colui che "si dà alla
macchia", il-ribelle che va nel bosco e da lì combatte
contro un potere usurpatore.
In Occidente il Waldganger più famoso è senz'altro
Robin Hood, le origini della cui leggenda sono rintracciabili
nel Ramayana indiano, il quale contiene anche personaggi
e storie che ritroveremo, con minime variazioni, nelle leggende
del ciclo della Tavola Rotonda. O meglio:
Il Ramayana non è l'origine delle leggende arturiane e di Robin Hood; semplicemente, discendono dalla stessa fonte o dalle stesse fonti. Certo, i racconti viaggiano [...] Dal canto mio, sospetto che entrambi i filoni abbiano le proprie radici in un'antica saga indo-europea, e che mentre la storia di Rama ne ereditò tutti gli elementi originari, quelli che non potevano essere adattati al contesto storico delle guerre tra Celti e Sassoni confluirono nella leggenda di Robin che, come vedremo, ereditò anche molti altri elementi. (Steve Wilson, Robin Hood: The Spirit of the Forest, Neptune Press, London 1993, pag.17).
La prima trascrizione del Ramayana è più
o meno contemporanea ai giochi di prestigio di Gesù di
Nazareth, ma la sua tradizione orale è molto più
antica. Rama è il figlio primogenito del maharajah Dasaratha,
sovrano della dinastia solare di Ayodhya, ma non è soltanto
un principe: egli è l'incarnazione del dio Vishnù,
e soprattutto è il Divino Arciere, l'unico uomo in grado
di tenere sollevato e piegare l'arco abbandonato dal dio Shiva.
Alla morte del padre, il fratellastro di Rama usurpa il trono,
e il nostro eroe deve rifugiarsi nei boschi Tra le varie peripezie,
lo vediamo combattere contro Ravana, malvagio re di Ceylon e capo
di legioni di demoni, il quale ha rapito Sita, sposa di Rama (proprio
come lo sceriffo di Nottingham rapisce Lady Marian). Rama libera
Sita e ritorna nella foresta. Alla fine, Rama riconquista il proprio
trono, e inaugura una vera e propria Età dell'Oro, un regno
di giustizia sociale e saggia amministrazione, finché...
Da qui in avanti si riscontrano innumerevoli analogie col mito
di Artù, che però non ci interessano in questa sede.
Ogni figura di "folk hero" è una variazione su
questo tema (come già si è detto, su un registro
più "basso", spogliato degli elementi sovrannaturali).
Scendendo lungo questo phylum, troviamo molti supereroi
dei fumetti, ma troviamo anche la realtà: il mito di Robin
Hood riecheggia in tutti gli exploits guerriglieri, rivive nei
Vietcong, nei Tupamaros, in Che Guevara (non certo nell'icona
sub-cristologica delle T-shirts), nell'EZLN... è tutto
un ri-narrare di cui godiamo le variazioni.
La guerriglia del folk hero è anche una guerriglia
informativa, semiologica, basata sulla propaganda "nera"
e sul sabotaggio della macchina comunicativa del Potere... Nella
figura composita dell'eroe popolare c'è anche il "trickster",
l'imbroglione mitologico (pensiamo all'Anansi delle leggende afro-caraibiche,
o all'Eulenspiegel della cultura popolare tedesca). A tutto questo
aggiungiamo pure il detective work, quello che permette
al folk hero di scoprire e denunciare gli intrighi e i
misfatti del Potere usurpatore.
Il primo esempio che corre alla mente vergando queste righe è
un film, pietra miliare del moderno gongfupian hong-konghese,
Fist of Fury (noto anche col titolo The Chinese Connection;
in Italia: Dalla Cina con furore, 1971). Bruce Lee vi interpreta
un noto eroe popolare cinese degli anni Venti, Chen Zhen. Chen
è uno studente d'arti marziali nella Shanghai occupata
dai Giapponesi. Il suo maestro muore avvelenato, Chen scopre che
l'assassinio è opera di spie della palestra di Suzuki,
corrotto karateka dai baffi a manubrio. Giustiziate le spie, Chen
le fa trovare appese a lampioni e poi si dà alla macchia,
facendo della città il suo bosco. Da quel momento, la sua
ragione di vita è arrivare a Suzuki, uccidendo tutti quelli
che gli sbarrano la strada. Per far questo, ricorre a trucchi,
travestimenti e ovviamente al suo micidiale gongfu [2]
Strangers
Un altro archetipo di cui trattare - perché ben si adatta
a ciò che Luther Blissett è stato e continuerà
ad essere - è quello dello straniero che compare come dal
nulla in un territorio lacerato dai conflitti, e ricorrendo
alle armi del doppio gioco e della guerra psicologica risolve
una situazione di grave collasso socio-culturale. Questo straniero
non sembra avere passato né futuro, ed è estraneo
alla gemeinschaft locale.
Azzardiamo un'ipotesi: ci troviamo in una narrazione collaterale
a quella del Waldganger; costui compie periodiche puntate
fuori dal bosco, che immaginiamo estendersi in una regione attraversata
da confini incerti, e a volte, anziché girare attorno al
suo villaggio d'origine per compiere azioni di disturbo,si spinge
più lontano, in contesti locali in cui non è conosciuto
e di cui non può né vuole essere l'eroe. Spogliato
dei panni di "bandito gentiluomo", ebbro di una libertà
d'azione senza precedenti, si trasforma in perfido trickster,
in variabile impazzita di uno scontro tra clan: infiltra tutti
i poteri e li mette uno contro l'altro fino a distruggerli.
Questo mito è magistralmente ri-attualizzato da Dashiell
Hammett nel suo romanzo Red Harvest (1929, uscito in Italia
come Piombo e sangue), che raggiunge i lettori di polizieschi
con la potenza di uno shift-punch al plesso solare, inaugurando
l'iper-adrenalinico sottogenere hard-boiled. Più
di settant'anni dopo, il romanzo conserva intatta la sua ubriacante
velocità: un anonimo io narrante - di cui nulla sappiamo
se non che lavora per l'agenzia investigativa Continental Op di
San Francisco - arriva nella città di Personville (malignamente
ribattezzata "Poisonville") e la rivolta come un calzino
disinfestandola da gangsters, sbirri corrotti e capitalisti vari.
La sua strategia è presto esposta:
I piani funzionano benissimo, a volte. A volte invece è molto meglio mettere semplicemente in moto qualche cosa... purché uno sia duro abbastanza da sopravvivere e da vedere ciò di cui si ha bisogno quando viene a galla.
A questo romanzo s'ispira Kurosawa Akira al momento di scrivere
e girare il suo Yojimbo (1951, in Italia: La sfida del
samurai). Anche qui, il protagonista (interpretato da Mifune
Toshiro) non ha nome, e si presenta semplicemente come "[uno
che ha] trent'anni" (in giapponese: "Yojimbo").
Rispetto a Red Harvest, la vicenda è meno intricata:
al posto del complesso mosaico di alleanze criminali di Poisonville,
c'è una netta contrapposizione tra due clan nemici. Kurosawa
sacrifica il plot alla forza espressiva del film chambara
(parente giapponese dei nostri "cappa-e-spada").
Sergio Leone vede Yojimbo e ha l'idea di rifarlo ambientandolo
nel Far West, ed ecco il celeberrimo Per un pugno di dollari
(1963). Anche qui, il protagonista non ha nome né biografia,
e la storia si fa ancora più scarna: l'esposizione della
guerriglia semiotica e psicologica dello straniero (Clint Eastwood:
barba incolta, sudicio poncho, cigarillo sbavato
e mordicchiato) si fa come didascalica, quasi il film fosse un
trattatello su come trarre vantaggi individuali dal caos e dal
vuoto di potere. Come Red Harvest ha inaugurato l'hard
boiled, Per un pugno di dollari inaugura tanto il cosiddetto
spaghetti-western quanto il nuovo western "revisionista"
e crepuscolare.
Più di trent'anni dopo, Walter Hill rinarra la storia in
un film ingiustamente sottovalutato, Last Man Standing
(1996, in Italia: Ancora vivo). Last Man Standing
non è un semplice remake né un omaggio postmodernista
a Hammett, Kurosawa e Leone: è un ulteriore scavo nel
mito, alla ricerca dei nudi archetipi, dei comuni denominatori,
e allo stesso tempo è una constatazione del fatto che,
in assenza di una comunità che possa trarne consolazione,
il mito diventa nihilista, contemplazione impotente del nil
novi sub sole. Come nel prototipo di Hammett, la vicenda torna
a svolgersi negli anni d'oro del gangsterismo americano, sebbene
in uno scenario rurale al confine col Messico. Bruce Willis ripropone
agli spettatori la dolente inespressività di Eastwood,
ma la sua figura è taurina anziché allampanata,
più simile a quella di Mifune. Le tinte sono molto più
cupe che nelle due precedenti versioni cinematografiche, non c'è
speranza né attesa di redenzione, tutto è avvolto
nel dolore e nell'insensatezza. Un film impressionante.
