Luther Blissett

Totò, Peppino e la guerra psichica
(Release 2.0)

Prefazione a ripubblicazione di TP&LGP, Febbraio 2000

 

Per Gianni B.,
the brain behind

(al zarvéll dadrè)

Seppuku!

ovvero: Il piano quinquennale di un nome multi-uso

  

La domanda che mi ossessiona è se ho mantenuto ciò che avevo promesso. Con il mio rifiuto e la mia critica ho senza dubbio promesso qualcosa. Non sono un politico, e mantenere la parola data non significa per me procurare a qualcuno dei vantaggi reali, eppure sono ossessionato notte e giorno dalla sensazione di non avere ancora mantenuto una promessa più necessaria ed importante di quelle dei politici. A tratti sono tentato dall'idea di sacrificare persino la letteratura pur di mantenere quella promessa. Sarà forse un riflesso di "orgoglio virile", ma è indubbio che l'aver vissuto tranquillamente in questi venticinque anni di democrazia, traendone vantaggi nonostante la mia disapprovazione, ferisce da lungo tempo il mio animo.

Mishima Yukio, 1970

 

Quando l'avversario è spaventato, la sua combattività si affievolisce e subisce un vuoto nel tempo di reazione. Anche semplici gesti ordinari possono venire impiegati per distrarre l'attenzione di un avversario. Buttare a terra la propria spada, per esempio, rientra nell'arte della guerra. Se siete davvero abili nel combattimento senza spada non sarete mai disarmati.

Munenori Yagyu, XVII° secolo

 

Molte soggettività delle colonne italiane del Luther Blissett Project hanno deciso di iniziare il millennio con un seppuku, un suicidio rituale. Il suicidio è la dimostrazione pratica della rinuncia di Blissett alla sopravvivenza come logica identitaria e territoriale. Il suicidio è l'ultimo, estremo, radicale darsi alla macchia di un eroe popolare.
Non si tratta di propugnare una soluzione nichilista e rinunciataria, ma di scegliere la vita.
Il seppuku non è una direttiva, Luther Blissett è un nome che chiunque può continuare ad usare anche dopo il Capodanno del Duemila. Ci sono paesi in cui la lotta è appena cominciata ed è bene augurarsi che prosegua.
Il seppuku è un suggerimento per tutti coloro che usano il nome da almeno un lustro, per dare spazio a nuovi stili di quest'arte marziale, facendo fiorire e proliferare i piani quinquennali di chi utilizza il multiple name da poco tempo. Occorre essere stranieri senza nome in territori sconosciuti: per alcuni questo vuol dire iniziare o continuare a chiamarsi L.B., per altri significa necessariamente il contrario.
Così il seppuku non è la fine di Luther Blissett, ma l'inizio di una nuova fase, di un nuovo modo di servirsi della sua faccia e del suo nome. Per chi vi prenderà parte, il suicidio di Blissett significherà smettere di firmarsi con quella sigla, ma proseguire un cammino. Esattamente il contrario di quello che accadrebbe a un normale suicida: egli non va più da nessuna parte, mentre il suo nome viene spesso usato ancor più di quando si trovava in vita.
Il seppuku infine non è una mossa difensiva, per evitare il recupero del Multiplo da parte dell'industria dello spettacolo. Ciò che non ha identità non è recuperabile. Da sempre l'obiettivo di Blissett è di entrare nel mainstream come cavallo di Troia e aprire le porte a molteplici esperienze. Ci devono dei soldi, ricordate? Ormai siamo dentro al caveau.
Pensiamo alla dottrina buddista della reincarnazione. I seguaci dello Svegliato non credono nell'esistenza dell'anima, tuttavia pensano che una persona possa raggiungere il nirvana dopo aver attraversato diverse vite. Ciò che appare a prima vista contraddittorio, la reincarnazione senza anima, senza identità, è possibile perché le azioni degli esseri viventi lasciano una traccia, una sorta di potenzialità che alla morte del corpo terreno dell'individuo produce la nascita di un nuovo essere.
Allo stesso modo, affinché la tensione che Blissett ha sprigionato in questi anni possa animare nuove (e vecchie) realtà e nuove esperienze, occorre che il suo cadavere rilasci spore più che mai infette e taumaturgiche. Tuttavia il Multiplo ha un infinità di corpi, molti dei quali resteranno in vita nonostante la morte di alcuni altri.
Grazie al seppuku L.B. darà vita a molteplici rinascite, svincolate dall'uso di un nome. Perché per quanto si faccia, alla lunga un nome conduce a un'identità. Singola o multipla, reale o virtuale, storica o mitica, fa senz'altro differenza ma, dopo un po', si tratta di qualcosa cui rinunciare.
Come ci ricorda Zhuang-zi: "L'uomo perfetto è senza io, l'uomo ispirato è senza opere, l'uomo saggio non lascia nomi."
E, come disse l'inimitabile Cary Grant:
"Meglio andarsene un minuto prima, lasciandoli con la voglia, piuttosto che un minuto dopo, avendoli annoiati."

 

I. La comunità aperta di Luther Blissett

Nascita di un mito

 

"Just take a look around you, what do you see?
Kids with feelings like you and me.
Understand him, he'll understand you,
For you are him, and he is you."

Sham 69, If The Kids Are United

 

"Ora scrivono di lui, e parlano di lui,
lo psicologo, il sociologo e il cretino.
E scrivono di lui, e parlano di lui,
ma lui resta sempre clandestino."

Gianfranco Manfredi, Dagli Appennini alle bande

 

Perché centinaia, migliaia di persone decidono di adottare lo stesso pseudonimo, di condividere - non senza contrasti - la stessa reputazione, per firmare/rivendicare azioni politico-culturali, performances, scritti teorici o di narrativa e, in generale, "opere dell'ingegno"? A cosa si deve il successo del nome "Luther Blissett" tanto sul World Wide Web quanto nel mondo "reale", nelle strade delle città europee, nell'editoria su carta stampata, praticamente ovunque?
Da anni semiologi, antropologi, studiosi delle sottoculture giovanili e del loro rapporto con le tecnologie si interrogano su quali siano esattamente le caratteristiche di questa sfuggente comunità aperta... Come può definirsi "comunità" quello che sembra solo un incostante flusso di informazioni palesemente contraddittorie?
Da anni i giornalisti coniano strampalate definizioni, una meno calzante dell'altra: "pirati telematici", "terroristi culturali", "artisti radicali" etc.
Da anni Luther Blissett continua a spiazzare gli osservatori e a mettere in crisi ogni definizione che non nasca direttamente dalla prassi di chi sceglie di adottare il nome.
Tra le tante caratteristiche del pensiero e dell'azione di Blissett, forse quella che più lascia perplessi è la feroce, violenta critica al concetto di "Individuo", inteso come soggetto principe del diritto borghese ("Uomo Egoista", lo definì Karl Marx). In nome di che cosa questo concetto viene continuamente sbertucciato, vilipeso, cortocircuitato, spinto al paradosso? [1]
In certe fasi del Progetto, è sembrato che Blissett opponesse all'individualismo liberale un collettivismo da Rivoluzione Culturale, "cementato" dal culto di un inesistente Grande Timoniere (appunto, Luther Blissett); in altre, è sembrato che la critica all'in-dividuum fosse fatta esclusivamente in nome della -divisibilità del singolo, di un'apologia della schizofrenia e del desiderio sfrenato, con evidenti echi deleuzo-guattariani (L'Antidipe, Mille Plateaux...)
La nostra immodesta opinione è che non si possa comprendere il "comunitarismo" di Blissett senza partire dal concetto di "mitopoiesi", creazione di mito.
Tra gli anni Ottanta e Novanta del XX secolo d.C. un imprecisabile network di "artisti" senza opere, attivisti post-politici, operatori di media indipendenti come radio, BBS etc., nauseati dalle obsolete tecniche e strategie di comunicazione ancora in auge presso un immobile "movimento" e una "scena" europea tanto poco vivace da ricordare il teatro da camera espressionista, decisero di darsi metaforicamente "alla macchia", avvolgersi di leggenda, scommettere sul meraviglioso.
Non fu necessario riunire alcun comitato centrale: semplicemente, si decise (tale forma impersonale sarebbe risultata fatidica, poiché avrebbe dato forma a tutte le azioni a venire) di usare il potenziale dei nuovi media e il loro imminente impatto su quelli tradizionali, allo scopo di lanciare un nuovo "prodotto", una merce intangibile, immateriale: un mito di lotta comune a tutte le tribù e comunità di rivoltosi. Tale mito doveva inserirsi in uno scenario di sconvolgimenti epocali, definito dalle sempre più frequenti ecocatastrofi, dalla tumultuosa fine dell'ordine mondiale bipolare e - last but... - dall'emergere del cosiddetto "lavoro immateriale" post-fordista e dall'estendersi della Rete.
Mitopoiesi. "Costruzione del mito". Usare le leggende urbane, le tecniche di intelligence, le strategie pubblicitarie, ma dirottando tutto ciò verso la creazione di una reputazione, di un personaggio - dapprima "virtuale" e poi, escrescendo, sempre più reale. Quel personaggio avrebbe compiuto azioni di guerriglia nei confronti della stracca, logora cultura del suo tempo - avrebbe aggredito quella cultura come la tigre fa con l'elefante nel celebre apologo raccontato dallo zio Ho Chi Mihn al reporter americano David Schoenbrunn:

Sarà la lotta tra una tigre e un elefante: Se la tigre si ferma l'elefante la schiaccia. Ma la tigre non si ferma. La tigre, di giorno, si nasconde nella giungla ed esce soltanto di notte. Così aggredisce l'elefante, e gli lacera pezzo a pezzo la schiena, poi sparisce di nuovo nell'ombra. L'elefante morirà per lo sfinimento e per il sangue perduto.

