PSEUDONIMI, REFUSI E CUCCHIANI DA CAFFÈ

"Luther Blissett è destinato a morire?"
"Il progetto è quello di continuare per un po', tesaurizzare l'esperienza e poi passare ad altro. Il 31 dicembre 1999, ultimo giorno del millennio, Blissett potrebbe morire e trasformarsi in qualcos'altro. Ma non è detto."

Intervista a Luther Blissett di Loredana Lipperini, La Repubblica, 13 marzo 1997

 

"A proposito, il "Luther Blissett Project italiano terminerà entro il 2000. Perché?"
"Come disse l'immenso Cary Grant, è meglio andarsene un minuto prima, lasciando le persone con la voglia, che un minuto dopo, avendole annoiate."

Intervista agli autori di *Q* di Loredana Lipperini, La Repubblica, 6 marzo 1999

 

Nel film "Il vigile" di Luigi Zampa (1960) Alberto Sordi interpreta un vigile che incontra Sylva Koscina e fa morire d'invidia i suoi compaesani. Il sindaco (Vittorio De Sica) gli chiede: "Ma è vero che la Koscina mangia la minestra col cucchiaino da caffè per non rovinarsi le labbra allargandole col cucchiaio?". Il vigile risponde: "Ma no, signor sindaco, quelle sono invenzioni dei giornaletti scandalistici...", e il sindaco conclude sospirando: "Eh, la libertà di stampa è una gran bella cosa, ma sarebbe meglio se non ci fosse!".

La scena m'è tornata in mente alla lettura del seguente articolo (non firmato), uscito su "L'Espresso" n.31, anno XLIV (datato 5/8/1999), che potrebbe ingenererare, in chiunque abbia una minima e superficiale conoscenza del percorso di Luther Blissett, una reazione simile a quella di quel sindaco, reazione ingiusta, qualunquista e sproporzionata alla futilità dell'argomento trattato a colpi di fandonie.
Da un po' di tempo "L'Espresso" (che pure non è mai stato vittima di alcuna beffa blissettiana) sembra essersi incarognito nello spacciare panzane sul LBP. Boh!
Riporto per intero questo pout-pourri di crasse inesattezze e pettegolezzi di quarta mano, e lo faccio seguire dalle mie glosse e commenti:

 


[Sezione "Cultura", pag.86:]

PSEUDONIMI / DOPO IL SUCCESSO DI "Q"

BLISSET [sic!] DEVE MORIRE

Troppo visto, sparirà? Forse

 

Centoventimila marchi, circa 120 milioni di lire, sono un piccolo record per un'opera prima. Ma l'exploit economico riuscito alla Einaudi vendendo ai tedeschi della Piper "Q", il giallo di Luther Blisset [sic], lo pseudonimo collettivo usato dai quattro autori, potrebbe essere il canto del cigno della enigmatica entità che ha firmato negli ultimi anni tante provocazioni. Molti della banda Blisset [sic] infatti non hanno digerito che il nome sia stato sfruttato per fini commerciali e lo considerano bruciato perché ormai legato ai volti degli autori di "Q". Tanto che in rete si fa sempre più insistente la voce che entro il Duemila Blisset [sic] morirà.
Come e quando avverrà non è dato sapere. Di certo c'è che altri personaggi sono pronti a prendere il suo posto nel ruolo di pseudonimi collettivi: si fanno i nomi di Monty Cantsin, che ha esordito come candidato alle elezioni europee per l'iniziativa "Bombarda la scheda elettorale" (proponeva di incollare sulla scheda elettorale un bersaglio autoadesivo per bombardare l'Europa guerrafondaia) o quello di Ettore Mambretti, protagonista di un racconto a episodi che sembra scritto da vari autori e che è comparso nei giorni scorsi tra i messaggi di diverse mailing list.
Alcuni websurfer vicini alla banda Blisset [sic] sostengono che Luther Blisset [sic] è già morto: e fanno notare che le pagine del sito del Luther Blissett Project (www.syntac.net/lutheblisset) [URL peraltro inesistente... N.d.LB.] non vengono più aggiornate da aprile. Eppure l'ultima provocazione della firma pirata risale all'inizio di giugno e ha avuto risonanza mondiale. Il "New York Times" ha dedicato un articolo all'iniziativa anti-copyright di questo "gruppo di burloni mediatici o guerriglieri culturali": la riproduzione in un sito aperto a tutti di opere appena messe in vendita da gallerie d'arte online come Art.Teleportacia e HELL.Com. Tra gli artisti le cui opere sono state copiate qualcuno ha reagito bene: a Olia Lialina, che è anche uno dei gestori di Art.Teleportacia, la copia è piaciuta tanto da inserire nella sua pagina-web un link che collega tutti i suoi visitatori con il suo sito pirata.