Infine, nel 1999 lo sceneggiatore Tom O'Rourke e il regista John
G. Avildsen regalano al pubblico la più bizzarra, scanzonata
e citazionistica versione della storia, Coyote Moon (In
Italia: Fino all'inferno). Dove Hill scarnificava, la coppia
O'Rourke-Avildsen ammassa, affastella, accumula, in uno straniante
e ridacchiante ibrido di western e screwball comedy. La
storia si svolge ancora nel deserto americano. Stavolta lo straniero
(uno Jean-Claude Van Damme davvero in stato di grazia) è
Eddie "l'uomo-coyote", figura che in diverse culture
nativo-americane, in primis quella Navajo, corrisponde
al trickster. Eddie è reduce da un'imprecisata guerra,
è deciso a suicidarsi ma non prima di aver sistemato le
cose nel solito, archetipico villaggio. Tra arti marziali, mitologie
della prateria, reminiscenze di tutte le guerre imperialistiche
condotte dagli Usa e sarcastici riferimenti alle strambe sottoculture
dell'America rurale (ad esempio, gli snake-handlers, i
"maneggiatori di serpenti" dei revivals cristiano-fondamentalisti),
il film procede fino al finale, in cui Eddie non si suicida e
due dei personaggi si recano al cinema per vedere... Yojimbo
("È come un western, solo che è giapponese!").
Il cerchio si chiude. Torniamo a noi.
Da che parte è il bosco?
Luther Blissett è un folk hero e trickster postmoderno, che non fa riferimento a un'etnia né a un'élite, bensì (in prima istanza) a un vasto bacino di "lavoro immateriale" che si estende su tutto il pianeta, e in ultima istanza - potenzialmente, marxianamente - all'intera Specie umana.
La tecnologia dapprima, poi la scienza, si trasmettono di generazione in generazione come una dotazione dell'Uomo Sociale, della Specie, che in tutti i suoi individui vi ha lavorato e collaborato. Nella nostra costruzione il Profeta, il Sacerdote, lo Scopritore, l'Inventore, vanno verso una pari liquidazione. L'Uomo Sociale [in Marx] è detto anche Individuo Sociale, il cui senso non è 'persona umanà come cellula della Società; ma invece società umana trattata come un organismo unico che vive una sola vita [...] Questo organismo, la cui vita è la Storia, ha un suo Cervello, organo costruito dalla sua millenaria funzione, e che non è retaggio di alcun Teschio e di alcun Cranio. Il Sapere della specie, la Scienza, ben più che l'Oro, non sono per noi privati retaggi, ed in Potenza appartengono integri all'uomo Sociale" (Amadeo Bordiga, 1957).
Per noi un individuo non è una entità, una unità compiuta e divisa dalle altre, una macchina per sé stante, o le cui funzioni siano alimentate da un filo diretto che le unisca alla potenza creatrice divina o a quella qualsiasi astrazione filosofica che ne tiene il posto, come la immanenza, la assolutezza dello spirito, e simili astruserie. La manifestazione e la funzione del singolo sono determinate dalle condizioni generali dell'ambiente e della società e dalla storia di questa. Quello che si elabora nel cervello di un uomo ha avuto la sua preparazione nei rapporti con altri uomini e nel fatto, anche di natura intellettiva, di altri uomini. Alcuni cervelli privilegiati ed esercitati, macchine meglio costruite e perfezionate, traducono ed esprimono e rielaborano meglio un patrimonio di conoscenze e di esperienze che non esisterebbe se non si appoggiasse sulla vita della collettività [...] (Amadeo Bordiga, 1924).
In ossequio a questa posizione limpidamente materialistica
(oggi resa finalmente praticabile, grazie alle nuove tecnologie
di riproduzione/compressione/distribuzione dei prodotti intellettuali),
tutto quanto viene firmato col nome multiplo è privo di
copyright, liberamente riproducibile, modificabile, perfezionabile
senza dover rispondere ad alcuna Autorità.
Luther Blissett è Gemeinwesen. Gemeinwesen [tedesco:
essere comune] è un termine usato da Karl Marx nei suoi
scritti giovanili (1844) e poi "evocato" nelle pieghe
dei celebri Grundrisse... ("Lineamenti per la critica
dell'economia politica", 1859). Indica la dimensione collettiva
della vera comunità umana, che non s'identifica con alcuna
comunità esistente (Gemeinschaft) o gruppo limitato,
ma con la molteplicità e la ricchezza delle relazioni che
il proletariato avrebbe potuto e dovuto creare nella stessa cooperazione
sociale capitalistica, "una volta gettata via la limitata
forma borghese", oltre comunità fittizie quali la
"cittadinanza", e oltre la stessa lotta di classe.
La Gemeinwesen è il principio comunitario che non
si "rapprende" in una data Gemeinschaft, perché
la comunità è comunità degli umani, e va
scoperta nell'intera Specie.
Le nuove e sempre più diffuse figure del lavoro vivo create
dall'estendersi delle tecnologie informatiche - abituate a lavorare
"in rete", a produrre comunicazione sociale, a collaborare
(come richiede il modo di produzione post-fordista) - sono le
più vicine a un'esperienza di Gemeinwesen. Nelle
pieghe del nuovo lavoro va formandosi una comunità allargata
che vive con crescente insofferenza l'espropriazione, ad opera
di parassitiche multinazionali, della ricchezza che essa produce,
ricchezza anche "immateriale", relazionale, emotiva.
Buona parte delle persone che, in Italia, hanno adottato il nome
di Blissett rientravano nella tipologia del lavoratore "immateriale"
e/o "atipico" (programmatori, web designers, operatori
culturali, grafici, copy writers, traduttori, lavoratori del "terzo
settore", "lavoratori autonomi di seconda generazione",
"popolo delle partite IVA", etc.). Ciò non implica
alcun "monosoggettivismo": la reputazione di Blissett
può essere usata da chiunque voglia farne un'arma per le
nuove guerre di classe: dalle sottoculture giovanili del satollo
Nord ai campesinos e sem terra latino-americani.
Non c'è nessun punto archimedico da cui rovesciare il mondo,
nessun Soggetto principe della Rivoluzione, come hanno creduto
le diverse correnti del comunismo novecentesco. L'azione può
partire da qualsiasi punto, anche se esistono situazioni geografiche
(il versante del Pacifico, l'Asia sud-orientale) e processi economico-sociali
(l'estendersi del "lavoro immateriale") dalla maggiore
importanza strategica.
L'essenziale è che entri nelle teste di tutti questa semplice
verità: per lottare, c'è bisogno di una nuova mitopoiesi.
Ogni fase storica della guerra tra classi ha bisogno di una propulsione
mitologica. Oggi ci occorrono mitologie aperte, interattive, nomadiche,
nuovi folk heroes e waldgangers, ma anche inedite
situazioni comunitarie, che Blissett ha chiamato "Picard
e Daton su El-Adril" (cfr. i seguenti estratti da Mind
Invaders).
"Picard e Daton su El-Adril" è la necessità
di trovare un mito di lotta che, prima di tutto, sia comune a
tutto l'odierno "lavoro immateriale", a quella galassia
di soggetti che si dibatte per sfuggire al controllo poliziesco
esercitato dai vecchi e nuovi rentiers della proprietà
intellettuale.
La comunità del Luther Blissett Project è sempre
stata tesa a creare una situazione come "Picard e Daton
su El-Adril", il cui risultato sarebbe stato una tipologia
completamente nuova di eroe, mosso sulla scena del mondo dai soggetti
sociali che rappresentano al meglio lo sviluppo del cervello sociale.
Al termine della sua prima decade di vita e azione e in vista
del Seppuku delle colonne italiane del Progetto, possiamo
dire che Luther Blissett è stato ed è un esperimento
di "Picard e Daton su El-Adril", certo coi suoi difetti,
ma importante, perché indica la via per superare la miseria.
1. Su come possano conciliarsi l'anti-individualismo di Blissett e la difesa di un concetto apparentemente borghese come "privacy", cfr. Luther Blissett Project, Nemici dello Stato: criminali, "mostri" e leggi speciali nella società di controllo, Derive Approdi, Roma 1999, pagg. 165-169.
2. Nel 1994 Gordon Chan ha diretto un esaltante remake di Fist of Fury, intitolato Fist of Legend. Ne è protagonista Li Liánjié, alias Jet Li, superstar del cinema d'arti marziali, specializzato nell'interpretare folk heroes della tradizione cinese e cantonese (Wong Fei Hung nel ciclo Once Upon A Time in China e nell'autoparodia Last Hero in China, Fong Sai Yuk nella serie eponima etc.)
II. L'arte della comunicazione-guerriglia
"In ogni conflitto, le manovre regolari portano allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria. Chi è abile nel sortire bizzarri stratagemmi è inesauribile come il Cielo, la Terra e i grandi fiumi. Giunto al termine riparte, come il sole e la luna; dopo morto rinasce, come le quattro stagioni."