Essere fluidi come l'acqua, ma all'occasione colpire duro come la tibia di un pugile Thai.
Mitopoiesi, dicevamo: saccheggiare e riadattare un patrimonio antichissimo di miti e archetipi comuni a tutte le società umane, poi rielaborato nell'arte e nella cultura di massa. Trovare alcune figure topiche, risalendovi dal cinema, dal fumetto e dalla letteratura seriale ("di genere"), per poi produrne una sintesi, basata su un massimo comune denominatore: una "reputazione" intesa come opera aperta, costantemente rimanipolabile, basata sul maggior numero possibile di "ritocchi" e interventi soggettivi.
Lo strumento sarebbe stato il "multiple name" o - espressione che preferiamo - "multi-use name", tecnica di comunicazione già sperimentata da alcune avanguardie estetiche nel corso del XX secolo (dal Dada berlinese al Neoismo).
In realtà l'uso dello stesso nome da parte di molte persone è un antico enunciato di dissimulazione e sottrazione, uno stratagemma di camuffamento usato prima dagli eretici medievali e rinascimentali, poi da società segrete neo-alchemiche e proto-illuministe; si pensi a Ermete Trismegisto, a Christian Rosenkreuz, a Fulcanelli...
Ma - ciò che è più significativo - fin dai suoi remoti albori il multiple name è anche e soprattutto un enunciato positivo, di affermazione di una nuova visione del mondo da cui derivano, per il singolo che merita di adottare il nome, un nuovo stato di coscienza e un nuovo status nella comunità degli umani.
Sia detto tagliando con l'accetta (anzi, col guandao): il più antico multiple name è senz'altro Buddha, ("il risvegliato") che nasce come appellativo di un singolo (Gautama Siddharta, principe del clan Sakia dell'India nord-orientale, 565 ca. - 486 ca. a.C.) per poi giungere a designare chiunque, tramite la meditazione e una determinata condotta di vita, abbia raggiunto l'Illuminazione.
La scommessa era usare il nome multiplo in una maniera senza precedenti, che ne coniugasse la natura di inganno con quella illustrata nell'esempio del buddismo.
Lo scopo era la creazione di un nuovo folk hero, le cui scorribande nell'immaginario facessero intravedere i contorni di una nuova potenziale comunità.

 

Folk Heroes

 

L'eroe popolare, pur derivando dall'eroe delle mitologie classiche, non corrisponde più al topos di colui che "s'avventura oltre il mondo del quotidiano, in una regione di meraviglie soprannaturali, dove s'imbatte in potenze favolose e vince una battaglia decisiva, dopodiché, torna da questa misteriosa avventura recando in sé il potere di fare del bene agli altri uomini" (Joseph Campbell, 1949). No, l'eroe popolare è una leggenda vivente, la sua lotta non è un'allegoria del ritrarsi nella psiche, bensì ha luogo nel "mondo del quotidiano", o perlomeno in una sua versione idealizzata. Che quest'eroe sia realmente esistito o meno, i racconti delle sue gesta sono sempre stati materia di manipolazione collettiva, per dare una speranza di rivalsa e una temporanea consolazione a una limitata Gemeinschaft, il più delle volte una classe contadina oppressa da tiranni e feudatari di origine straniera. Questo mito rivive nelle epopee banditesche e del brigantaggio (da Frà Diavolo a Dick Turpin al Passatore, passando per le avventure di Florian Geyer durante la rivoluzione contadina di Thomas Münzer), nell'odierna cultura di massa (da Zorro ai supereroi dei fumetti) e nelle narrazioni guerrigliere (da Ho Chi Mihn agli Zapatisti etc).
Stiamo parlando di miti di terra, miti "boschivi", delle foreste. In tutte le società storiche è rinvenibile un pattern preciso, che si perpetua con poche variazioni: quello del Waldganger, colui che "si dà alla macchia", il-ribelle che va nel bosco e da lì combatte contro un potere usurpatore.
In Occidente il Waldganger più famoso è senz'altro Robin Hood, le origini della cui leggenda sono rintracciabili nel Ramayana indiano, il quale contiene anche personaggi e storie che ritroveremo, con minime variazioni, nelle leggende del ciclo della Tavola Rotonda. O meglio:

Il Ramayana non è l'origine delle leggende arturiane e di Robin Hood; semplicemente, discendono dalla stessa fonte o dalle stesse fonti. Certo, i racconti viaggiano [...] Dal canto mio, sospetto che entrambi i filoni abbiano le proprie radici in un'antica saga indo-europea, e che mentre la storia di Rama ne ereditò tutti gli elementi originari, quelli che non potevano essere adattati al contesto storico delle guerre tra Celti e Sassoni confluirono nella leggenda di Robin che, come vedremo, ereditò anche molti altri elementi. (Steve Wilson, Robin Hood: The Spirit of the Forest, Neptune Press, London 1993, pag.17).

La prima trascrizione del Ramayana è più o meno contemporanea ai giochi di prestigio di Gesù di Nazareth, ma la sua tradizione orale è molto più antica. Rama è il figlio primogenito del maharajah Dasaratha, sovrano della dinastia solare di Ayodhya, ma non è soltanto un principe: egli è l'incarnazione del dio Vishnù, e soprattutto è il Divino Arciere, l'unico uomo in grado di tenere sollevato e piegare l'arco abbandonato dal dio Shiva.
Alla morte del padre, il fratellastro di Rama usurpa il trono, e il nostro eroe deve rifugiarsi nei boschi Tra le varie peripezie, lo vediamo combattere contro Ravana, malvagio re di Ceylon e capo di legioni di demoni, il quale ha rapito Sita, sposa di Rama (proprio come lo sceriffo di Nottingham rapisce Lady Marian). Rama libera Sita e ritorna nella foresta. Alla fine, Rama riconquista il proprio trono, e inaugura una vera e propria Età dell'Oro, un regno di giustizia sociale e saggia amministrazione, finché... Da qui in avanti si riscontrano innumerevoli analogie col mito di Artù, che però non ci interessano in questa sede.
Ogni figura di "folk hero" è una variazione su questo tema (come già si è detto, su un registro più "basso", spogliato degli elementi sovrannaturali). Scendendo lungo questo phylum, troviamo molti supereroi dei fumetti, ma troviamo anche la realtà: il mito di Robin Hood riecheggia in tutti gli exploits guerriglieri, rivive nei Vietcong, nei Tupamaros, in Che Guevara (non certo nell'icona sub-cristologica delle T-shirts), nell'EZLN... è tutto un ri-narrare di cui godiamo le variazioni.
La guerriglia del folk hero è anche una guerriglia informativa, semiologica, basata sulla propaganda "nera" e sul sabotaggio della macchina comunicativa del Potere... Nella figura composita dell'eroe popolare c'è anche il "trickster", l'imbroglione mitologico (pensiamo all'Anansi delle leggende afro-caraibiche, o all'Eulenspiegel della cultura popolare tedesca). A tutto questo aggiungiamo pure il detective work, quello che permette al folk hero di scoprire e denunciare gli intrighi e i misfatti del Potere usurpatore.
Il primo esempio che corre alla mente vergando queste righe è un film, pietra miliare del moderno gongfupian hong-konghese, Fist of Fury (noto anche col titolo The Chinese Connection; in Italia: Dalla Cina con furore, 1971). Bruce Lee vi interpreta un noto eroe popolare cinese degli anni Venti, Chen Zhen. Chen è uno studente d'arti marziali nella Shanghai occupata dai Giapponesi. Il suo maestro muore avvelenato, Chen scopre che l'assassinio è opera di spie della palestra di Suzuki, corrotto karateka dai baffi a manubrio. Giustiziate le spie, Chen le fa trovare appese a lampioni e poi si dà alla macchia, facendo della città il suo bosco. Da quel momento, la sua ragione di vita è arrivare a Suzuki, uccidendo tutti quelli che gli sbarrano la strada. Per far questo, ricorre a trucchi, travestimenti e ovviamente al suo micidiale gongfu [2]

 

Strangers

 

Un altro archetipo di cui trattare - perché ben si adatta a ciò che Luther Blissett è stato e continuerà ad essere - è quello dello straniero che compare come dal nulla in un territorio lacerato dai conflitti, e ricorrendo alle armi del doppio gioco e della guerra psicologica risolve una situazione di grave collasso socio-culturale. Questo straniero non sembra avere passato né futuro, ed è estraneo alla gemeinschaft locale.
Azzardiamo un'ipotesi: ci troviamo in una narrazione collaterale a quella del Waldganger; costui compie periodiche puntate fuori dal bosco, che immaginiamo estendersi in una regione attraversata da confini incerti, e a volte, anziché girare attorno al suo villaggio d'origine per compiere azioni di disturbo,si spinge più lontano, in contesti locali in cui non è conosciuto e di cui non può né vuole essere l'eroe. Spogliato dei panni di "bandito gentiluomo", ebbro di una libertà d'azione senza precedenti, si trasforma in perfido trickster, in variabile impazzita di uno scontro tra clan: infiltra tutti i poteri e li mette uno contro l'altro fino a distruggerli.
Questo mito è magistralmente ri-attualizzato da Dashiell Hammett nel suo romanzo Red Harvest (1929, uscito in Italia come Piombo e sangue), che raggiunge i lettori di polizieschi con la potenza di uno shift-punch al plesso solare, inaugurando l'iper-adrenalinico sottogenere hard-boiled. Più di settant'anni dopo, il romanzo conserva intatta la sua ubriacante velocità: un anonimo io narrante - di cui nulla sappiamo se non che lavora per l'agenzia investigativa Continental Op di San Francisco - arriva nella città di Personville (malignamente ribattezzata "Poisonville") e la rivolta come un calzino disinfestandola da gangsters, sbirri corrotti e capitalisti vari. La sua strategia è presto esposta:

I piani funzionano benissimo, a volte. A volte invece è molto meglio mettere semplicemente in moto qualche cosa... purché uno sia duro abbastanza da sopravvivere e da vedere ciò di cui si ha bisogno quando viene a galla.