 


Commentario:

Ordunque, costui e costei deve aver comprato il suo primo modem non più di una settimana fa (si capisce dalla terminologia), ed è chiaro che le uniche sue fonti derivano da una "ricerca" su Altavista protrattasi per non più di sei-sette minuti.

Prima di tutto, "Luther Blissett" si scrive con due t. Il fastidioso refuso si protrae per tutto l'articolo. Se l'autore o l'autrice non ha avuto l'attenzione o la pazienza di leggere per intero un cognome di otto lettere, come pretendere che si documentasse seriamente su quanto andava a scrivere?

Non esiste alcuna "banda Blissett", esiste un Luther Blissett Project, che è una realtà in tutto e per tutto informale e transnazionale. Dappoiché "Q" non ha ancora avuto edizioni estere, mi si deve spiegare come la sua esistenza possa inibire chi usa il nome in altri paesi. Un multiple name non può "bruciarsi", è nella sua natura poter essere piegato a qualunque utilizzo, poiché non ve n'è di "inappropriati" (e certo pubblicare un romanzo non è il più assurdo).

Quanto ai "volti degli autori di Q", va ricordato che noi non appariamo in tv e che di "noi" esistono solo due fotografie, scattate nel marzo scorso, che raffigurano quattro persone qualsiasi *in campo lungo*. Anche se quelli fossimo davvero noi quattro (ne siete davvero sicuri?), saremmo ben difficilmente riconoscibili.

Il "seppuku" delle sezioni italiane del LBP - segnatamente di quella felsinea - è stato annunciato alla stampa per la prima volta due anni e mezzo fa (cfr. la prima citazione in epigrafe), quindi non ha nulla a che vedere con l'uscita di *Q*. Inoltre, il nostro "seppuku" non coincide in alcun modo con il cessato utilizzo del nome multiplo: non si può spegnere un mito, e anzi, da quando è uscito il romanzo, è aumentato esponenzialmente il numero di pagine su LB e di webmasters che si firmano col nome (addirittura il webmaster del sito della Confesercenti!). Ma sul "seppuku" verrà diffuso un documento agli inizi di settembre.

Quanto a Monty Cantsin, lungi dall'essere una nuova proposta, si tratta dello storico pseudonima neoista, inventato a metà degli anni Settnata a Portland (Oregon,USA) da David Zack e Al Ackerman.

Il sito citato (pur con l'indirizzo errato) non ha alcunché di "ufficiale", non è IL sito del LBP bensì un sito tra tantissimi, guardacaso quello che io curo personalmente, espressamente rivolto ai non-italiani. Il suo focus non è l'attualità bensì la storicizzazione del Luther Blissett Project. Non devo certo rispondere ai giornalisti della frequenza con cui lo aggiorno, anche perché freewebs, e-zines, listservers e newsgroups esistono proprio per sfuggire ai media tradizionali e ai temi, tempi e meccanismi da loro imposti. Se è di scarso impegno che mi si vuole accusare (robe da matti!), sottolineo che io curo anche questa newsletter telematica, che produce 2-3 messaggi alla settimana e che viene ricevuta da più di un migliaio di subscribers.

L'autore o autrice dell'articolo non sa o non ha capito nulla della vicenda HELL.com... Innanzitutto, l'azione non è stata compiuta da Luther Blissett bensì da un soggetto anonimo che si firma 0100101110101101.ORG. Su liste quali Rhizome, 7-11, Nettime e Syndicate (sono quelli i fondali oceanici che un serio giornalista dovrebbe scandagliare in cerca di LB, non quelli delle pozzanghere italiche) è circolata una "recensione" entusiastica dell'azione, firmata "Luther Blissett". Il New York Times ha confuso le due cose attribuendo a LB l'azione di 0100101110101101.ORG, e "L'Espresso" (si parva licet...) ripete lo stesso errore. Ad ogni modo, nessun lettore avrà compreso di quale azione si stia parlando, dal momento che l'autore o autrice dell'articolo non ha spiegato che le opere copiate erano opere di "net art", arte digitale che sfrutta i linguaggi specifici della rete, HTML e Javascript, quindi può esistere solo dentro un computer. L'azione di 0100101110101101.ORG poneva l'accento sull'assurdità di vendere a musei o gallerie dei cosiddetti "originali", dal momento che il supporto elettronico (e la stessa presenza sul Web delle opere vendute) consente l'infinita riproduzione dell'opera senza alcun calo di qualità, quindi non vi è distinzione tra originale e copia.

Infine, riportare la reazione di Olia Lialina senza dire che molti altri net-galleristi hanno sofferto di vere e proprie crisi isteriche, con tanto di minacce di azioni legali, dà per l'ennesima volta la misura dello stato di salute del giornalismo italiano.
Saluther!