Sunzi, L'arte della guerra (Ping Fa)
Guerriglia mediatica: valutazioni di base
La guerriglia mediatica è soltanto un momento della
comunicazione-guerriglia, che a sua volta non è che una
parte della più estesa guerriglia culturale.
L'arte della guerriglia mediatica non muove dai concetti di "contro"
e "in alternativa a", ma piuttosto dalla teoria di Sunzi
(Sun Tzu) sui vuoti e sui pieni (cap. VI de L'Arte della guerra).
Essa parte dal presupposto che sia possibile agire dentro
il sistema della comunicazione massmediatica, combattendolo con
le sue stesse armi.
La guerriglia mediatica non vuole svelare la "verità
più vera" di cui i grandi mass media ci terrebbero
all'oscuro: condizione preliminare per questa pratica bellica
è l'abbandono della recriminazione e di ogni teoria del
Grande Fratello, ovvero quella che vede gli operatori che gestiscono
i mezzi di comunicazione di massa come astuti ed efficienti "disinformatori
di regime". Il conformismo e la compattezza dei mass media
non nascono da una particolare capacità strategica di fantomatici
gestori del "potere mediatico", quanto piuttosto dall'estrema
ignoranza, malafede, meschinità e grettezza di piccoli
uomini e donne che si fingono professionisti dell'informazione
e non sanno fare altro che appiattirsi gli uni sugli altri, dando
in questo modo l'impressione (ma solo quella) di essere uno schieramento
compatto e potente. Le apparenze ingannano.
La guerriglia mediatica non serve nemmeno a dimostrare la natura
mendace dei media. Lo sanno tutti che mentono, è senso
comune, anzi, è "discorso da autobus". Non per
questo la gente smette di comprare i quotidiani o guardare i telegiornali.
La guerriglia mediatica è una pratica, un modo diverso
di rapportarsi al medium della comunicazione di massa. Ovvero
l'abbandono della recriminazione e l'adozione di un retrovirus,
una pratica ludica che esorcizza in quanto tale la disinformazione
esercitata dai mass media e ne ridimensiona ai nostri occhi
il potere. Il passaggio preliminare è quello di abbandonare
la paranoia e accettare la sfida.
La guerriglia mediatica non è un modo di riappropriarsi
dell'informazione nel senso di rubare spazio al sistema massmediatico
"ufficiale" o di dimostrare la deformazione delle notizie
esercitata da quest'ultimo. Essa è la realizzazione di
un gioco all'inganno reciproco, una forma di cooptazione dei media
in una trama impossibile da cogliere e da comprendere, una trama
che fa cadere i mass media vittime della loro stessa prassi. Pura
arte marziale: usare la forza (e l'imbecillità) del nemico
rivolgendogliela contro.
Alcuni esempi
Nella primavera-estate del 1994 pervengono ai giornali locali
di Bologna parecchie lettere di cittadini indignati per il ritrovamento
in luoghi pubblici di interiora animali. Autobus, parchi pubblici,
parcheggi, sembrano essere i luoghi privilegiati dai misteriosi
seminatori di frattaglie.
Alcuni passanti sono poi testimoni della performance di un giovane
attore teatrale in una via del centro storico. Simulando un attacco
di convulsioni, l'attore si getta a terra "sventrandosi".
Da sotto la camicia lascia uscire un intestino di vitello che
scivola sul selciato.
Qualche settimana dopo, mentre le lettere e le segnalazioni continuano
incessanti, all'Happening dei giovani di Comunione e Liberazione,
presso i Giardini Margherita, vengono rinvenuti un cervello di
vitello, e un cuore suino appeso ad una bava da pesca con un misterioso
cartello riportante la scritta "Novosibirsk brucia!".
E così nasce il fenomeno che i giornalisti battezzeranno
"Orrorismo". Pagine e pagine delle cronache locali vengono
riempite con i pareri di noti docenti di storia dell'arte, sociologi,
psicologi, e virtuosi vari.
Soltanto sul finire dell'estate la ricostruzione completa della
vicenda verrà resa disponibile da un certo Luther Blissett.
L'orrorismo non esiste, le uniche azioni orroriste realmente compiute
sono state le due sopra riportate, le lettere pubblicate sui giornali
che riferivano dei ritrovamenti di frattaglie in città
erano tutte false, scritte dagli orroristi medesimi.
Prova generale di sistema: quello che puoi fare con qualche francobollo
e un passaggio in macelleria.
Nel gennaio 1995 la redazione della trasmissione televisiva
"Chi l'ha visto?" si interessa a un lancio Ansa che
denuncia la scomparsa di un artista inglese in Friuli, un certo
Harry Kipper.
L'appello per il ritrovamento della persona scomparsa parte da
un gruppo di bolognesi che trasmettono da una radio locale, amici
di Kipper. Durante un giro in bicicletta nel nord Italia l'artista
ha fatto perdere le sue tracce. L'ultima apparizione è
avvenuta ad Udine, dove Kipper era ospite da alcuni conoscenti
friulani, anch'essi attivi nella redazione di una radio.
"Chi l'ha visto?" invia una troupe a Bologna, quindi
a Udine; intervista gli amici di Kipper, i quali ricostruiscono
le tappe del suo percorso e ne descrivono il carattere. Infine
la troupe della Rai si sposta a Londra, dove incontra gli amici
inglesi di Kipper e filma i luoghi frequentati da questo bizzarro
personaggio, la sua casa, le sue opere.
Il materiale ripreso viene montato e preparato per essere mandato
in onda. Ma all'ultimo momento una provvidenziale telefonata all'ambasciata
britannica e una ricerca anagrafica mirata costringono i responsabili
della trasmissione a bloccare tutto. Risulta infatti che Harry
Kipper non è mai esistito. è tutto falso, si è
trattato di una "circonvenzione" messa in pratica tra
Bologna, Udine e Londra da un gruppo transnazionale di persone
accomunate dall'uso della stessa sigla: Luther Blissett. Lo stesso
che pochi giorni dopo rivendicherà la beffa svelandone
tutti i retroscena ai quotidiani nazionali.
Nella primavera del 1996 sulle pagine nazionali de "Il
Resto del Carlino" viene pubblicata integralmente la lettera
- pervenuta alla redazione - di una prostituta sieropositiva
che confessa di utilizzare ormai da tempo profilattici forati,
per vendicarsi dell'infezione da HIV contratta durante l'esercizio
della professione. Il quotidiano dedica due pagine intere alla
vicenda, con tanto di pareri "specialistici" (il sociologo,
lo psicologo, il criminologo, il teologo, ecc.) fomentando senza
alcun ritegno il panico morale.
Dopo alcuni giorni di can-can scatenato, alle redazioni di tutti
i quotidiani nazionali perviene una seconda missiva. La prostituta
in questione è il parto della fantasia di un gruppo di
guerriglieri mediatici che si firma Luther Blissett. Per altro
la chiave dell'inganno era già contenuta nella prima lettera,
siglata L.B.
Tra il 1996 e il 1997 la città di Viterbo viene percorsa
da un'ondata di panico morale. Polizia e cronisti locali, preventivamente
avvertiti da telefonate anonime e misteriosi messaggi murali,
rinvengono nella campagna viterbese i resti di messe nere con
vari ammennicoli satanici: gallinacci, candele, pentacoli e paccotiglia
del genere.
Negli stessi mesi pervengono ai giornali locali svariate lettere
di cittadini che segnalano ulteriori tracce della presenza satanista
nell'hinterland viterbese e gettano addirittura il sospetto che
gli adoratori del demonio abbiano agganci nella giunta comunale.
Ai giornalisti viene comunicata la nascita di un Comitato per
la Salvaguardia della Morale: i cacciatori di satanisti, i cui
comunicati trovano spazio nelle pagine dei quotidiani locali.
Il panico cresce, il clima si surriscalda, il vescovo di Viterbo
è costretto a spendere più di una parola nelle sue
omelie sul diffondersi del satanismo in città. E ancora
lettere su lettere, articoli, scoop e controscoop: un anno di
rassegna stampa.
Poi alla redazione del TG del Lazio e a quella di Studio Aperto
(Italia 1) perviene una videocassetta. è una ripresa rubata
di nascosto ad un consesso satanista. Per la verità non
si vede quasi niente: schermo nero frusciante, e un lumicino in
lontananza con una cantilena in simil latino in sottofondo, interrotta
dalle urla di una ragazza.
La videocassetta è accompagnata da una lettera in cui un
anonimo videomaker rivela di aver seguito i satanisti fino al
luogo del loro convegno, ma di non essersi potuto avvicinare di
più per paura di essere scoperto.
Il TG regionale darà la notizia; Studio Aperto mostrerà
il video con pesantissimi commenti.
Una settimana più tardi al settimanale del TG1 "TV7",
Gianluca Nicoletti mostra lo stesso filmato, ma nella versione
integrale fattagli pervenire dal misterioso regista.
Gli ingredienti sono gli stessi: buio, lumicino, cantilena, urla.