A questo romanzo s'ispira Kurosawa Akira al momento di scrivere e girare il suo Yojimbo (1951, in Italia: La sfida del samurai). Anche qui, il protagonista (interpretato da Mifune Toshiro) non ha nome, e si presenta semplicemente come "[uno che ha] trent'anni" (in giapponese: "Yojimbo"). Rispetto a Red Harvest, la vicenda è meno intricata: al posto del complesso mosaico di alleanze criminali di Poisonville, c'è una netta contrapposizione tra due clan nemici. Kurosawa sacrifica il plot alla forza espressiva del film chambara (parente giapponese dei nostri "cappa-e-spada").
Sergio Leone vede Yojimbo e ha l'idea di rifarlo ambientandolo nel Far West, ed ecco il celeberrimo Per un pugno di dollari (1963). Anche qui, il protagonista non ha nome né biografia, e la storia si fa ancora più scarna: l'esposizione della guerriglia semiotica e psicologica dello straniero (Clint Eastwood: barba incolta, sudicio poncho, cigarillo sbavato e mordicchiato) si fa come didascalica, quasi il film fosse un trattatello su come trarre vantaggi individuali dal caos e dal vuoto di potere. Come Red Harvest ha inaugurato l'hard boiled, Per un pugno di dollari inaugura tanto il cosiddetto spaghetti-western quanto il nuovo western "revisionista" e crepuscolare.
Più di trent'anni dopo, Walter Hill rinarra la storia in un film ingiustamente sottovalutato, Last Man Standing (1996, in Italia: Ancora vivo). Last Man Standing non è un semplice remake né un omaggio postmodernista a Hammett, Kurosawa e Leone: è un ulteriore scavo nel mito, alla ricerca dei nudi archetipi, dei comuni denominatori, e allo stesso tempo è una constatazione del fatto che, in assenza di una comunità che possa trarne consolazione, il mito diventa nihilista, contemplazione impotente del nil novi sub sole. Come nel prototipo di Hammett, la vicenda torna a svolgersi negli anni d'oro del gangsterismo americano, sebbene in uno scenario rurale al confine col Messico. Bruce Willis ripropone agli spettatori la dolente inespressività di Eastwood, ma la sua figura è taurina anziché allampanata, più simile a quella di Mifune. Le tinte sono molto più cupe che nelle due precedenti versioni cinematografiche, non c'è speranza né attesa di redenzione, tutto è avvolto nel dolore e nell'insensatezza. Un film impressionante.
Infine, nel 1999 lo sceneggiatore Tom O'Rourke e il regista John G. Avildsen regalano al pubblico la più bizzarra, scanzonata e citazionistica versione della storia, Coyote Moon (In Italia: Fino all'inferno). Dove Hill scarnificava, la coppia O'Rourke-Avildsen ammassa, affastella, accumula, in uno straniante e ridacchiante ibrido di western e screwball comedy. La storia si svolge ancora nel deserto americano. Stavolta lo straniero (uno Jean-Claude Van Damme davvero in stato di grazia) è Eddie "l'uomo-coyote", figura che in diverse culture nativo-americane, in primis quella Navajo, corrisponde al trickster. Eddie è reduce da un'imprecisata guerra, è deciso a suicidarsi ma non prima di aver sistemato le cose nel solito, archetipico villaggio. Tra arti marziali, mitologie della prateria, reminiscenze di tutte le guerre imperialistiche condotte dagli Usa e sarcastici riferimenti alle strambe sottoculture dell'America rurale (ad esempio, gli snake-handlers, i "maneggiatori di serpenti" dei revivals cristiano-fondamentalisti), il film procede fino al finale, in cui Eddie non si suicida e due dei personaggi si recano al cinema per vedere... Yojimbo ("È come un western, solo che è giapponese!"). Il cerchio si chiude. Torniamo a noi.

 

Da che parte è il bosco?

 

Luther Blissett è un folk hero e trickster postmoderno, che non fa riferimento a un'etnia né a un'élite, bensì (in prima istanza) a un vasto bacino di "lavoro immateriale" che si estende su tutto il pianeta, e in ultima istanza - potenzialmente, marxianamente - all'intera Specie umana.

La tecnologia dapprima, poi la scienza, si trasmettono di generazione in generazione come una dotazione dell'Uomo Sociale, della Specie, che in tutti i suoi individui vi ha lavorato e collaborato. Nella nostra costruzione il Profeta, il Sacerdote, lo Scopritore, l'Inventore, vanno verso una pari liquidazione. L'Uomo Sociale [in Marx] è detto anche Individuo Sociale, il cui senso non è 'persona umanà come cellula della Società; ma invece società umana trattata come un organismo unico che vive una sola vita [...] Questo organismo, la cui vita è la Storia, ha un suo Cervello, organo costruito dalla sua millenaria funzione, e che non è retaggio di alcun Teschio e di alcun Cranio. Il Sapere della specie, la Scienza, ben più che l'Oro, non sono per noi privati retaggi, ed in Potenza appartengono integri all'uomo Sociale" (Amadeo Bordiga, 1957).

Per noi un individuo non è una entità, una unità compiuta e divisa dalle altre, una macchina per sé stante, o le cui funzioni siano alimentate da un filo diretto che le unisca alla potenza creatrice divina o a quella qualsiasi astrazione filosofica che ne tiene il posto, come la immanenza, la assolutezza dello spirito, e simili astruserie. La manifestazione e la funzione del singolo sono determinate dalle condizioni generali dell'ambiente e della società e dalla storia di questa. Quello che si elabora nel cervello di un uomo ha avuto la sua preparazione nei rapporti con altri uomini e nel fatto, anche di natura intellettiva, di altri uomini. Alcuni cervelli privilegiati ed esercitati, macchine meglio costruite e perfezionate, traducono ed esprimono e rielaborano meglio un patrimonio di conoscenze e di esperienze che non esisterebbe se non si appoggiasse sulla vita della collettività [...] (Amadeo Bordiga, 1924).

In ossequio a questa posizione limpidamente materialistica (oggi resa finalmente praticabile, grazie alle nuove tecnologie di riproduzione/compressione/distribuzione dei prodotti intellettuali), tutto quanto viene firmato col nome multiplo è privo di copyright, liberamente riproducibile, modificabile, perfezionabile senza dover rispondere ad alcuna Autorità.
Luther Blissett è Gemeinwesen. Gemeinwesen [tedesco: essere comune] è un termine usato da Karl Marx nei suoi scritti giovanili (1844) e poi "evocato" nelle pieghe dei celebri Grundrisse... ("Lineamenti per la critica dell'economia politica", 1859). Indica la dimensione collettiva della vera comunità umana, che non s'identifica con alcuna comunità esistente (Gemeinschaft) o gruppo limitato, ma con la molteplicità e la ricchezza delle relazioni che il proletariato avrebbe potuto e dovuto creare nella stessa cooperazione sociale capitalistica, "una volta gettata via la limitata forma borghese", oltre comunità fittizie quali la "cittadinanza", e oltre la stessa lotta di classe.
La Gemeinwesen è il principio comunitario che non si "rapprende" in una data Gemeinschaft, perché la comunità è comunità degli umani, e va scoperta nell'intera Specie.
Le nuove e sempre più diffuse figure del lavoro vivo create dall'estendersi delle tecnologie informatiche - abituate a lavorare "in rete", a produrre comunicazione sociale, a collaborare (come richiede il modo di produzione post-fordista) - sono le più vicine a un'esperienza di Gemeinwesen. Nelle pieghe del nuovo lavoro va formandosi una comunità allargata che vive con crescente insofferenza l'espropriazione, ad opera di parassitiche multinazionali, della ricchezza che essa produce, ricchezza anche "immateriale", relazionale, emotiva.
Buona parte delle persone che, in Italia, hanno adottato il nome di Blissett rientravano nella tipologia del lavoratore "immateriale" e/o "atipico" (programmatori, web designers, operatori culturali, grafici, copy writers, traduttori, lavoratori del "terzo settore", "lavoratori autonomi di seconda generazione", "popolo delle partite IVA", etc.). Ciò non implica alcun "monosoggettivismo": la reputazione di Blissett può essere usata da chiunque voglia farne un'arma per le nuove guerre di classe: dalle sottoculture giovanili del satollo Nord ai campesinos e sem terra latino-americani. Non c'è nessun punto archimedico da cui rovesciare il mondo, nessun Soggetto principe della Rivoluzione, come hanno creduto le diverse correnti del comunismo novecentesco. L'azione può partire da qualsiasi punto, anche se esistono situazioni geografiche (il versante del Pacifico, l'Asia sud-orientale) e processi economico-sociali (l'estendersi del "lavoro immateriale") dalla maggiore importanza strategica.
L'essenziale è che entri nelle teste di tutti questa semplice verità: per lottare, c'è bisogno di una nuova mitopoiesi. Ogni fase storica della guerra tra classi ha bisogno di una propulsione mitologica. Oggi ci occorrono mitologie aperte, interattive, nomadiche, nuovi folk heroes e waldgangers, ma anche inedite situazioni comunitarie, che Blissett ha chiamato "Picard e Daton su El-Adril" (cfr. i seguenti estratti da Mind Invaders).
"Picard e Daton su El-Adril" è la necessità di trovare un mito di lotta che, prima di tutto, sia comune a tutto l'odierno "lavoro immateriale", a quella galassia di soggetti che si dibatte per sfuggire al controllo poliziesco esercitato dai vecchi e nuovi rentiers della proprietà intellettuale.
La comunità del Luther Blissett Project è sempre stata tesa a creare una situazione come "Picard e Daton su El-Adril", il cui risultato sarebbe stato una tipologia completamente nuova di eroe, mosso sulla scena del mondo dai soggetti sociali che rappresentano al meglio lo sviluppo del cervello sociale.
Al termine della sua prima decade di vita e azione e in vista del Seppuku delle colonne italiane del Progetto, possiamo dire che Luther Blissett è stato ed è un esperimento di "Picard e Daton su El-Adril", certo coi suoi difetti, ma importante, perché indica la via per superare la miseria.

1. Su come possano conciliarsi l'anti-individualismo di Blissett e la difesa di un concetto apparentemente borghese come "privacy", cfr. Luther Blissett Project, Nemici dello Stato: criminali, "mostri" e leggi speciali nella società di controllo, Derive Approdi, Roma 1999, pagg. 165-169.

2. Nel 1994 Gordon Chan ha diretto un esaltante remake di Fist of Fury, intitolato Fist of Legend. Ne è protagonista Li Liánjié, alias Jet Li, superstar del cinema d'arti marziali, specializzato nell'interpretare folk heroes della tradizione cinese e cantonese (Wong Fei Hung nel ciclo Once Upon A Time in China e nell'autoparodia Last Hero in China, Fong Sai Yuk nella serie eponima etc.)

 

II. L'arte della comunicazione-guerriglia

 

"In ogni conflitto, le manovre regolari portano allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria. Chi è abile nel sortire bizzarri stratagemmi è inesauribile come il Cielo, la Terra e i grandi fiumi. Giunto al termine riparte, come il sole e la luna; dopo morto rinasce, come le quattro stagioni."

