Da "La Repubblica on-line", 5 febbraio 1999
Lettera-provocazione: l'arte "ufficiale" deve essere inviolabile? E chi decide cos'è il genio?
E se Cannata "il matto" fosse più artista di Pollock?
di Luther Blissett
ROMA - Una provocazione, certo, ma anche qualcosa di più.
La lettera inviata a Repubblica.it da Luther Blissett, l'identità
collettiva che a tante performance, verbali e non, ci ha abituato
in questi anni, ci ha colpito e incuriosito. Perché interpreta
una sensazione che, ne siamo sicuri, molti hanno provato una settimana
fa, quando è arrivata la notizia che una tela del pittore
astratto Jackson Pollock era stata imbrattata. Un moto d'animo
istintivo, più che un pensiero razionale. Sfociato in una
battuta, detta o pudicamente solo pensata, sicuramente qualunquistica:
"Sarà un po' difficile distinguere lo sfregio dal
quadro vero e proprio". Nient'altro che una battuta, subito
ricacciata indietro dalle valutazioni culturali, dallo sdegno
per l'arte ferita, dalla consapevolezza della dignità dell'arte
contemporanea.
Luther Blissett, nella sua lettera, trasforma quello che per molti
è solo un motto di spirito, in una lucida provocazione.
Che si può condividere o no, ma che non ci è sembrato
giusto buttare nel cestino. A Luther Blissett, il cui intervento
riportiamo di seguito, risponde Paolo Vagheggi, inviato di Repubblica
ed esperto d'arte, nel commento che trovate "linkato"
qui a fianco"[riportato in seguito al comunicato N.d.LB].
COMUNICATO STAMPA
27 gennaio 1999
AD OGNI TEMPO LA SUA ARTE!
LUTHER BLISSETT IN SOLIDARIETÀ A PIERO CANNATA
Ieri, 26 gennaio '99, Piero Cannata è intervenuto sul dipinto di Pollock "Sentieri Ondulati" conservato alla "G.N.A.M." di Roma.
Vi sfido: sfido chiunque dei giornalisti che hanno scritto della sua azione a distinguere la pennarellata di Cannata da uno qualunque degli scarabocchi di Pollock. L'intervento di Cannata è il migliore tributo che persona potesse fare ad un artista quale era Pollock. L'unica differenza che corre tra l'espressionista astratto americano e il performer italiano è che il primo consumava le sue follie in un "contesto artistico" e ricercava, trovandolo, il supporto teorico ed economico di critici e galleristi, senza il quale anche Pollock sarebbe stato probabilmente rinchiuso in un manicomio (sulle pareti, forse, sarebbero appese le sue "opere", sottoposte al ludibrio degli infermieri).
Jackson Pollock non dipingeva, lui sgocciolava, imbrattava, sporcava, nelle sue tele si possono trovare cicche di sigarette e fiammiferi, sputi e quant'altro. Un giorno Pollock urinò nel camino di Peggy Guggenheim, sì, gli pisciò dentro sotto lo sguardo di molti presenti, probabilmente era sbronzo.
La qual cosa divenne immediatamente una delle più celebri "performance" del grande genio, la vita del quale è costellata di azioni come questa. Quel caminetto è tuttora in una delle salette che danno sul canale: quali sarebbero, secondo voi, le razioni dei guardiani dell'attuale "Peggy Guggeneim Collection" se Piero Cannata, o un qualunque anonimo avventore del museo, urinasse nello stesso caminetto? È evidente, non urlerebbero al genio, nella migliore delle ipotesi se la caverebbe con una denuncia.
Chi ha la certezza che l'opera di Pollock si più importante di quella di Cannata? Chi ha la certezza che Pollock non sarebbe stato entusiasta della miglioria? Perché un'opera d'arte deve rimanere appesa ad una parete e nessuno può fare altro che guardarla, quando è evidente che la vista sia solo uno dei sensi cui un'opera debba essere sottoposta (si dovrebbe poter toccare e odorare...) e poi che importa se così facendo le opere deperirebbero più velocemente? È così importante che un'opera rimanga sacra e inviolata all'infinito? Non sono forse proprio i musei che rinchiudono sculture di Calder in stanze chiuse, quando furono proprio ideate per essere esposte all'aperto e mosse dal vento? Non sono sempre i musei che transennano oggetti di Beuys e macchine di Tinguely create proprio per interagire con il pubblico, violandone l'essenza?
Se ciò che più importa di un'opera d'arte è l'intenzione dell'artista che la produsse, allora il quadro di Pollock non era stato certo creato per un teca, e l'intervento di Cannata è lecito e anzi particolarmente azzeccato; al contrario sembra che siano altri i principi che muovono musei e gallerie, cioè solamente il valore economico (cosa cui siamo abituati), ma stando così le cose che non si parli più di sacralità e intoccabibilità dell'arte, ma di puro e semplice valore commerciale.