Ma la telecamera si avvicina sempre di più, fino ad entrare
nella piccola costruzione, dove sta avendo luogo la messa nera:
ci sono alcune figure incappucciate, intorno a un fuoco. D'un
tratto si tolgono i cappucci e si gettano in una sfrenata tarantella,
mostrando un poster di Luther Blissett.
Nicoletti svela l'arcano. Le lettere ai giornali, il Comitato
per la Salvaguardia della Morale, le scritte murali, i resti delle
messe nere, fino al video rivelazione: tutto falso. Tutto orchestrato
ad hoc dalla colonna laziale del Luther Blissett Project.
Nel 1996 la casa editrice Mondadori fa uscire un libro firmato
Luther Blissett, intitolato net.gener@tion. Il curatore,
tal Giuseppe Genna, spiega nell'introduzione come è riuscito
a mettersi in contatto con il Multiplo e a farsi spedire il materiale
con cui ha costruito il libro. è stato contattato per via
telematica e ha ricevuto istruzioni mano a mano che l'opera prendeva
forma.
Il giorno stesso in cui il volume esce nelle librerie italiane,
dalle pagine de "La Repubblica" e de "Il Manifesto"
Luther Blissett rivendica una delle beffe più grosse della
sua carriera: la grande beffa alla Mondadori.
Questo Giuseppe Genna si stava aggirando da un po' di tempo nei
meandri della rete, frequentando gruppi di discussione, visitando
siti, ecc., in cerca di Blissett. Prima di rispondere alle richieste
di questo perfetto sconosciuto, Blissett decide di documentarsi,
scoprendo che si tratta di un neo-fascista doc, collaboratore
di riviste e case editrici di estrema destra, col vizio, diffuso
in quegli ambienti, di cercare il flirt con la sinistra radicale.
Invece di mandarlo a quel paese, Blissett decide di usarlo come
cavallo di Troia per beffare la Mondadori. Così prende
contatto col gonzo, lo lusinga con qualche frase "misteriosa"
di sapore vagamente esoterico-iniziatico, e poi comincia a passargli
il materiale più scadente che si possa raccattare in giro.
Documenti presi dalla rete e plagiati al punto da diventare irriconoscibili,
testi scritti completamente sbronzi, temi scolastici sulle nuove
tecnologie, false interviste, e via di questo passo. Genna, ringalluzzito,
presenta il libro alla Mondadori, e la casa editrice lo fa uscire,
con un'assurda epigrafe in cui afferma di prendere le distanze
dai contenuti del volume e di averlo dato alle stampe per pura
conoscenza. Una formula stranissima che non lascia capire se l'editore
è spaventato dai contenuti demenziali del libro o dall'appartenenza
politica del curatore. Il libro esce già bruciato, e venderà
non tanto come testo di Blissett, quanto come esempio di beffa
blissettiana.
Tecniche di sabotaggio mediatico
"La guerra si fonda sull'inganno", scrive Sunzi.
E l'inganno ha le sue regole, dettate dall'esclusivo criterio
dell'efficacia. Per essere efficace, l'inganno deve essere ordito
come la tela di un ragno, con metodo ed estrema dovizia di particolari.
"L'abbondanza dei calcoli assicura la vittoria, e una loro
scarsità la impedisce". Il nemico si sconfigge prima
di incontrarlo in battaglia, prevedendo le sue mosse.
Per attirare l'operatore dei mass media (il cacciatore di notizie)
nella rete occorre agire sul margine di verificabilità
della notizia che si intende spacciare. Ogni notizia ha una suo
nucleo verificabile e una vasta e tratteggiata zona di
inverificabilità, che definiremo penombra. Normalmente
il giornalista/cronista sfrutta la zona di penombra - attraversata
da leggende metropolitane, dicerie, voci di corridoio, "si
dice" - per fabulare senza limiti, infarcire e confezionare
la notizia nel modo più vendibile possibile. Così
anche il guerrigliero mediatico, il truffatore, gioca sul rapporto
stretto tra il nucleo di verità (o meglio di verificabilità)
e la vasta area di penombra che circonda una notizia.
La penombra è il terreno di gioco tra il mass media e il
guerrigliero mediatico.
Markus Wolf, detto Misha, per trent'anni capo dei servizi segreti
della Germania Est, l'uomo che mise in circolazione la leggenda
secondo cui l'Aids sarebbe un virus creato in laboratorio dagli
americani per la guerra batteriologica e poi sfuggito al loro
controllo, afferma: "la disinformazione deve sempre basarsi
su un sostrato di verità".
L'azione di guerriglia mediatica deve sempre trovare spunti nella
realtà, nell'accaduto; lo spaccio di notizie false, la
truffa mediatica, non può basarsi solo sulla fantasia:
occorre modificare la realtà, ovvero in-formarla,
ma senza che il cacciatore di notizie possa accorgersene. Questi
non deve poter distinguere tra realtà e fabulazione, occorre
fargli credere di avere il controllo assoluto sul materiale a
disposizione. Occorre insomma sfruttare la sua stessa presunzione
professionale.
Torniamo a Sunzi : "Chi sa far muovere l'avversario lo costringe
ad adattarsi alla propria disposizione e gli offre qualcosa che
non può non prendere. Lo fa muovere con la speranza di
un vantaggio, e con le truppe lo attende al varco".
Anche Von Clausewitz concorda su questo punto: "L'uomo astuto
lascia che la sua vittima commetta da sé quell'errore di
apprezzamento che, traducendosi in definitiva in un risultato,
modifica repentinamente agli sguardi dell'ingannato l'essenza
delle cose".
Il giornalista cacciatore di notizie va attirato con un'esca appetitosa
e apparentemente casuale. Deve credere di esserci arrivato da
solo.
Si sta parlando della stessa tecnica adottata dai servizi di controspionaggio
nei confronti delle "talpe". Una volta identificato
un infiltrato, invece di bruciarlo, si comincia a passargli notizie
distorte o false, che la spia riporterà ai suoi committenti
come se fossero il frutto della propria attività.
Sunzi definisce la zona d'azione delle spie "Yongjiang",
cioè "spazio intermedio". è su questo
spazio intermedio che si spalanca il margine dell'azione di guerriglia
mediatica. I cacciatori di notizie sono talpe, che credono di
vedere tutto chiaramente, ma in realtà sono cieche.
Se analizziamo l'esempio della beffa a "Chi l'ha visto?"
risulterà tutto molto chiaro.
L'appetibilità della sparizione di Harry Kipper nasceva
dal fatto che si trattava di un personaggio originale, e l'ambiente
in cui si muoveva lo era altrettanto: artisti sui generis, radio
indipendenti, gruppi giovanili, sottoculture. La storia da raccontare
era anch'essa molto accattivante.
Quando si è trovata sui luoghi attraversati da Kipper,
la troupe della Rai ha potuto raccogliere prove concrete
e testimonianze del suo passaggio: gente che lo aveva ospitato,
amici, oggetti dimenticati, ecc. Questo era il nucleo verificabile
della notizia: i segni del passaggio e dell'esistenza di Harry
Kipper. Quello che i cacciatori-talpe non potevano prevedere era
che queste prove erano state costruite ad hoc. La coordinazione
tra i tre gruppi di truffatori (Bologna, Udine, Londra) ha dato
il tocco finale di verosimiglianza a tutta la costruzione. Poco
importa che il servizio sulla sparizione di Kipper non sia andato
in onda, perché si erano già raccolti tutti gli
elementi necessari per trasformare in zimbelli i segugi di "Chi
l'ha visto?".
La guerriglia mediatica è un metodo omeopatico di difesa
dall'ingerenza/presenza dei mass media nell'immaginario collettivo
e nella nostra vita. Rivoltando contro i media le loro stesse
armi, e dando il più ampio margine di notorietà
alla cosa, si pubblicizza un nuovo modo di fruire i mass media,
interattivo e paritario, in cui la potenza dei grandi mezzi di
comunicazione di massa viene ridimensionata, messa in ridicolo,
e la coglionaggine degli operatori del settore risulta lampante.
Ma non solo. In alcune circostanze, e con una valenza assolutamente
contingente, tattica, la guerriglia mediatica si presta ad essere
integrata in strategie di più classica controinformazione.
Ad esempio la beffa di Viterbo ha dimostrato che un qualsiasi
mitomane o anche solo un burlone che spruzza benzina su una leggenda
metropolitana un po' morbosa, o ancora un santone a caccia di
pubblicità, offrono ai mass media materiale sufficiente
per trasformare il folklore metallaro satanista in "emergenza
morale". E questo grazie al pressapochismo e alla malafede
degli operatori del settore. In questo caso l'azione omeopatica
di guerriglia è la risposta alle ignominiose campagne di
allarme sociale sulle sette di cui i media si fanno volentieri
megafono. Qualora ad esempio, in un contesto di controinchiesta
giornalistica, si volesse puntare l'indice sulla consueta prassi
di "sbattere il mostro in prima pagina", la guerriglia
mediatica può risultare un'efficace contromisura.
Comunicazione-guerriglia
"La massima abilità nel disporre le truppe sta nel non
avere forma certa. In tal modo, chi si infiltri in profondità
non può decifrarla, e gli esperti non possono ordire piani.