Sunzi, L'arte della guerra (Ping Fa)

 

Guerriglia mediatica: valutazioni di base

 

La guerriglia mediatica è soltanto un momento della comunicazione-guerriglia, che a sua volta non è che una parte della più estesa guerriglia culturale.
L'arte della guerriglia mediatica non muove dai concetti di "contro" e "in alternativa a", ma piuttosto dalla teoria di Sunzi (Sun Tzu) sui vuoti e sui pieni (cap. VI de L'Arte della guerra). Essa parte dal presupposto che sia possibile agire dentro il sistema della comunicazione massmediatica, combattendolo con le sue stesse armi.
La guerriglia mediatica non vuole svelare la "verità più vera" di cui i grandi mass media ci terrebbero all'oscuro: condizione preliminare per questa pratica bellica è l'abbandono della recriminazione e di ogni teoria del Grande Fratello, ovvero quella che vede gli operatori che gestiscono i mezzi di comunicazione di massa come astuti ed efficienti "disinformatori di regime". Il conformismo e la compattezza dei mass media non nascono da una particolare capacità strategica di fantomatici gestori del "potere mediatico", quanto piuttosto dall'estrema ignoranza, malafede, meschinità e grettezza di piccoli uomini e donne che si fingono professionisti dell'informazione e non sanno fare altro che appiattirsi gli uni sugli altri, dando in questo modo l'impressione (ma solo quella) di essere uno schieramento compatto e potente. Le apparenze ingannano.
La guerriglia mediatica non serve nemmeno a dimostrare la natura mendace dei media. Lo sanno tutti che mentono, è senso comune, anzi, è "discorso da autobus". Non per questo la gente smette di comprare i quotidiani o guardare i telegiornali.
La guerriglia mediatica è una pratica, un modo diverso di rapportarsi al medium della comunicazione di massa. Ovvero l'abbandono della recriminazione e l'adozione di un retrovirus, una pratica ludica che esorcizza in quanto tale la disinformazione esercitata dai mass media e ne ridimensiona ai nostri occhi il potere. Il passaggio preliminare è quello di abbandonare la paranoia e accettare la sfida.
La guerriglia mediatica non è un modo di riappropriarsi dell'informazione nel senso di rubare spazio al sistema massmediatico "ufficiale" o di dimostrare la deformazione delle notizie esercitata da quest'ultimo. Essa è la realizzazione di un gioco all'inganno reciproco, una forma di cooptazione dei media in una trama impossibile da cogliere e da comprendere, una trama che fa cadere i mass media vittime della loro stessa prassi. Pura arte marziale: usare la forza (e l'imbecillità) del nemico rivolgendogliela contro.

 

Alcuni esempi

 

Nella primavera-estate del 1994 pervengono ai giornali locali di Bologna parecchie lettere di cittadini indignati per il ritrovamento in luoghi pubblici di interiora animali. Autobus, parchi pubblici, parcheggi, sembrano essere i luoghi privilegiati dai misteriosi seminatori di frattaglie.
Alcuni passanti sono poi testimoni della performance di un giovane attore teatrale in una via del centro storico. Simulando un attacco di convulsioni, l'attore si getta a terra "sventrandosi". Da sotto la camicia lascia uscire un intestino di vitello che scivola sul selciato.
Qualche settimana dopo, mentre le lettere e le segnalazioni continuano incessanti, all'Happening dei giovani di Comunione e Liberazione, presso i Giardini Margherita, vengono rinvenuti un cervello di vitello, e un cuore suino appeso ad una bava da pesca con un misterioso cartello riportante la scritta "Novosibirsk brucia!".
E così nasce il fenomeno che i giornalisti battezzeranno "Orrorismo". Pagine e pagine delle cronache locali vengono riempite con i pareri di noti docenti di storia dell'arte, sociologi, psicologi, e virtuosi vari.
Soltanto sul finire dell'estate la ricostruzione completa della vicenda verrà resa disponibile da un certo Luther Blissett. L'orrorismo non esiste, le uniche azioni orroriste realmente compiute sono state le due sopra riportate, le lettere pubblicate sui giornali che riferivano dei ritrovamenti di frattaglie in città erano tutte false, scritte dagli orroristi medesimi.
Prova generale di sistema: quello che puoi fare con qualche francobollo e un passaggio in macelleria.

Nel gennaio 1995 la redazione della trasmissione televisiva "Chi l'ha visto?" si interessa a un lancio Ansa che denuncia la scomparsa di un artista inglese in Friuli, un certo Harry Kipper.
L'appello per il ritrovamento della persona scomparsa parte da un gruppo di bolognesi che trasmettono da una radio locale, amici di Kipper. Durante un giro in bicicletta nel nord Italia l'artista ha fatto perdere le sue tracce. L'ultima apparizione è avvenuta ad Udine, dove Kipper era ospite da alcuni conoscenti friulani, anch'essi attivi nella redazione di una radio.
"Chi l'ha visto?" invia una troupe a Bologna, quindi a Udine; intervista gli amici di Kipper, i quali ricostruiscono le tappe del suo percorso e ne descrivono il carattere. Infine la troupe della Rai si sposta a Londra, dove incontra gli amici inglesi di Kipper e filma i luoghi frequentati da questo bizzarro personaggio, la sua casa, le sue opere.
Il materiale ripreso viene montato e preparato per essere mandato in onda. Ma all'ultimo momento una provvidenziale telefonata all'ambasciata britannica e una ricerca anagrafica mirata costringono i responsabili della trasmissione a bloccare tutto. Risulta infatti che Harry Kipper non è mai esistito. è tutto falso, si è trattato di una "circonvenzione" messa in pratica tra Bologna, Udine e Londra da un gruppo transnazionale di persone accomunate dall'uso della stessa sigla: Luther Blissett. Lo stesso che pochi giorni dopo rivendicherà la beffa svelandone tutti i retroscena ai quotidiani nazionali.

Nella primavera del 1996 sulle pagine nazionali de "Il Resto del Carlino" viene pubblicata integralmente la lettera - pervenuta alla redazione - di una prostituta sieropositiva che confessa di utilizzare ormai da tempo profilattici forati, per vendicarsi dell'infezione da HIV contratta durante l'esercizio della professione. Il quotidiano dedica due pagine intere alla vicenda, con tanto di pareri "specialistici" (il sociologo, lo psicologo, il criminologo, il teologo, ecc.) fomentando senza alcun ritegno il panico morale.
Dopo alcuni giorni di can-can scatenato, alle redazioni di tutti i quotidiani nazionali perviene una seconda missiva. La prostituta in questione è il parto della fantasia di un gruppo di guerriglieri mediatici che si firma Luther Blissett. Per altro la chiave dell'inganno era già contenuta nella prima lettera, siglata L.B.

Tra il 1996 e il 1997 la città di Viterbo viene percorsa da un'ondata di panico morale. Polizia e cronisti locali, preventivamente avvertiti da telefonate anonime e misteriosi messaggi murali, rinvengono nella campagna viterbese i resti di messe nere con vari ammennicoli satanici: gallinacci, candele, pentacoli e paccotiglia del genere.
Negli stessi mesi pervengono ai giornali locali svariate lettere di cittadini che segnalano ulteriori tracce della presenza satanista nell'hinterland viterbese e gettano addirittura il sospetto che gli adoratori del demonio abbiano agganci nella giunta comunale.
Ai giornalisti viene comunicata la nascita di un Comitato per la Salvaguardia della Morale: i cacciatori di satanisti, i cui comunicati trovano spazio nelle pagine dei quotidiani locali.
Il panico cresce, il clima si surriscalda, il vescovo di Viterbo è costretto a spendere più di una parola nelle sue omelie sul diffondersi del satanismo in città. E ancora lettere su lettere, articoli, scoop e controscoop: un anno di rassegna stampa.
Poi alla redazione del TG del Lazio e a quella di Studio Aperto (Italia 1) perviene una videocassetta. è una ripresa rubata di nascosto ad un consesso satanista. Per la verità non si vede quasi niente: schermo nero frusciante, e un lumicino in lontananza con una cantilena in simil latino in sottofondo, interrotta dalle urla di una ragazza.
La videocassetta è accompagnata da una lettera in cui un anonimo videomaker rivela di aver seguito i satanisti fino al luogo del loro convegno, ma di non essersi potuto avvicinare di più per paura di essere scoperto.
Il TG regionale darà la notizia; Studio Aperto mostrerà il video con pesantissimi commenti.
Una settimana più tardi al settimanale del TG1 "TV7", Gianluca Nicoletti mostra lo stesso filmato, ma nella versione integrale fattagli pervenire dal misterioso regista.
Gli ingredienti sono gli stessi: buio, lumicino, cantilena, urla. Ma la telecamera si avvicina sempre di più, fino ad entrare nella piccola costruzione, dove sta avendo luogo la messa nera: ci sono alcune figure incappucciate, intorno a un fuoco. D'un tratto si tolgono i cappucci e si gettano in una sfrenata tarantella, mostrando un poster di Luther Blissett.
Nicoletti svela l'arcano. Le lettere ai giornali, il Comitato per la Salvaguardia della Morale, le scritte murali, i resti delle messe nere, fino al video rivelazione: tutto falso. Tutto orchestrato ad hoc dalla colonna laziale del Luther Blissett Project.

Nel 1996 la casa editrice Mondadori fa uscire un libro firmato Luther Blissett, intitolato net.gener@tion. Il curatore, tal Giuseppe Genna, spiega nell'introduzione come è riuscito a mettersi in contatto con il Multiplo e a farsi spedire il materiale con cui ha costruito il libro. è stato contattato per via telematica e ha ricevuto istruzioni mano a mano che l'opera prendeva forma.
Il giorno stesso in cui il volume esce nelle librerie italiane, dalle pagine de "La Repubblica" e de "Il Manifesto" Luther Blissett rivendica una delle beffe più grosse della sua carriera: la grande beffa alla Mondadori.
Questo Giuseppe Genna si stava aggirando da un po' di tempo nei meandri della rete, frequentando gruppi di discussione, visitando siti, ecc., in cerca di Blissett. Prima di rispondere alle richieste di questo perfetto sconosciuto, Blissett decide di documentarsi, scoprendo che si tratta di un neo-fascista doc, collaboratore di riviste e case editrici di estrema destra, col vizio, diffuso in quegli ambienti, di cercare il flirt con la sinistra radicale. Invece di mandarlo a quel paese, Blissett decide di usarlo come cavallo di Troia per beffare la Mondadori. Così prende contatto col gonzo, lo lusinga con qualche frase "misteriosa" di sapore vagamente esoterico-iniziatico, e poi comincia a passargli il materiale più scadente che si possa raccattare in giro. Documenti presi dalla rete e plagiati al punto da diventare irriconoscibili, testi scritti completamente sbronzi, temi scolastici sulle nuove tecnologie, false interviste, e via di questo passo. Genna, ringalluzzito, presenta il libro alla Mondadori, e la casa editrice lo fa uscire, con un'assurda epigrafe in cui afferma di prendere le distanze dai contenuti del volume e di averlo dato alle stampe per pura conoscenza. Una formula stranissima che non lascia capire se l'editore è spaventato dai contenuti demenziali del libro o dall'appartenenza politica del curatore. Il libro esce già bruciato, e venderà non tanto come testo di Blissett, quanto come esempio di beffa blissettiana.