Cannata è un artista (se questa parola ha mai avuto un senso), a differenza di Pollock, Piero Cannata non scende a compromesi con il sistema dell'arte, non facilita né ricerca l'approvazione di critici e galleristi, non gli interessa, ha cose migliori da fare. Non è il primo caso, si intende, non si può non pensare a casi come Van Gogh, cioè a persone che, non comprese nella loro epoca, sono poi state rivalutate a distanza di anni. E ci piace pensare quanto erano ciechi i contemporanei di Van Gogh, quanto erano ignoranti a non riconoscere il suo genio, ah, che tempi bui erano quelli. Oggi invece... ah oggi sì l'arte è finalmente libera e senza pregiudizi.
Domani Piero Cannata verrà nuovamente rinchiuso in un manicomio, dove ha trascorso i precedenti due anni della sua vita, e ci vorranno decenni prima che, finalmente, gli venga attribuito il suo merito.
Piero Cannata non solo entrerà nei libri di storia dell'arte, ma ci entrerà come uno dei più radicali e innovativi artisti degli anni novanta. Ovviamente bisogna aspettare la posterità.
Luther Blissett, in solidarietà a Piero Cannata
Da "La Repubblica on-line", 2 febbraio 1999
Una risposta alla provocazione "pseudo futurista": Pollock era un artista consapevole, i valori non si annullano
Caro Luther, l'arte è una cosa seria
di Paolo Vagheggi
Forse quella dello pseudo Luther Blissett non è altro che una simpatica provocazione pseudo futurista. Nessuno di noi ha dimenticato la "violenza incendiaria" di Filippo Tommaso Marinetti: "Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie", noi vogliamo liberare l'Italia "dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologhi, di ciceroni e d'antiquari". E in questo caso evviva Pietro Cannata, eleviamolo al rango d'artista. Evviva il martellatore del David, lo sfregiatore di Pollock. Ma se così non fosse, se non fosse una provocazione pseudofuturista bensì il pensiero e il manifesto di un ignorante (da intendersi come colui che ignora)? In questo caso bisognerebbe spiegargli la differenza tra il gesto inconsulto causato dalla follia e il gesto cosciente, voluto, meditato, studiato.
Bisognerebbe spiegargli che Jackson Pollock, contrariamente a quello che avrebbero sostenuto i nazisti, non era un imbrattatele e che la sua non era e non è "arte degenerate". Non erano colpi di pennarello. La sua era una tecnica precisa, studiata, la tecnica del dripping, cioè sgocciolature e spruzzi di colore sulla tela stesa a terra.
Come raccontò Dora Vallier "...La tela è collocata in piano, addirittura a terra; alcuni fori praticati sul fondo di una cassetta di colori industriali consentono al pittore di realizzare il quadro muovendosi e lasciando sgocciolare il colore sulla tela".
Non v'era nulla di casuale come spiegò lo stesso Pollock, morto nel 1956 a soli 44 anni: "Non lavoro partendo da disegni o schizzi. Dipingo direttamente. Di solito dipingo per terra. Mi piace lavorare su una grande tela. Mi sento meglio, più a mio agio con un grande spazio. Con la tela per terra mi sento più vicino al quadro, ne faccio maggiormente parte. In questo modo posso girargli tutt'intorno, lavorare da ogni lato, ed essere nel quadro, come gli indiani dell'Ovest che lavoravano la sabbia... Mi piace usare il colore fluido, che faccio sgocciolare. Utilizzo anche sabbia, schegge di vetro, sassi, cordicelle e tanti altri elementi estranei alla pittura. La tecnica pittorica si sviluppa naturalmente, a seconda della necessità. Voglio esprimere i miei sentimenti, non illustrarli. La tecnica è semplicemente un mezzo per arrivarci. Quando dipingo ho un'idea d'insieme di quello che voglio fare. Posso controllare la colata della pittura, non c'è casualità...".
Si potrebbe continuare a lungo ricostruendo la storia di Pollock, studioso di filosofia e di psicoanalisi, della pittura degli indios, cosciente della lezione picassiana, che visse sempre tra un'angosciante tensione e l'estasi del lavoro, l'esaltazione che nasceva dalla ricerca di un linguaggio personale esistenziale, idenficando se stesso con l'opera d'arte, che lentamente si dilata e quasi assorbe l'energia mentale e fisica dell'autore.
Come ebbe a dire Palma Bucarelli, in occasione della mostra di Jackson Pollock che si tenne presso la galleria nazionale d'arte moderna di Roma nel 1958 "al di fuori di ogni richiamo analogico la pittura può dunque esprimere per se stessa i moti profondi dell'essere; l'intensità dell'emozione sarà tanto più chiaramente espressa quanto più sarà reperibile nella tela la 'quantità' e la 'durata' dell'azione pittorica". Jackson Pollock non è Pietro Cannata. E Pietro Cannata non è Jackson Pollock. Magari c'è chi spera in un totale azzeramento dei valori, si nutre dicendo "ma quello posso farlo anch'io". Non stanno così le cose. E non ci sarà una nuova notte dei cristalli. Luther Blissett o non Luther Blissett.