è basandosi sulla disposizione che si determina la vittoria,
ma la massa non può capire come.
Tutti possono conoscere i risvolti esterni del mio successo, ma
nessuno può capire il disegno interno che lo determina.
In caso di vittoria è bene non ripetersi, adottando un'inesauribile
varietà dispositiva.
La disposizione delle truppe deve somigliare all'acqua. Come l'acqua,
nel suo movimento, scende dall'alto e si raccoglie in basso, così
le truppe devono evitare i punti di forza e concentrarsi sui vuoti.
Come l'acqua regola il suo scorrere in base al terreno, così
l'esercito deve costruire la vittoria adattandosi al nemico."
(Sunzi)
Questi pochi capoversi sono da ritenersi tra i più importanti
di tutta la teoria bellica. Il "non avere forma certa"
e la "inesauribile varietà dispositiva", insieme
alla teoria dei vuoti e dei pieni, vanno assunti come veri e propri
assiomi per la comunicazione-guerriglia, di cui la guerriglia
mediatica non è che una parte, una delle tante pratiche
possibili.
Nel caso in questione, Blissett non ha mai smesso di accompagnare
alla guerriglia mediatica forme di comunicazione "in positivo",
attraverso i media classici.
Gli albori del Luther Blissett Project hanno visto una prima diffusione
mirata della fama e delle gesta del Multiplo tramite onde radio,
carta stampata, reti telematiche, e azioni corporee (performative).
Il primo medium ad essere utilizzato "in positivo" da
Blissett è stata ad esempio la radio. Radio Blissett
era una trasmissione locale (Bologna e Roma) che ha richiamato
l'attenzione anche della stampa nazionale, i cui redattori si
chiamavano tutti Luther Blissett e usavano la prima persona singolare
per riferirsi indistintamente alle gesta proprie e degli altri.
Nello stesso arco di tempo uscivano nel circuito della distribuzione
underground (centri sociali, librerie dell'ultrasinistra, ecc.)
i tre numeri della prima rivista ("Luther Blissett -
rivista mondiale di guerra psichica"), a cui sarebbe seguita
una seconda serie, tre anni dopo ("I Quaderni Rossi di Luther
Blissett").
Su Internet, luogo prediletto di mitopoiesi e mitogenesi, intanto
andavano prolificando i siti in cui Luther Blissett compariva
a vari livelli: come argomento e/o firmatario di documenti e pagine
web, come partecipante a gruppi di discussione, come saggista
e quant'altro.
Ancora in questa prima fase tattica ha consumato la propria vita
il Teatro Situazionautico Luther Blissett, di cui in alcune città
italiane si conserva ancora memoria per le performance di strada,
in grado di radunare e coinvolgere alcune centinaia di persone
(mescolando pubblico e attori).
A questo si aggiunge una prima serie di pubblicazioni a carattere
saggistico (nonché "pubblicitario") per l'editoria
minore. Mind Invaders (di cui trovate riprodotte le parti
più succose in questo volume) e Totò, Peppino
e la guerra psichica (riprodotto integralmente), uscirono
agli albori del progetto nelle collane di piccole case editrici.
Non da ultimo Blissett ha prestato la propria fama e le proprie
energie per condurre una battaglia di controinformazione sulla
malagiustizia italiana, sulle campagne stampa di demonizzazione
e mostrificazione di presunti colpevoli, e sulla prassi inquisitoriale
mantenuta da fior fior di magistrati. I due testi di riferimento
sono Lasciate che i bimbi - "pedofilia": un pretesto
per la caccia alle streghe, e Nemici dello stato -
criminali, "mostri" e leggi speciali nella società
di controllo, entrambi usciti per piccoli editori romani.
A tutto questo fanno da corollario le innumerevoli comparsate
e il coinvolgimento diretto di Blissett su fanzine autoprodotte,
riviste, bollettini telematici, trasmissioni televisive, romanzi
(sono almeno cinque le opere di narrativa in cui Luther Blissett
compare come personaggio).
Tanto l'uso dei media minori quanto la guerriglia mediatica
a danno dei grandi mezzi di comunicazione di massa non vanno visti
soltanto come momenti puramente bellici. Nell'economia
dell'assalto alla cultura pop lanciato da Blissett, nell'economia
dell'intera "Operazione Blissett", essi sono anche momenti
dialettici della creazione della fama del Multiplo. Beffare giornali
e tv, cosiccome produrre una letteratura blissettiana (per quanto
di nicchia) sono pratiche altamente "pubblicitarie",
nel senso che si prestano ad essere esaltate dai media stessi
e a coinvolgere un numero imprecisato di persone. La fama di Blissett
come Robin Hood della comunicazione è una tappa essenziale
per gli sviluppi che seguono, nella misura in cui questo personaggio
virtuale (o chi per lui) deciderà di compiere un salto
qualitativo-strategico e spendere questa reputazione a un livello
più alto.
Il fatto di poter contare su un esercito invisibile e quindi innumerabile
aumenta la potenza della leggenda di Luther Blissett, facendone
un'incognita del mainstream culturale: il fattore LB.
Tanto per esemplificare il potere di suggestione che una leggenda,
un mito, può esercitare, è sufficiente rivelare
che alcune delle più clamorose beffe di Luther Blissett
ai danni dei media non sono mai state rivendicate da Luther Blissett
e in alcuni casi non sono mai state progettate come tali, ma sono
state attribuite al Multiplo dagli stessi operatori dei media.
La paura di cadere in una trappola di Blissett è stata
in alcune occasioni così forte da far gridare "al
lupo!" anche quando del lupo non c'era traccia. Pura arte
marziale: quando l'avversario diventa il nemico di se stesso,
quando metti a segno un colpo senza muovere un dito, allora sai
di avere la vittoria in tasca.
Questa tattica è esemplificata nel film di Bryan Singer
del 1995 I soliti sospetti, in cui l'invisibile supercriminale
Keiser Soze costruisce un mito di sé mostruosamente esteso
ed esagerato, per fare nascere il dubbio che si tratti quasi di
un'entità ultraumana, o appunto di una leggenda della delinquenza
organizzata: una sorta di Robin Hood cattivo, uno spauracchio
privo di consistenza corporea. Questo dubbio non solo è
funzionale ad avvolgere il Kaiser Soze in carne ed ossa in una
spessa cortina di nebbia che disorienta gli sbirri, ma soprattutto
mantiene nella vaghezza il potere reale di questo principe nero
del crimine, impedendo ai suoi nemici e alle sue vittime di tutelarsi
in qualsiasi modo. La battuta che suggella il perfetto funzionamento
della leggenda è la risposta che dà il personaggio
di Verbal Kint, quando gli viene chiesto perché, avendo
avuto a tiro Kaiser Soze non gli abbia sparato: "Come fai
a sparare al Diavolo? E se sbagli?".
È questo il processo psicologico che va inculcato nell'avversario:
la paralisi preventiva per paura che una qualsiasi mossa si riveli
controproducente.
Gli anni Novanta del XX secolo ci hanno consegnato un Kaiser Soze
reale, che si è mosso nelle pieghe della guerra nella ex-Jugoslavia.
Il Comandante Arkan, capo delle milizie più crudeli e fanatiche
dell'esercito serbo, è un fine conoscitore della comunicazione-guerriglia.
Questo scaltro tagliagole, su cui pendono svariate condanne del
Tribunale dell'Aja, ha costruito nel corso degli anni il mito
di se stesso in funzione della guerra etnica. Durante il conflitto
serbo-croato-bosniaco era solito accompagnare i cronisti occidentali
sui luoghi in cui i suoi miliziani compivano le peggiori efferatezze
ai danni della popolazione civile. La pubblicità negativa
che questi avrebbero riportato su giornali e televisioni si sarebbe
rivelata utilissima per Arkan. Il messaggio era semplice: "Ecco,
vedete quale trattamento riserviamo a chi incrocia la nostra strada".
Da quel momento, Arkan e i suoi aguzzini potevano anche risparmiare
le energie, perché i racconti dei giornalisti occidentali
sarebbero valsi più di dieci azioni reali. Lo stesso è
valso per la costruzione di un'iconografia adeguata alle aspettative
create. C'è ancora chi giura di aver visto il Comandante
Arkan passeggiare tranquillamente per le strade bombardate di
Vukovar con un cucciolo di tigre in braccio. E ha fatto il giro
del mondo la fotografia di Arkan con una spada medievale in mano
dopo il bombardamento Nato del più lussuoso albergo di
Belgrado. Ancora, i profughi kossovari raccontavano ai giornalisti
occidentali di aver visto le Tigri di Arkan strappare gli occhi
ai neonati con le mani e mangiare il cuore delle loro vittime.