 

Tecniche di sabotaggio mediatico

 

"La guerra si fonda sull'inganno", scrive Sunzi. E l'inganno ha le sue regole, dettate dall'esclusivo criterio dell'efficacia. Per essere efficace, l'inganno deve essere ordito come la tela di un ragno, con metodo ed estrema dovizia di particolari. "L'abbondanza dei calcoli assicura la vittoria, e una loro scarsità la impedisce". Il nemico si sconfigge prima di incontrarlo in battaglia, prevedendo le sue mosse.
Per attirare l'operatore dei mass media (il cacciatore di notizie) nella rete occorre agire sul margine di verificabilità della notizia che si intende spacciare. Ogni notizia ha una suo nucleo verificabile e una vasta e tratteggiata zona di inverificabilità, che definiremo penombra. Normalmente il giornalista/cronista sfrutta la zona di penombra - attraversata da leggende metropolitane, dicerie, voci di corridoio, "si dice" - per fabulare senza limiti, infarcire e confezionare la notizia nel modo più vendibile possibile. Così anche il guerrigliero mediatico, il truffatore, gioca sul rapporto stretto tra il nucleo di verità (o meglio di verificabilità) e la vasta area di penombra che circonda una notizia.
La penombra è il terreno di gioco tra il mass media e il guerrigliero mediatico.
Markus Wolf, detto Misha, per trent'anni capo dei servizi segreti della Germania Est, l'uomo che mise in circolazione la leggenda secondo cui l'Aids sarebbe un virus creato in laboratorio dagli americani per la guerra batteriologica e poi sfuggito al loro controllo, afferma: "la disinformazione deve sempre basarsi su un sostrato di verità".
L'azione di guerriglia mediatica deve sempre trovare spunti nella realtà, nell'accaduto; lo spaccio di notizie false, la truffa mediatica, non può basarsi solo sulla fantasia: occorre modificare la realtà, ovvero in-formarla, ma senza che il cacciatore di notizie possa accorgersene. Questi non deve poter distinguere tra realtà e fabulazione, occorre fargli credere di avere il controllo assoluto sul materiale a disposizione. Occorre insomma sfruttare la sua stessa presunzione professionale.
Torniamo a Sunzi : "Chi sa far muovere l'avversario lo costringe ad adattarsi alla propria disposizione e gli offre qualcosa che non può non prendere. Lo fa muovere con la speranza di un vantaggio, e con le truppe lo attende al varco".
Anche Von Clausewitz concorda su questo punto: "L'uomo astuto lascia che la sua vittima commetta da sé quell'errore di apprezzamento che, traducendosi in definitiva in un risultato, modifica repentinamente agli sguardi dell'ingannato l'essenza delle cose".
Il giornalista cacciatore di notizie va attirato con un'esca appetitosa e apparentemente casuale. Deve credere di esserci arrivato da solo.
Si sta parlando della stessa tecnica adottata dai servizi di controspionaggio nei confronti delle "talpe". Una volta identificato un infiltrato, invece di bruciarlo, si comincia a passargli notizie distorte o false, che la spia riporterà ai suoi committenti come se fossero il frutto della propria attività.
Sunzi definisce la zona d'azione delle spie "Yongjiang", cioè "spazio intermedio". è su questo spazio intermedio che si spalanca il margine dell'azione di guerriglia mediatica. I cacciatori di notizie sono talpe, che credono di vedere tutto chiaramente, ma in realtà sono cieche.
Se analizziamo l'esempio della beffa a "Chi l'ha visto?" risulterà tutto molto chiaro.
L'appetibilità della sparizione di Harry Kipper nasceva dal fatto che si trattava di un personaggio originale, e l'ambiente in cui si muoveva lo era altrettanto: artisti sui generis, radio indipendenti, gruppi giovanili, sottoculture. La storia da raccontare era anch'essa molto accattivante.
Quando si è trovata sui luoghi attraversati da Kipper, la troupe della Rai ha potuto raccogliere prove concrete e testimonianze del suo passaggio: gente che lo aveva ospitato, amici, oggetti dimenticati, ecc. Questo era il nucleo verificabile della notizia: i segni del passaggio e dell'esistenza di Harry Kipper. Quello che i cacciatori-talpe non potevano prevedere era che queste prove erano state costruite ad hoc. La coordinazione tra i tre gruppi di truffatori (Bologna, Udine, Londra) ha dato il tocco finale di verosimiglianza a tutta la costruzione. Poco importa che il servizio sulla sparizione di Kipper non sia andato in onda, perché si erano già raccolti tutti gli elementi necessari per trasformare in zimbelli i segugi di "Chi l'ha visto?".

La guerriglia mediatica è un metodo omeopatico di difesa dall'ingerenza/presenza dei mass media nell'immaginario collettivo e nella nostra vita. Rivoltando contro i media le loro stesse armi, e dando il più ampio margine di notorietà alla cosa, si pubblicizza un nuovo modo di fruire i mass media, interattivo e paritario, in cui la potenza dei grandi mezzi di comunicazione di massa viene ridimensionata, messa in ridicolo, e la coglionaggine degli operatori del settore risulta lampante.
Ma non solo. In alcune circostanze, e con una valenza assolutamente contingente, tattica, la guerriglia mediatica si presta ad essere integrata in strategie di più classica controinformazione. Ad esempio la beffa di Viterbo ha dimostrato che un qualsiasi mitomane o anche solo un burlone che spruzza benzina su una leggenda metropolitana un po' morbosa, o ancora un santone a caccia di pubblicità, offrono ai mass media materiale sufficiente per trasformare il folklore metallaro satanista in "emergenza morale". E questo grazie al pressapochismo e alla malafede degli operatori del settore. In questo caso l'azione omeopatica di guerriglia è la risposta alle ignominiose campagne di allarme sociale sulle sette di cui i media si fanno volentieri megafono. Qualora ad esempio, in un contesto di controinchiesta giornalistica, si volesse puntare l'indice sulla consueta prassi di "sbattere il mostro in prima pagina", la guerriglia mediatica può risultare un'efficace contromisura.

 

Comunicazione-guerriglia

 

"La massima abilità nel disporre le truppe sta nel non avere forma certa. In tal modo, chi si infiltri in profondità non può decifrarla, e gli esperti non possono ordire piani. è basandosi sulla disposizione che si determina la vittoria, ma la massa non può capire come.
Tutti possono conoscere i risvolti esterni del mio successo, ma nessuno può capire il disegno interno che lo determina.
In caso di vittoria è bene non ripetersi, adottando un'inesauribile varietà dispositiva.
La disposizione delle truppe deve somigliare all'acqua. Come l'acqua, nel suo movimento, scende dall'alto e si raccoglie in basso, così le truppe devono evitare i punti di forza e concentrarsi sui vuoti. Come l'acqua regola il suo scorrere in base al terreno, così l'esercito deve costruire la vittoria adattandosi al nemico."

(Sunzi)

 

Questi pochi capoversi sono da ritenersi tra i più importanti di tutta la teoria bellica. Il "non avere forma certa" e la "inesauribile varietà dispositiva", insieme alla teoria dei vuoti e dei pieni, vanno assunti come veri e propri assiomi per la comunicazione-guerriglia, di cui la guerriglia mediatica non è che una parte, una delle tante pratiche possibili.
Nel caso in questione, Blissett non ha mai smesso di accompagnare alla guerriglia mediatica forme di comunicazione "in positivo", attraverso i media classici.
Gli albori del Luther Blissett Project hanno visto una prima diffusione mirata della fama e delle gesta del Multiplo tramite onde radio, carta stampata, reti telematiche, e azioni corporee (performative).
Il primo medium ad essere utilizzato "in positivo" da Blissett è stata ad esempio la radio. Radio Blissett era una trasmissione locale (Bologna e Roma) che ha richiamato l'attenzione anche della stampa nazionale, i cui redattori si chiamavano tutti Luther Blissett e usavano la prima persona singolare per riferirsi indistintamente alle gesta proprie e degli altri. Nello stesso arco di tempo uscivano nel circuito della distribuzione underground (centri sociali, librerie dell'ultrasinistra, ecc.) i tre numeri della prima rivista ("Luther Blissett - rivista mondiale di guerra psichica"), a cui sarebbe seguita una seconda serie, tre anni dopo ("I Quaderni Rossi di Luther Blissett").
Su Internet, luogo prediletto di mitopoiesi e mitogenesi, intanto andavano prolificando i siti in cui Luther Blissett compariva a vari livelli: come argomento e/o firmatario di documenti e pagine web, come partecipante a gruppi di discussione, come saggista e quant'altro.
Ancora in questa prima fase tattica ha consumato la propria vita il Teatro Situazionautico Luther Blissett, di cui in alcune città italiane si conserva ancora memoria per le performance di strada, in grado di radunare e coinvolgere alcune centinaia di persone (mescolando pubblico e attori).
A questo si aggiunge una prima serie di pubblicazioni a carattere saggistico (nonché "pubblicitario") per l'editoria minore. Mind Invaders (di cui trovate riprodotte le parti più succose in questo volume) e Totò, Peppino e la guerra psichica (riprodotto integralmente), uscirono agli albori del progetto nelle collane di piccole case editrici.
Non da ultimo Blissett ha prestato la propria fama e le proprie energie per condurre una battaglia di controinformazione sulla malagiustizia italiana, sulle campagne stampa di demonizzazione e mostrificazione di presunti colpevoli, e sulla prassi inquisitoriale mantenuta da fior fior di magistrati. I due testi di riferimento sono Lasciate che i bimbi - "pedofilia": un pretesto per la caccia alle streghe, e Nemici dello stato - criminali, "mostri" e leggi speciali nella società di controllo, entrambi usciti per piccoli editori romani.
A tutto questo fanno da corollario le innumerevoli comparsate e il coinvolgimento diretto di Blissett su fanzine autoprodotte, riviste, bollettini telematici, trasmissioni televisive, romanzi (sono almeno cinque le opere di narrativa in cui Luther Blissett compare come personaggio).