Caro Vagheggi, il manicomio è una cosa seria, molto più seria dell'arte!
Lutther Blissett risponde a Paolo Vagheggi
di Luther Blissett
È evidente dalla sua risposta che lei, nella migliore delle ipotesi non ha nemmeno letto il comunicato (nella peggiore non l'ha proprio compreso). Non sono così ingenuo da affermare "ma quello posso farlo anch'io", e tantomeno che Jackson Pollock non abbia alcun merito, e questo, si badi bene, non necessariamente perché non lo pensi, bensì per evitare la solita risposta: "Lei non capisce l'arte contemporanea, è un ignorante", che significa, come giustamente ci informa, "ignorare".
Io ho innalzato, o sprofondato a seconda del punto di vista,
Piero Cannata al rango di artista, e la prassi richiederebbe qui
una buona dose di termini quali "tensione post-moderna, empatia,
genio e sregolatezza, tragedia esistenziale", qualche citazione
preferibilmente tratta da libri di amici, mescolare il tutto,
attendere un mesetto, e l'artista è pronto. A quando il primo
vernissage?
È inutile dire che non lo faccio, perché non sono un critico
che si rispetti, perché nella mia cassetta degli attrezzi non
ci sono solo cataloghi ed inviti a mostre, ma anche un martello,
un coltello e qualche pennarello indelebile.
Io non sono un critico che si rispetti, e non lo sono proprio
perché io non riesco ad ignorare.
Purtroppo però le persone che "ignorano" qui siete voi: giornalisti, critici, galleristi, collezionisti; voi, e soprattutto la maggioranza che rappresentate: siete ignoranti! Siete ignoranti perché credete che sia possibile scindere il "bello" dal "brutto", l'"arte" dalla "pazzia", voi avete il potere di rinchiudere un uomo in un manicomio, cioè il potere dell'ignoranza! Io appartengo ad una minoranza talmente esigua che, con tutta l'incultura del mondo, purtroppo o per fortuna, non riuscirei a fare del male ad una mosca (forse giusto ad un giornalista...).
Ci tenete a difendere l'arte di Pollock (del quale, ripeto, nessuno ha messo in discussione il valore) dall'accusadi "arte degenerata", non lo trovate curioso? Mentre appoggiate l'incarcerazione di un "vandalo pazzo, degenerato e fanatico" mi parlate della profonda tragedia che pervade l'opera di Pollock, il quale è morto miliardario e più che compreso!
<<...idenficando se stesso con l'opera d'arte, che lentamente
si dilata e quasi assorbe l'energia mentale e fisica dell'autore>>
non sono forse queste parole perfettamente adattabili alla vita
di Piero Cannata?
<<Non v'era nulla di casuale nell'arte di Pollock>>
già, perché ovviamente quello di Cannata è un gesto inconsulto
causato dalla follia... Cannata che da ben nove anni persegue
un'idea talmente lucida e rigorosa da fare invidia ad un Fontana;
Cannata che progetta le sue azioni con mesi di anticipo; Cannata
che è disposto a tutto pur di portare a termine ciò in cui crede.
No, Piero Cannata non è un pazzo (la follia non esiste... ma
questa è un'altra storia). Lo è solo quel tanto che basta per
superare di qualche centimetro i sacri ed inviolabili confini
dell'Arte, quel tanto che basta per non cercare un critico che
lo appoggi e un gallerista che lo promuova.
Paolo Vagheggi, Maurizio Calvesi, Bonito Oliva e chi più ne
ha più ne metta: voi siete proprio il genere di persone che nel
1909 si sarebbero stracciate le vesti al solo udire il nome "Futurismo",
e nel '17 vi sareste solennemente indignati perché un orinatoio
era esposto in una galleria, e nel non mi ricordo più quando
avreste protestato esterrefatti perché un artista stava vendendo
la propria merda a peso d'oro. È facile, a distanza di mezzo
secolo, organizzare retrospettive dadaiste e futuriste, sfornare
monografie sui vari Marinetti, Breton e Tzara, tutte persone che,
ahimè, sono morte e sepolte.Voi recuperate, ma quando proporrete?
Ecco la risposta: lo faranno i vostri nipoti per voi, sì, tra
qualche decina d'anni, quando le acque si saranno calmate, quando
Piero Cannata sarà assolutamente innocuo (perché morto o inbottito
di farmaci), quando Alexander Brener sarà maturo per i musei,
quando Luther Blissett sarà solo un fantasma (pensare che lo
è già ora!), allora sì darete inizio ai banchetti delle rivalutazioni,
e via con articoli mostre e cataloghi e magliette e Cdrom.
No, non siete voi che fate la storia. Nemmeno io, si intende.
Piero Cannata forse sì, se non altro ci sta tentando.
"Purtroppo stanno così le cose. E ci sarà una nuova notte dei cristalli. Luther Blissett o non Luther Blissett".
Paolo Vagheggi (leggermente modificato...)