Quando è scoppiata la guerra tra la Nato e la Jugoslavia,
a Pristina, capitale del Kossovo, si sparse la voce che stava
arrivando Arkan. Addirittura l'inviato di Radio Radicale sostenne
di avere avvistato il suo autista personale. La conseguenza fu
l'accelerazione del fuggi fuggi generale dei kossovari, ovvero
della pulizia etnica propugnata dal governo serbo. In realtà
Arkan e i suoi non sono mai usciti dai confini della Serbia per
tutta la durata del conflitto, e anzi, forse non hanno nemmeno
mai lasciato Belgrado. Eppure sono stati numerosi gli avvistamenti
e le segnalazioni in varie zone del teatro bellico. Non ci sarebbe
da meravigliarsi se si scoprisse che è stato Arkan medesimo
a spargere quelle voci. Pura comunicazione-guerriglia: assecondare
e incentivare il terrore dell'avversario; dargli quello che si
aspetta, ma moltiplicato per cento.
Torniamo a Blissett. L'idea che sottende il Luther Blissett
Project fin dalle sue origini è quella di creare un fantasma
che conduca il libertarismo fuori dall'underground, dal cul-de-sac
del centrosocialismo reale, dalle nicchie di militantismo o militontismo
in cui è rimasto per quasi un ventennio, immettendolo nuovamente
nell'overground, nel mainstream culturale. Si tratta insomma di
usare questo spettro collettivo, questo fantomatico eroe popolare
mosso da migliaia di fili, per fare irrompere nella cultura
pop un mito di lotta. Un mito ludico, scaltro, accattivante,
efficace, per l'appunto "pop", che pubblicizza una visione
della vita e della lotta di classe libera e felice, lontana dagli
errori/orrori del Novecento.
"Se Blissett ha deciso di destabilizzare la cultura è
solo perché lo ritiene più efficace che sparare
ad altezza d'uomo in mezzo alla folla!", si può leggere
nella prima rivista firmata dal Multiplo. L'assalto alla cultura
è ben lungi dall'esaurirsi nelle beffe mediatiche, o nel
mantenimento di una nicchia di consumo per prodotti sottoculturali.
L'assalto alla cultura di Luther Blissett - o comunque si
chiamerà l'eroe eponimo che "nominerà"
tale assalto nel prossimo millennio - non ha senso se non
nella prospettiva di un graduale sviluppo, di una Lunga Marcia
che porti all'acquisizione di sempre maggiore peso specifico e
autorità nei confronti della grande industria culturale
e dell'immaginario collettivo. Il potere contrattuale acquisito
da Blissett negli ultimi cinque anni del XX secolo è soltanto
l'inizio, oltreché la dimostrazione che si può
fare.
Dien Bien Q
"Il 13 marzo 1954 segnò l'inizio della seconda fase della campagna di inverno-primavera. Aprimmo la grande offensiva contro il campo trincerato di Dien Bien Phu, e ciò apportò un elemento nuovo nella fisionomia della guerra. Attenendoci saldamente alla parola d'ordine: dinamismo, iniziativa, mobilità, decisione istantanea di fronte alle situazioni nuove, e sfruttando per il meglio i nostri vantaggi sul fronte di Dien Bien Phu, avevamo modificato la nostra tattica e diretto il nostro attacco principale contro il più potente campo trincerato del Corpo di spedizione. Sul fronte principale, le nostre unità regolari non avevano più il compito di accerchiare e di bloccare la guarnigione, ma di passare all'attacco e di concentrare le forze per annientare il nemico. Gli altri fronti del Centro, del Sud e del Nord dovevano mantenersi in costante attività, in coordinazione con Dien Bien Phu, per infliggere nuove perdite al nemico."
Generale Vo Nguyen Giap, Guerra del popolo, esercito del popolo, 1961.
Come suggeriscono tutti i grandi teorici della guerra, è
sempre necessario scartare da una qualsiasi tattica che sia diventata
prevedibile.
Dopo aver costruito passo passo la rete di sentieri di montagna
e tunnel intorno all'altopiano, conquistando a Blissett un peso
specifico nei confronti dell'industria dell'informazione e della
cultura, diventa necessario spendere tale peso e pianificare l'offensiva
in grande stile. Accerchiato il nemico, giunge l'ora di puntare
direttamente al centro del campo avversario.
Questa linea, che non prevedeva attacchi diretti ai campi trincerati, ci aveva permesso di conseguire molteplici successi. Ma non era l'unica possibilità di azione che fosse a nostra disposizione. Potevamo attaccare direttamente questi campi per annientare il nemico anche all'interno del suo nuovo dispositivo di difesa. D'altro canto solo la distruzione dei campi trincerati poteva modificare la fisionomia della guerra, aprire la via a nuove vittorie per il nostro esercito, per il nostro popolo. (Gen. Vo Nguyen Giap).
Nell'ipotesi di una guerra di lungo corso, la guerriglia "boschiva"
di confine, nella giungla, è un momento che va superato.
O meglio è una tattica che deve poter essere adattata a
nuove tipologie di terreno. Gli obiettivi devono essere sempre
più ambiziosi. Si vince studiando sempre nuovi piani d'attacco,
non difendendo le posizioni guadagnate. La questione è
semplice: dopo le sue innumerevoli scorribande ai danni del castello,
il Waldganger può uscire dalla macchia ed entrare
nella roccaforte nemica con tutto il peso della propria leggenda?
Ovvero è possibile muovere l'attacco dall'interno
della cittadella dell'industria culturale?
è assolutamente evidente che - come indica il generale
Giap - le due forme di conduzione del conflitto, la guerriglia
boschiva e l'uscita allo scoperto, devono andare insieme, devono
essere complementari. Nel caso dell'attacco diretto o dell'infiltrazione
nel campo avversario, la figura dell'eroe tende a slittare dal
Waldganger al trickster. è su questo secondo
aspetto che si pone l'accento, spostandosi metaforicamente da
un paesaggio silvestre a uno metropolitano: dalla foresta di Sherwood
al castello di Nottingham. Come nei film di Leone e Kurosawa,
il trickster mostra la sua faccia e mette le proprie capacità
a disposizione di potenti clan; ma in realtà sta agendo
secondo un piano, che prevede lo sfruttamento dei mezzi messigli
a disposizione dai grandi boss per il proprio esclusivo tornaconto
e, in definitiva, a danno di quest'ultimi. Fuor di metafora il
trickster è uno scaltro truffatore che sa muoversi
nelle stanze del potere culturale come un pesce nell'oceano, forzando
i limiti strutturali di sistema e guadagnando per sé un
varco, attraverso il quale altri potranno passare. è
il vecchio trucco del cavallo di Troia... (è interessante
notare che proprio una grande figura di trickster, di scaltro
imbroglione, è alla base della cultura occidentale: quella
di Odisseo/Ulisse).
Dopo anni in cui Luther Blissett aveva fatto parlare di sé
in lungo e in largo, dopo che la leggenda aveva fatto il giro
del mondo per tornare rafforzata e moltiplicata nelle mani dei
guerriglieri, era prevedibile che la stessa industria culturale
più volte beffata e sabotata offrisse a Blissett un grado
nel proprio esercito. Se sei un bravo pistolero, è quasi
certo che i grandi clan si contenderanno i tuoi servigi. Il capitale
non crea nulla, recupera tutto.
Bisognava essere pronti a quella circostanza. Innanzi tutto spiazzando
subito le aspettative di chi avrebbe fatto la prima proposta.
Il campo battezzato da Blissett per fare la sua prima comparsa
nell'overground dell'industria culturale è stato quello
della narrativa.
Si trattava di pianificare un'azione dirompente, il lancio di
un best seller atipico, che disorientasse i mass media costringendoli
a parlare dell'opera di Blissett per il suo valore specifico e
non solo come l'ennesima fantasia dei "giovani pirati mediatici".
Ciò che tutti si sarebbero aspettati da Blissett in questo
campo era un agilissimo romanzo ipercontemporaneo, magari fantascientifico,
in cui le solite "nuove tecnologie" e gli hackers avrebbero
giocato il ruolo dei protagonisti assoluti.
Quello che è stato proposto è una spy story di seicentocinquanta
pagine, ambientata nel XVI secolo, che va in totale controtendenza
rispetto a quanto prodotto dalla narrativa italiana negli ultimi
anni.
L'Operazione "Q" (dal titolo del romanzo) avrebbe comportato
un salto qualitativo nella conduzione della guerriglia culturale.
Questo sarebbe stato vero anche per coloro che, pur utilizzando
il nome multiplo, non avessero avuto niente a che fare con l'operazione
in questione, perché comunque niente sarebbe stato più
come prima.
Con l'uscita del romanzo Q nel 1999 la fama di Luther Blissett
ha toccato i suoi massimi storici e si è inaugurata una
seconda fase, non più necessariamente legata all'uso di
questo nome collettivo, ma che apre prospettive nuove. Per dirla
con il Generale Giap, l'Operazione "Q" dà l'avvio
all'offensiva contro Dien Bien Phu, affiancando al Waldganger
un trickster promettente. Robin Hood e Yojimbo uniti nella
lotta.
L'Operazione "Q" è una sortita, un'azione di
commando condotta da un manipolo scelto che deve aprire un varco
praticabile collettivamente ed evolversi in qualcosa di strategicamente
definito e ancor più efficace. Si tratta di guadagnare
posizioni nel campo nemico, impiantare un centro operativo nelle
sue retrovie, installarsi sull'altopiano e continuare a colpire
dall'interno.