Tanto l'uso dei media minori quanto la guerriglia mediatica a danno dei grandi mezzi di comunicazione di massa non vanno visti soltanto come momenti puramente bellici. Nell'economia dell'assalto alla cultura pop lanciato da Blissett, nell'economia dell'intera "Operazione Blissett", essi sono anche momenti dialettici della creazione della fama del Multiplo. Beffare giornali e tv, cosiccome produrre una letteratura blissettiana (per quanto di nicchia) sono pratiche altamente "pubblicitarie", nel senso che si prestano ad essere esaltate dai media stessi e a coinvolgere un numero imprecisato di persone. La fama di Blissett come Robin Hood della comunicazione è una tappa essenziale per gli sviluppi che seguono, nella misura in cui questo personaggio virtuale (o chi per lui) deciderà di compiere un salto qualitativo-strategico e spendere questa reputazione a un livello più alto.
Il fatto di poter contare su un esercito invisibile e quindi innumerabile aumenta la potenza della leggenda di Luther Blissett, facendone un'incognita del mainstream culturale: il fattore LB.
Tanto per esemplificare il potere di suggestione che una leggenda, un mito, può esercitare, è sufficiente rivelare che alcune delle più clamorose beffe di Luther Blissett ai danni dei media non sono mai state rivendicate da Luther Blissett e in alcuni casi non sono mai state progettate come tali, ma sono state attribuite al Multiplo dagli stessi operatori dei media. La paura di cadere in una trappola di Blissett è stata in alcune occasioni così forte da far gridare "al lupo!" anche quando del lupo non c'era traccia. Pura arte marziale: quando l'avversario diventa il nemico di se stesso, quando metti a segno un colpo senza muovere un dito, allora sai di avere la vittoria in tasca.
Questa tattica è esemplificata nel film di Bryan Singer del 1995 I soliti sospetti, in cui l'invisibile supercriminale Keiser Soze costruisce un mito di sé mostruosamente esteso ed esagerato, per fare nascere il dubbio che si tratti quasi di un'entità ultraumana, o appunto di una leggenda della delinquenza organizzata: una sorta di Robin Hood cattivo, uno spauracchio privo di consistenza corporea. Questo dubbio non solo è funzionale ad avvolgere il Kaiser Soze in carne ed ossa in una spessa cortina di nebbia che disorienta gli sbirri, ma soprattutto mantiene nella vaghezza il potere reale di questo principe nero del crimine, impedendo ai suoi nemici e alle sue vittime di tutelarsi in qualsiasi modo. La battuta che suggella il perfetto funzionamento della leggenda è la risposta che dà il personaggio di Verbal Kint, quando gli viene chiesto perché, avendo avuto a tiro Kaiser Soze non gli abbia sparato: "Come fai a sparare al Diavolo? E se sbagli?".
È questo il processo psicologico che va inculcato nell'avversario: la paralisi preventiva per paura che una qualsiasi mossa si riveli controproducente.
Gli anni Novanta del XX secolo ci hanno consegnato un Kaiser Soze reale, che si è mosso nelle pieghe della guerra nella ex-Jugoslavia. Il Comandante Arkan, capo delle milizie più crudeli e fanatiche dell'esercito serbo, è un fine conoscitore della comunicazione-guerriglia. Questo scaltro tagliagole, su cui pendono svariate condanne del Tribunale dell'Aja, ha costruito nel corso degli anni il mito di se stesso in funzione della guerra etnica. Durante il conflitto serbo-croato-bosniaco era solito accompagnare i cronisti occidentali sui luoghi in cui i suoi miliziani compivano le peggiori efferatezze ai danni della popolazione civile. La pubblicità negativa che questi avrebbero riportato su giornali e televisioni si sarebbe rivelata utilissima per Arkan. Il messaggio era semplice: "Ecco, vedete quale trattamento riserviamo a chi incrocia la nostra strada". Da quel momento, Arkan e i suoi aguzzini potevano anche risparmiare le energie, perché i racconti dei giornalisti occidentali sarebbero valsi più di dieci azioni reali. Lo stesso è valso per la costruzione di un'iconografia adeguata alle aspettative create. C'è ancora chi giura di aver visto il Comandante Arkan passeggiare tranquillamente per le strade bombardate di Vukovar con un cucciolo di tigre in braccio. E ha fatto il giro del mondo la fotografia di Arkan con una spada medievale in mano dopo il bombardamento Nato del più lussuoso albergo di Belgrado. Ancora, i profughi kossovari raccontavano ai giornalisti occidentali di aver visto le Tigri di Arkan strappare gli occhi ai neonati con le mani e mangiare il cuore delle loro vittime.
Quando è scoppiata la guerra tra la Nato e la Jugoslavia, a Pristina, capitale del Kossovo, si sparse la voce che stava arrivando Arkan. Addirittura l'inviato di Radio Radicale sostenne di avere avvistato il suo autista personale. La conseguenza fu l'accelerazione del fuggi fuggi generale dei kossovari, ovvero della pulizia etnica propugnata dal governo serbo. In realtà Arkan e i suoi non sono mai usciti dai confini della Serbia per tutta la durata del conflitto, e anzi, forse non hanno nemmeno mai lasciato Belgrado. Eppure sono stati numerosi gli avvistamenti e le segnalazioni in varie zone del teatro bellico. Non ci sarebbe da meravigliarsi se si scoprisse che è stato Arkan medesimo a spargere quelle voci. Pura comunicazione-guerriglia: assecondare e incentivare il terrore dell'avversario; dargli quello che si aspetta, ma moltiplicato per cento.

Torniamo a Blissett. L'idea che sottende il Luther Blissett Project fin dalle sue origini è quella di creare un fantasma che conduca il libertarismo fuori dall'underground, dal cul-de-sac del centrosocialismo reale, dalle nicchie di militantismo o militontismo in cui è rimasto per quasi un ventennio, immettendolo nuovamente nell'overground, nel mainstream culturale. Si tratta insomma di usare questo spettro collettivo, questo fantomatico eroe popolare mosso da migliaia di fili, per fare irrompere nella cultura pop un mito di lotta. Un mito ludico, scaltro, accattivante, efficace, per l'appunto "pop", che pubblicizza una visione della vita e della lotta di classe libera e felice, lontana dagli errori/orrori del Novecento.
"Se Blissett ha deciso di destabilizzare la cultura è solo perché lo ritiene più efficace che sparare ad altezza d'uomo in mezzo alla folla!", si può leggere nella prima rivista firmata dal Multiplo. L'assalto alla cultura è ben lungi dall'esaurirsi nelle beffe mediatiche, o nel mantenimento di una nicchia di consumo per prodotti sottoculturali. L'assalto alla cultura di Luther Blissett - o comunque si chiamerà l'eroe eponimo che "nominerà" tale assalto nel prossimo millennio - non ha senso se non nella prospettiva di un graduale sviluppo, di una Lunga Marcia che porti all'acquisizione di sempre maggiore peso specifico e autorità nei confronti della grande industria culturale e dell'immaginario collettivo. Il potere contrattuale acquisito da Blissett negli ultimi cinque anni del XX secolo è soltanto l'inizio, oltreché la dimostrazione che si può fare.

 

Dien Bien Q

 

"Il 13 marzo 1954 segnò l'inizio della seconda fase della campagna di inverno-primavera. Aprimmo la grande offensiva contro il campo trincerato di Dien Bien Phu, e ciò apportò un elemento nuovo nella fisionomia della guerra. Attenendoci saldamente alla parola d'ordine: dinamismo, iniziativa, mobilità, decisione istantanea di fronte alle situazioni nuove, e sfruttando per il meglio i nostri vantaggi sul fronte di Dien Bien Phu, avevamo modificato la nostra tattica e diretto il nostro attacco principale contro il più potente campo trincerato del Corpo di spedizione. Sul fronte principale, le nostre unità regolari non avevano più il compito di accerchiare e di bloccare la guarnigione, ma di passare all'attacco e di concentrare le forze per annientare il nemico. Gli altri fronti del Centro, del Sud e del Nord dovevano mantenersi in costante attività, in coordinazione con Dien Bien Phu, per infliggere nuove perdite al nemico."

Generale Vo Nguyen Giap, Guerra del popolo, esercito del popolo, 1961.

 

Come suggeriscono tutti i grandi teorici della guerra, è sempre necessario scartare da una qualsiasi tattica che sia diventata prevedibile.
Dopo aver costruito passo passo la rete di sentieri di montagna e tunnel intorno all'altopiano, conquistando a Blissett un peso specifico nei confronti dell'industria dell'informazione e della cultura, diventa necessario spendere tale peso e pianificare l'offensiva in grande stile. Accerchiato il nemico, giunge l'ora di puntare direttamente al centro del campo avversario.

Questa linea, che non prevedeva attacchi diretti ai campi trincerati, ci aveva permesso di conseguire molteplici successi. Ma non era l'unica possibilità di azione che fosse a nostra disposizione. Potevamo attaccare direttamente questi campi per annientare il nemico anche all'interno del suo nuovo dispositivo di difesa. D'altro canto solo la distruzione dei campi trincerati poteva modificare la fisionomia della guerra, aprire la via a nuove vittorie per il nostro esercito, per il nostro popolo. (Gen. Vo Nguyen Giap).