Un piano i cui dettagli e fini appartengono alla storia che vivremo.
III. Assalto finale
Nessuna favola che si rispetti fa a meno di un eroe e di un
antagonista. Nei miti di lotta, l'eroe ribelle dimostra la sua
invulnerabilità affrontando e superando molti pericoli
mortali, mentre il suo potente nemico ottiene lo stesso risultato
con opposta strategia: tenendo il più possibile distanti
tutte le insidie. Chiaramente, l'insidia che egli teme di più
è incarnata dall'eroe stesso.
Proprio a causa di questa opposizione, il ribelle che si dà
alla macchia, prototipo mitico di Luther Blissett, corre il grave
rischio di risultare funzionale alla logica paranoica del potere.
Il bosco infatti non è mai addossato alle mura del castello,
a dividerli ci sono pascoli e campi, strade e corsi d'acqua. Il
bosco è distante, separato dal borgo, esattamente come
il nemico vuole che sia. Non ci si deve illudere, darsi alla macchia
non basta: il potente cercherà sempre di delimitare e circoscrive
la base strategica dei nemici, per rendere meno efficace e insidiosa
la loro strategia.
Fin dalle origini abbiamo assistito al tentativo da parte dei
media di legare il "fenomeno" Blissett alla sola città
di Bologna e di presentarlo come parto di un mondo lontano fatto
di Internet, ambienti dell'autonomia, centri sociali, sesso estremo,
nuove droghe, rave, piercing. In sostanza, una versione cyber-underground
di quell'altrove (il bosco, l'Inferno, il sottosuolo, il Regno
della Paura) da cui provengono tutte le inquietudini, rese meno
spaventose proprio per la loro appartenenza ad un luogo preciso
e distante.
Il tentativo di traguardare la posizione di Blissett si basa naturalmente
su alcuni punti di riferimento reali: Luther opera anche a Bologna,
si serve anche di Internet, pratica volentieri il sesso estremo.
Altri elementi sono invece del tutto folkloristici: l'unico Blissett
veramente dedito al piercing che io conosca compare in un romanzo
di Carlo Lucarelli, mentre uno dei primi documenti del Multiplo
recitava senza mezzi termini:
Non più un uomo né un soldo per il centrosocialismo reale. Intendo disvelare le contraddizioni in città, non nasconderle tra quattro pareti di merda, riproducendo abitudine e indolenza.
La presa di distanza dall'ambiente dei centri sociali appare
subito piuttosto netta.
Un'altra area nella quale si è preteso di collocare le
azioni del Multiplo è quella della teoria situazionista.
In particolare, le riviste più radical-chic e intellettualoidi
hanno citato a più riprese Guy Debord come ispiratore delle
pratiche di Luther Blissett (critica alla società dello
spettacolo, psicogeografia e via discorrendo). Non a caso erano
i tempi del revival pro-situ e del suicidio del medesimo Debord.
Alcune idee di Blissett si riferivano chiaramente a quel movimento,
ma in forme che sarebbero piaciute ad espulsi dell'Internazionale
Situazionista come Asger Jorn, piuttosto che a "Guido il
Noioso" (Guy The Bore). LB fece uscire proprio in quel periodo
un pamphlet dal titolo molto indicativo: Guy Debord is really
dead (Guy Debord è morto davvero), un violento attacco
al padre-padrone del situazionismo, non tanto per rinnegarlo (non
ce n'era bisogno), quanto per liquidarlo definitivamente.
Come si vede, simili mosse del nemico non vanno lasciate senza risposta. Non si può pensare che nascondersi nella macchia sia un gesto sufficiente per mettere in crisi il potere. Inizialmente le ombre del bosco possono confondere l'identità e permettere di sfuggire al costante tentativo del potente di afferrare la sua preda. Ma non basta, la battaglia contro l'identità dev'essere combattuta fino in fondo. Quando all'interno del bosco ci si comincia a sentire assediati, significa che si è stati infettati dalla stessa paranoia che contraddistingue il nemico. E, inevitabilmente, che si è cominciato a fare il suo stesso gioco. Come dice Kong Qiu (Confucio) commentando lo Yijing (I-Ching): "La rovina minaccia quando si cerca di mantenere il proprio possesso. Lo scompiglio nasce dove si è fatto ordine."
Se l'avversario cerca di localizzare la nostra posizione su una cartina, tanto meglio per noi. Non faremo di tutto per sottrargli quella mappa o per difendere la nostra posizione: piazzeremo trappole laddove egli è convinto di trovarci, prepareremo un bagaglio leggero e calzeremo comode scarpe da trekking.
Ci sono due azioni che illustrano bene in che modo Luther Blissett
ha ridicolizzato i media che cercavano di localizzarlo: la beffa
a "Chi l'ha visto?" e quella alla Mondadori.
Nella trasmissione televisiva "Chi l'ha visto?" si celebra
in maniera fin troppo scoperta una delle caratteristiche del potente:
la capacità di spiare chiunque. L'animale predatore dimostra
la sua superiorità su tutti gli animali che è in
grado di spiare, raggiungere e afferrare. Quante più persone
si è in grado di tenere sotto controllo, tante più
si possono potenzialmente afferrare. Uno stato democratico e buonista
non può stringere chiunque in una morsa carceraria, ma
potendo determinare la posizione di qualunque cittadino ricorda
a tutti che la distanza tra potenza e atto è spesso dovuta
a semplici ragioni di opportunità politica.
Dimostrare che le troupes di "Chi l'ha visto?" possono
facilmente inseguire un fantasma, arrivando fino a Londra per
cercarne le tracce, è una tappa fondamentale nel tentativo
di disinnescare l'armamentario del nemico.
Se "Chi l'ha visto?" ha inutilmente cercato un individuo
il cui volto è stato ottenuto dal morphing di ritratti
fotografici del secolo scorso, la casa editrice di Segrate ha
in qualche modo tentato di raggiungere quello stesso individuo,
ormai noto con il nome di Luther Blissett. Giuseppe Genna, il
curatore dello pseudo-libro di Blissett uscito per Mondadori con
tanto di copyright, ha creduto di scovare il Multiplo nel suo
territorio: la Rete. Ha saccheggiato a piene mani un sito appositamente
riempito di porcherie in stile piercing, rave, sesso estremo e
banalità retaiole di ogni genere. Prima ancora che il libro
uscisse, Blissett lo ha puntualmente sputtanato su tutti i giornali,
determinandone il flop più totale.
Il tentativo di spiare e raggiungere L.B. è dunque destinato
a fallire. Chi cerca di avvicinarsi a Blissett per afferrarlo,
rimane vittima dei suoi tranelli. Non resta che sottomettersi,
chiosando qualsiasi informazione sul suo conto con parole simili
a quelle di Diego Gabutti su "Il Giorno": "Persino
questa notizia potrebbe averla diffusa lui, il grande terrorista
mediatico."
Bisogna chiedersi, a questo punto, se il nostro eroe non abbia riprodotto in sé classiche paranoie e tipici meccanismi del potente: evitare di farsi spiare, sottrarsi al contatto, soggiogare il nemico costringendolo alla lusinga. Non è così. Come recita il Tao te ching (Daodejing):
Colui che sentendosi gallo si comporta da gallina è il burrone del mondo: la Forza vi penetra dentro come acqua in una gola di montagna e non ne fluisce più via.
Abbiamo sempre detto che Luther gioca la partita del mito soltanto
per reinventarne i parametri: riconosce in sé il paradigma
dell'eroe di lotta, eppure ne altera le caratteristiche per trasformarsi
in qualcosa di più androgino che virile. Blissett non si
sottrae, si offre. Non allontana il nemico con bastioni e fossati
per chiudersi nella difesa dell'ennesima Fort Alamo. Egli si mette
nelle mani dell'avversario e all'ultimo momento scompare, o insinua
nell'antagonista il dubbio di averlo realmente catturato. Blissett
non è solo attaccare e nascondersi, egli dispone trappole,
anzi, si dispone come trappola, come una donna accogliente che
nasconda in grembo l'insidia. Tutto questo grazie alle sue capacità
di metamorfosi e al suo elevato potenziale infettivo.
Ricordate il duello tra la maga Magò e Mago Merlino ne
La spada nella roccia di Walt Disney? è un classico
del folklore di tutti i popoli: i due si sfidano in una successione
di mutamenti per cercare di sopraffare l'altro (straordinaria
la scena in cui il mago si trasforma in topo e spaventa a morte
l'elefante Magò). Alla fine ha la meglio Merlino, nonostante
Magò abbia le sembianze di un terribile drago: "Sono
un virus contagiosissimo e sconosciuto e tu mi hai preso"
è l'ultima battuta di Merlino. Sarebbe ottima anche per
Luther.