Nell'ipotesi di una guerra di lungo corso, la guerriglia "boschiva" di confine, nella giungla, è un momento che va superato. O meglio è una tattica che deve poter essere adattata a nuove tipologie di terreno. Gli obiettivi devono essere sempre più ambiziosi. Si vince studiando sempre nuovi piani d'attacco, non difendendo le posizioni guadagnate. La questione è semplice: dopo le sue innumerevoli scorribande ai danni del castello, il Waldganger può uscire dalla macchia ed entrare nella roccaforte nemica con tutto il peso della propria leggenda? Ovvero è possibile muovere l'attacco dall'interno della cittadella dell'industria culturale?
è assolutamente evidente che - come indica il generale Giap - le due forme di conduzione del conflitto, la guerriglia boschiva e l'uscita allo scoperto, devono andare insieme, devono essere complementari. Nel caso dell'attacco diretto o dell'infiltrazione nel campo avversario, la figura dell'eroe tende a slittare dal Waldganger al trickster. è su questo secondo aspetto che si pone l'accento, spostandosi metaforicamente da un paesaggio silvestre a uno metropolitano: dalla foresta di Sherwood al castello di Nottingham. Come nei film di Leone e Kurosawa, il trickster mostra la sua faccia e mette le proprie capacità a disposizione di potenti clan; ma in realtà sta agendo secondo un piano, che prevede lo sfruttamento dei mezzi messigli a disposizione dai grandi boss per il proprio esclusivo tornaconto e, in definitiva, a danno di quest'ultimi. Fuor di metafora il trickster è uno scaltro truffatore che sa muoversi nelle stanze del potere culturale come un pesce nell'oceano, forzando i limiti strutturali di sistema e guadagnando per sé un varco, attraverso il quale altri potranno passare. è il vecchio trucco del cavallo di Troia... (è interessante notare che proprio una grande figura di trickster, di scaltro imbroglione, è alla base della cultura occidentale: quella di Odisseo/Ulisse).
Dopo anni in cui Luther Blissett aveva fatto parlare di sé in lungo e in largo, dopo che la leggenda aveva fatto il giro del mondo per tornare rafforzata e moltiplicata nelle mani dei guerriglieri, era prevedibile che la stessa industria culturale più volte beffata e sabotata offrisse a Blissett un grado nel proprio esercito. Se sei un bravo pistolero, è quasi certo che i grandi clan si contenderanno i tuoi servigi. Il capitale non crea nulla, recupera tutto.
Bisognava essere pronti a quella circostanza. Innanzi tutto spiazzando subito le aspettative di chi avrebbe fatto la prima proposta.
Il campo battezzato da Blissett per fare la sua prima comparsa nell'overground dell'industria culturale è stato quello della narrativa.
Si trattava di pianificare un'azione dirompente, il lancio di un best seller atipico, che disorientasse i mass media costringendoli a parlare dell'opera di Blissett per il suo valore specifico e non solo come l'ennesima fantasia dei "giovani pirati mediatici". Ciò che tutti si sarebbero aspettati da Blissett in questo campo era un agilissimo romanzo ipercontemporaneo, magari fantascientifico, in cui le solite "nuove tecnologie" e gli hackers avrebbero giocato il ruolo dei protagonisti assoluti.
Quello che è stato proposto è una spy story di seicentocinquanta pagine, ambientata nel XVI secolo, che va in totale controtendenza rispetto a quanto prodotto dalla narrativa italiana negli ultimi anni.
L'Operazione "Q" (dal titolo del romanzo) avrebbe comportato un salto qualitativo nella conduzione della guerriglia culturale. Questo sarebbe stato vero anche per coloro che, pur utilizzando il nome multiplo, non avessero avuto niente a che fare con l'operazione in questione, perché comunque niente sarebbe stato più come prima.
Con l'uscita del romanzo Q nel 1999 la fama di Luther Blissett ha toccato i suoi massimi storici e si è inaugurata una seconda fase, non più necessariamente legata all'uso di questo nome collettivo, ma che apre prospettive nuove. Per dirla con il Generale Giap, l'Operazione "Q" dà l'avvio all'offensiva contro Dien Bien Phu, affiancando al Waldganger un trickster promettente. Robin Hood e Yojimbo uniti nella lotta.
L'Operazione "Q" è una sortita, un'azione di commando condotta da un manipolo scelto che deve aprire un varco praticabile collettivamente ed evolversi in qualcosa di strategicamente definito e ancor più efficace. Si tratta di guadagnare posizioni nel campo nemico, impiantare un centro operativo nelle sue retrovie, installarsi sull'altopiano e continuare a colpire dall'interno.
Un piano i cui dettagli e fini appartengono alla storia che vivremo.

 

III. Assalto finale

 

Nessuna favola che si rispetti fa a meno di un eroe e di un antagonista. Nei miti di lotta, l'eroe ribelle dimostra la sua invulnerabilità affrontando e superando molti pericoli mortali, mentre il suo potente nemico ottiene lo stesso risultato con opposta strategia: tenendo il più possibile distanti tutte le insidie. Chiaramente, l'insidia che egli teme di più è incarnata dall'eroe stesso.
Proprio a causa di questa opposizione, il ribelle che si dà alla macchia, prototipo mitico di Luther Blissett, corre il grave rischio di risultare funzionale alla logica paranoica del potere. Il bosco infatti non è mai addossato alle mura del castello, a dividerli ci sono pascoli e campi, strade e corsi d'acqua. Il bosco è distante, separato dal borgo, esattamente come il nemico vuole che sia. Non ci si deve illudere, darsi alla macchia non basta: il potente cercherà sempre di delimitare e circoscrive la base strategica dei nemici, per rendere meno efficace e insidiosa la loro strategia.

Fin dalle origini abbiamo assistito al tentativo da parte dei media di legare il "fenomeno" Blissett alla sola città di Bologna e di presentarlo come parto di un mondo lontano fatto di Internet, ambienti dell'autonomia, centri sociali, sesso estremo, nuove droghe, rave, piercing. In sostanza, una versione cyber-underground di quell'altrove (il bosco, l'Inferno, il sottosuolo, il Regno della Paura) da cui provengono tutte le inquietudini, rese meno spaventose proprio per la loro appartenenza ad un luogo preciso e distante.
Il tentativo di traguardare la posizione di Blissett si basa naturalmente su alcuni punti di riferimento reali: Luther opera anche a Bologna, si serve anche di Internet, pratica volentieri il sesso estremo. Altri elementi sono invece del tutto folkloristici: l'unico Blissett veramente dedito al piercing che io conosca compare in un romanzo di Carlo Lucarelli, mentre uno dei primi documenti del Multiplo recitava senza mezzi termini:

Non più un uomo né un soldo per il centrosocialismo reale. Intendo disvelare le contraddizioni in città, non nasconderle tra quattro pareti di merda, riproducendo abitudine e indolenza.

La presa di distanza dall'ambiente dei centri sociali appare subito piuttosto netta.
Un'altra area nella quale si è preteso di collocare le azioni del Multiplo è quella della teoria situazionista. In particolare, le riviste più radical-chic e intellettualoidi hanno citato a più riprese Guy Debord come ispiratore delle pratiche di Luther Blissett (critica alla società dello spettacolo, psicogeografia e via discorrendo). Non a caso erano i tempi del revival pro-situ e del suicidio del medesimo Debord. Alcune idee di Blissett si riferivano chiaramente a quel movimento, ma in forme che sarebbero piaciute ad espulsi dell'Internazionale Situazionista come Asger Jorn, piuttosto che a "Guido il Noioso" (Guy The Bore). LB fece uscire proprio in quel periodo un pamphlet dal titolo molto indicativo: Guy Debord is really dead (Guy Debord è morto davvero), un violento attacco al padre-padrone del situazionismo, non tanto per rinnegarlo (non ce n'era bisogno), quanto per liquidarlo definitivamente.

Come si vede, simili mosse del nemico non vanno lasciate senza risposta. Non si può pensare che nascondersi nella macchia sia un gesto sufficiente per mettere in crisi il potere. Inizialmente le ombre del bosco possono confondere l'identità e permettere di sfuggire al costante tentativo del potente di afferrare la sua preda. Ma non basta, la battaglia contro l'identità dev'essere combattuta fino in fondo. Quando all'interno del bosco ci si comincia a sentire assediati, significa che si è stati infettati dalla stessa paranoia che contraddistingue il nemico. E, inevitabilmente, che si è cominciato a fare il suo stesso gioco. Come dice Kong Qiu (Confucio) commentando lo Yijing (I-Ching): "La rovina minaccia quando si cerca di mantenere il proprio possesso. Lo scompiglio nasce dove si è fatto ordine."

Se l'avversario cerca di localizzare la nostra posizione su una cartina, tanto meglio per noi. Non faremo di tutto per sottrargli quella mappa o per difendere la nostra posizione: piazzeremo trappole laddove egli è convinto di trovarci, prepareremo un bagaglio leggero e calzeremo comode scarpe da trekking.

Ci sono due azioni che illustrano bene in che modo Luther Blissett ha ridicolizzato i media che cercavano di localizzarlo: la beffa a "Chi l'ha visto?" e quella alla Mondadori.
Nella trasmissione televisiva "Chi l'ha visto?" si celebra in maniera fin troppo scoperta una delle caratteristiche del potente: la capacità di spiare chiunque. L'animale predatore dimostra la sua superiorità su tutti gli animali che è in grado di spiare, raggiungere e afferrare. Quante più persone si è in grado di tenere sotto controllo, tante più si possono potenzialmente afferrare. Uno stato democratico e buonista non può stringere chiunque in una morsa carceraria, ma potendo determinare la posizione di qualunque cittadino ricorda a tutti che la distanza tra potenza e atto è spesso dovuta a semplici ragioni di opportunità politica.
Dimostrare che le troupes di "Chi l'ha visto?" possono facilmente inseguire un fantasma, arrivando fino a Londra per cercarne le tracce, è una tappa fondamentale nel tentativo di disinnescare l'armamentario del nemico.
Se "Chi l'ha visto?" ha inutilmente cercato un individuo il cui volto è stato ottenuto dal morphing di ritratti fotografici del secolo scorso, la casa editrice di Segrate ha in qualche modo tentato di raggiungere quello stesso individuo, ormai noto con il nome di Luther Blissett. Giuseppe Genna, il curatore dello pseudo-libro di Blissett uscito per Mondadori con tanto di copyright, ha creduto di scovare il Multiplo nel suo territorio: la Rete. Ha saccheggiato a piene mani un sito appositamente riempito di porcherie in stile piercing, rave, sesso estremo e banalità retaiole di ogni genere. Prima ancora che il libro uscisse, Blissett lo ha puntualmente sputtanato su tutti i giornali, determinandone il flop più totale.
Il tentativo di spiare e raggiungere L.B. è dunque destinato a fallire. Chi cerca di avvicinarsi a Blissett per afferrarlo, rimane vittima dei suoi tranelli. Non resta che sottomettersi, chiosando qualsiasi informazione sul suo conto con parole simili a quelle di Diego Gabutti su "Il Giorno": "Persino questa notizia potrebbe averla diffusa lui, il grande terrorista mediatico."

Bisogna chiedersi, a questo punto, se il nostro eroe non abbia riprodotto in sé classiche paranoie e tipici meccanismi del potente: evitare di farsi spiare, sottrarsi al contatto, soggiogare il nemico costringendolo alla lusinga. Non è così. Come recita il Tao te ching (Daodejing):

Colui che sentendosi gallo si comporta da gallina è il burrone del mondo: la Forza vi penetra dentro come acqua in una gola di montagna e non ne fluisce più via.

Abbiamo sempre detto che Luther gioca la partita del mito soltanto per reinventarne i parametri: riconosce in sé il paradigma dell'eroe di lotta, eppure ne altera le caratteristiche per trasformarsi in qualcosa di più androgino che virile. Blissett non si sottrae, si offre. Non allontana il nemico con bastioni e fossati per chiudersi nella difesa dell'ennesima Fort Alamo. Egli si mette nelle mani dell'avversario e all'ultimo momento scompare, o insinua nell'antagonista il dubbio di averlo realmente catturato. Blissett non è solo attaccare e nascondersi, egli dispone trappole, anzi, si dispone come trappola, come una donna accogliente che nasconda in grembo l'insidia. Tutto questo grazie alle sue capacità di metamorfosi e al suo elevato potenziale infettivo.
Ricordate il duello tra la maga Magò e Mago Merlino ne La spada nella roccia di Walt Disney? è un classico del folklore di tutti i popoli: i due si sfidano in una successione di mutamenti per cercare di sopraffare l'altro (straordinaria la scena in cui il mago si trasforma in topo e spaventa a morte l'elefante Magò). Alla fine ha la meglio Merlino, nonostante Magò abbia le sembianze di un terribile drago: "Sono un virus contagiosissimo e sconosciuto e tu mi hai preso" è l'ultima battuta di Merlino. Sarebbe ottima anche per Luther.
Nel Ping Fa, Sunzi descrive così la strategia migliore per sconfiggere il nemico:

Chi in cento battaglie riporta cento vittorie, non è il più abile in assoluto: al contrario, chi non dà nemmeno battaglia e sottomette le truppe dell'avversario, è il più abile in assoluto. La strategia migliore consiste nel far fallire i piani dell'avversario, quella più infima nell'attaccare le fortezze.

Non soltanto Blissett ha un aspetto multiforme e un comportamento imprevedibile, egli è dotato di un potere che gli permette di sconfiggere l'avversario senza afferrarlo e stringerlo, gli basta fotterlo dolcemente (è una malattia a trasmissione sessuale) e infettarlo. E, appestandolo, lo guarisce. In questo si differenzia completamente tanto dal tipo paranoica del potente, preoccupato da mille insidie, quanto dal modello maniacale di eroe, alla continua ricerca di pericoli.
Il potente di norma, non si trasforma. Il predatore non si camuffa: fa udire il suo ruggito in tutta la giungla.
L'eroe cerca sempre nuovi e terribili avversari da sconfiggere, va incontro al rischio per provare la propria invulnerabilità. Blissett invece attira a sé i nemici, non li va a cercare, e lo fa per dimostrare a tutti la loro vulnerabilità.
In fondo, la più importante differenza tra Blissett e i protagonisti di un mito di lotta sta nella ragione della lotta stessa. Di solita si tratta di sopravvivere. è l'essere sopravvissuti ad altri (o nonostante altri) che dà gloria e prestigio all'eroe come la potente. Ogni lotta è lotta di sopravvivenza, ma non nel senso banale dell'istinto. Il sopravvissuto si mostra più forte e più scaltro di tutti. Blissett, in questo senso, non è interessato a sopravvivere.

Tra le paranoiche strategie del potente, oltre ad allontanare, spiare, localizzare, raggiungere ed afferrare l'insidioso nemico, c'è quella di sminuirne la fama. Di solito il potente è portato ad amplificare ogni minima fonte di pericolo; di quando in quando però lo coglie il dubbio che proprio questo atteggiamento possa essere controproducente, che un'insidia diventi temibile solo per l'importanza spropositata che le si attribuisce. In questi casi, si prodiga per ridimensionarla. è quello che hanno fatto con il Multiplo moltissimi giornalisti, scrivendo il suo nome con una sola t per minarne la reput/azione e definendo "goliardate" le sue provocazioni. Si tratta chiaramente di un tentativo di rendere innocuo il nemico: egli non è realmente pericoloso, non morde, ride.
Elias Canetti, nel libro che stiamo saccheggiando, Massa e Potere, ha individuato molto bene il significato del riso:

Il riso viene considerato volgare poiché chi ride spalanca la bocca e sfodera i denti. Certo il riso espresse originariamente la gioia dinanzi a una preda o a un cibo che parevano assicurati. Ogni caduta che suscita il riso fa ricordare la condizione indifesa del caduto: volendo lo si potrebbe trattare come preda. Si ride invece di divorare. L'uomo ha imparato a sostituire con un atto simbolico l'effettivo processo di incorporazione.

Nel caso di L.B. accusarlo di voler soltanto ridere è del tutto fuori luogo e denota solo la grande paura dell'avversario, che cerca in tutti i modi di rassicurarsi. Blissett è intrinsecamente pericoloso, tuttavia a rinunciato a imprigionare, divorare, annientare la preda. Tutti questi gesti appartengono alla cultura del suo antagonista. Sono funzionali al suo dimostrarsi sopravvissuto. Il modo più facile per essere tali infatti è uccidere tutti gli altri, una pulsione che, civilizzata, si ritrova in tutte le forme di potere, poiché in ogni comando risiede una potenziale condanna a morte o all'annullamento, e così pure in ogni forma di controllo e sorveglianza.
Nel mito di Luther Blissett l'eroe di lotta deve spogliarsi delle forme di sopravvivenza tipiche del potere, arrivando a rinunciare all'interesse stesso per la sopravvivenza. Altrimenti, una volta che l'eroe avrà acquistato onori e prestigio grazie alla sua condizione di sopravvissuto, quando la sua mania avrà annientato tutte le minacce, egli non potrà fare altro che assumere gli stessi atteggiamenti del potere per perpetrare la sua condizione. Questo è, alla radice, il motivo per cui tanti folk heroes del nostro secolo, tanti guerriglieri, si sono trasformati in tiranni spietati.
La risata di Blissett non è nemmeno, come dice Canetti, un uccidere trattenuto e addomesticato. Non è la risata di chi schernisce: con essa Luther vorrebbe piuttosto infettare tutti quanti, coinvolgere nella sua stessa risata anche le sue vittime, invitandole a prendersi meno sul serio e a modificare i propri atteggiamenti malati. Si tratta di una risata taumaturgica, di un virus che infetta per guarire.
Come detto, nelle società democratiche e civili, il potere sui cittadini non si esercita direttamente attraverso l'uccidere (per quanto la guerra dimostri che non se ne è così lontani), ma simbolicamente e indirettamente attraverso il comando e il controllo. Poiché Luther Blissett è l'eroe che lotta contro svariate forme di potere, prendendo ad esempio della sua azione quella contro i media, è interessante vedere in cosa consiste il loro scettro, ovvero il loro peculiare modo di controllare e comandare.
Tutti conoscono Prometeo, l'eroe che rubò agli dei il segreto del fuoco. Sotto una forma di potere di potere si nasconde sempre un segreto. In particolare, un tesoro misterioso sembra celarsi dietro la forma di comando che i media ci impartiscono: infòrmati, credi o crepa che è solo una versione più specifica del più generico obbedisci o crepa (come anche produci, consuma e/o crepa e sbattiti, fatti, crepa). Poiché l'infosfera è il nostro habitat naturale, non informarsi equivale a non respirare, non credere a rimanere paralizzati. Il movimento cyberpunk ha creduto di poter risolvere in senso prometeico questo problema. Ha pensato di strappare a certi poteri il monopolio dell'informazione, e ha provato a rintracciare con mezzi alternativi notizie attendibili, verità nascoste e deformate.
Oggi risulta chiaro: fare controinformazione non basta. Non ci si libera dello odiato scettro del potere, semplicemente lo si passa in mani più fidate e amiche. Non si sopprime il comando, lo si impartisce nuovamente: Non credere a quello, credi a questo. Non basta fornire a chiunque gli strumenti per navigare in cerca di notizie, scavalcando le agenzie di stampa e le grandi testate giornalistiche. Dopo una simile rivoluzione, tra l'altro piuttosto difficile da realizzare fino in fondo, occorre un passaggio ulteriore, per evitare che certe forme di comando si riproducano.
Luther Blissett non ha dimostrato che chiunque può ottenere le notizie che desidera, ma che ognuno può costruire lo scoop del giornale di domani. Il segreto è che non c'è nessun segreto cui anelare, "persino questa notizia potrebbe averla diffusa lui, il grande terrorista mediatico".
Il segreto è che la composizione chimica dell'infosfera può essere modificata. Fondamentale è conoscere i meccanismi della deformazione delle notizie e della disinformazione e dimostrare di saperli usare. Solo allora si può passare alla controinchiesta (che L.B. non ha mai disdegnato: su tutti, gli esempi di Lasciate che i bimbi e Nemici dello Stato).
Ancora una volta Blissett dimostra il suo disinteresse per gli strumenti della sopravvivenza (è il sentirsi superiore agli dei che spinge Prometeo a rubare il fuoco, molto più che l'interesse per gli uomini). Del resto, paranoia e mania di sopravvivenza finiscono per somigliarsi molto: si tratta di due disperati tentativi di affermare la propria identità. La psicologia dell'eroe di lotta ci mostra che il rischio più grande per un'esperienza ribelle è proprio il desiderio di conservarsi (desiderio inevitabilmente conservatore). Questo desiderio porta a difendere un territorio, a fortificare la macchia in cui ci si è nascosti, a diventare alter ego del potere, emulazioni fallite dello stato, perfettamente funzionali ad esso. Il brigatismo rosso e lo squatterismo torinese ne sono un esempio lampante.
Chiaramente qui non stiamo parlando della sopravvivenza fisica e psichica di un semplice individuo. Non ci sognamo di consigliare a nessuno l'annullamento, il nichilismo non ci interessa affatto. Non desideriamo mettere in discussione la necessità della battaglia per il reddito (di cittadinanza), per la casa, per l'assistenza sanitaria e per altre garanzie.
Luther Blissett si è richiamato al mito dell'eroe di lotta con intenzione mitopoietica, con lo scopo di rimpastarne gli ingredienti, esattamente come il subcomandante Marcos in quel del Chiapas. Se questo mito vuole avere un utilizzo ancora di opposizione, occorre che l'eroe rinunci alla difesa della propria identità.