Nel Ping Fa, Sunzi descrive così la strategia migliore
per sconfiggere il nemico:
Chi in cento battaglie riporta cento vittorie, non è il più abile in assoluto: al contrario, chi non dà nemmeno battaglia e sottomette le truppe dell'avversario, è il più abile in assoluto. La strategia migliore consiste nel far fallire i piani dell'avversario, quella più infima nell'attaccare le fortezze.
Non soltanto Blissett ha un aspetto multiforme e un comportamento
imprevedibile, egli è dotato di un potere che gli permette
di sconfiggere l'avversario senza afferrarlo e stringerlo, gli
basta fotterlo dolcemente (è una malattia a trasmissione
sessuale) e infettarlo. E, appestandolo, lo guarisce. In questo
si differenzia completamente tanto dal tipo paranoica del potente,
preoccupato da mille insidie, quanto dal modello maniacale di
eroe, alla continua ricerca di pericoli.
Il potente di norma, non si trasforma. Il predatore non si camuffa:
fa udire il suo ruggito in tutta la giungla.
L'eroe cerca sempre nuovi e terribili avversari da sconfiggere,
va incontro al rischio per provare la propria invulnerabilità.
Blissett invece attira a sé i nemici, non li va a cercare,
e lo fa per dimostrare a tutti la loro vulnerabilità.
In fondo, la più importante differenza tra Blissett e i
protagonisti di un mito di lotta sta nella ragione della lotta
stessa. Di solita si tratta di sopravvivere. è l'essere
sopravvissuti ad altri (o nonostante altri) che dà gloria
e prestigio all'eroe come la potente. Ogni lotta è lotta
di sopravvivenza, ma non nel senso banale dell'istinto. Il sopravvissuto
si mostra più forte e più scaltro di tutti. Blissett,
in questo senso, non è interessato a sopravvivere.
Tra le paranoiche strategie del potente, oltre ad allontanare,
spiare, localizzare, raggiungere ed afferrare l'insidioso nemico,
c'è quella di sminuirne la fama. Di solito il potente è
portato ad amplificare ogni minima fonte di pericolo; di quando
in quando però lo coglie il dubbio che proprio questo atteggiamento
possa essere controproducente, che un'insidia diventi temibile
solo per l'importanza spropositata che le si attribuisce. In questi
casi, si prodiga per ridimensionarla. è quello che hanno
fatto con il Multiplo moltissimi giornalisti, scrivendo il suo
nome con una sola t per minarne la reput/azione e definendo "goliardate"
le sue provocazioni. Si tratta chiaramente di un tentativo di
rendere innocuo il nemico: egli non è realmente pericoloso,
non morde, ride.
Elias Canetti, nel libro che stiamo saccheggiando, Massa e
Potere, ha individuato molto bene il significato del riso:
Il riso viene considerato volgare poiché chi ride spalanca la bocca e sfodera i denti. Certo il riso espresse originariamente la gioia dinanzi a una preda o a un cibo che parevano assicurati. Ogni caduta che suscita il riso fa ricordare la condizione indifesa del caduto: volendo lo si potrebbe trattare come preda. Si ride invece di divorare. L'uomo ha imparato a sostituire con un atto simbolico l'effettivo processo di incorporazione.
Nel caso di L.B. accusarlo di voler soltanto ridere è
del tutto fuori luogo e denota solo la grande paura dell'avversario,
che cerca in tutti i modi di rassicurarsi. Blissett è intrinsecamente
pericoloso, tuttavia a rinunciato a imprigionare, divorare, annientare
la preda. Tutti questi gesti appartengono alla cultura del suo
antagonista. Sono funzionali al suo dimostrarsi sopravvissuto.
Il modo più facile per essere tali infatti è uccidere
tutti gli altri, una pulsione che, civilizzata, si ritrova in
tutte le forme di potere, poiché in ogni comando risiede
una potenziale condanna a morte o all'annullamento, e così
pure in ogni forma di controllo e sorveglianza.
Nel mito di Luther Blissett l'eroe di lotta deve spogliarsi delle
forme di sopravvivenza tipiche del potere, arrivando a rinunciare
all'interesse stesso per la sopravvivenza. Altrimenti, una volta
che l'eroe avrà acquistato onori e prestigio grazie alla
sua condizione di sopravvissuto, quando la sua mania avrà
annientato tutte le minacce, egli non potrà fare altro
che assumere gli stessi atteggiamenti del potere per perpetrare
la sua condizione. Questo è, alla radice, il motivo per
cui tanti folk heroes del nostro secolo, tanti guerriglieri, si
sono trasformati in tiranni spietati.
La risata di Blissett non è nemmeno, come dice Canetti,
un uccidere trattenuto e addomesticato. Non è la risata
di chi schernisce: con essa Luther vorrebbe piuttosto infettare
tutti quanti, coinvolgere nella sua stessa risata anche le sue
vittime, invitandole a prendersi meno sul serio e a modificare
i propri atteggiamenti malati. Si tratta di una risata taumaturgica,
di un virus che infetta per guarire.
Come detto, nelle società democratiche e civili, il potere
sui cittadini non si esercita direttamente attraverso l'uccidere
(per quanto la guerra dimostri che non se ne è così
lontani), ma simbolicamente e indirettamente attraverso il comando
e il controllo. Poiché Luther Blissett è l'eroe
che lotta contro svariate forme di potere, prendendo ad esempio
della sua azione quella contro i media, è interessante
vedere in cosa consiste il loro scettro, ovvero il loro peculiare
modo di controllare e comandare.
Tutti conoscono Prometeo, l'eroe che rubò agli dei il segreto
del fuoco. Sotto una forma di potere di potere si nasconde sempre
un segreto. In particolare, un tesoro misterioso sembra celarsi
dietro la forma di comando che i media ci impartiscono: infòrmati,
credi o crepa che è solo una versione più specifica
del più generico obbedisci o crepa (come anche produci,
consuma e/o crepa e sbattiti, fatti, crepa). Poiché l'infosfera
è il nostro habitat naturale, non informarsi equivale a
non respirare, non credere a rimanere paralizzati. Il movimento
cyberpunk ha creduto di poter risolvere in senso prometeico questo
problema. Ha pensato di strappare a certi poteri il monopolio
dell'informazione, e ha provato a rintracciare con mezzi alternativi
notizie attendibili, verità nascoste e deformate.
Oggi risulta chiaro: fare controinformazione non basta. Non ci
si libera dello odiato scettro del potere, semplicemente lo si
passa in mani più fidate e amiche. Non si sopprime il comando,
lo si impartisce nuovamente: Non credere a quello, credi a questo.
Non basta fornire a chiunque gli strumenti per navigare in cerca
di notizie, scavalcando le agenzie di stampa e le grandi testate
giornalistiche. Dopo una simile rivoluzione, tra l'altro piuttosto
difficile da realizzare fino in fondo, occorre un passaggio ulteriore,
per evitare che certe forme di comando si riproducano.
Luther Blissett non ha dimostrato che chiunque può ottenere
le notizie che desidera, ma che ognuno può costruire lo
scoop del giornale di domani. Il segreto è che non c'è
nessun segreto cui anelare, "persino questa notizia potrebbe
averla diffusa lui, il grande terrorista mediatico".
Il segreto è che la composizione chimica dell'infosfera
può essere modificata. Fondamentale è conoscere
i meccanismi della deformazione delle notizie e della disinformazione
e dimostrare di saperli usare. Solo allora si può passare
alla controinchiesta (che L.B. non ha mai disdegnato: su tutti,
gli esempi di Lasciate che i bimbi e Nemici dello Stato).
Ancora una volta Blissett dimostra il suo disinteresse per gli
strumenti della sopravvivenza (è il sentirsi superiore
agli dei che spinge Prometeo a rubare il fuoco, molto più
che l'interesse per gli uomini). Del resto, paranoia e mania di
sopravvivenza finiscono per somigliarsi molto: si tratta di due
disperati tentativi di affermare la propria identità. La
psicologia dell'eroe di lotta ci mostra che il rischio più
grande per un'esperienza ribelle è proprio il desiderio
di conservarsi (desiderio inevitabilmente conservatore). Questo
desiderio porta a difendere un territorio, a fortificare la macchia
in cui ci si è nascosti, a diventare alter ego del potere,
emulazioni fallite dello stato, perfettamente funzionali ad esso.
Il brigatismo rosso e lo squatterismo torinese ne sono un esempio
lampante.
Chiaramente qui non stiamo parlando della sopravvivenza fisica
e psichica di un semplice individuo. Non ci sognamo di consigliare
a nessuno l'annullamento, il nichilismo non ci interessa affatto.
Non desideriamo mettere in discussione la necessità della
battaglia per il reddito (di cittadinanza), per la casa, per l'assistenza
sanitaria e per altre garanzie.
Luther Blissett si è richiamato al mito dell'eroe di lotta
con intenzione mitopoietica, con lo scopo di rimpastarne gli ingredienti,
esattamente come il subcomandante Marcos in quel del Chiapas.
Se questo mito vuole avere un utilizzo ancora di opposizione,
occorre che l'eroe rinunci alla difesa della propria identità.