3. Rendez-vous coi ribelli:
Intervista a Coleman Healy

 

"Capo... sta venendo su uno. Uno serio."

Luc Besson - Leon, 1995

 

Nato a Sacramento (California) nel 1960, Coleman Healy è attualmente uno dei body-artisti più radicali nell'underground planetario delle subculture. Negli ultimi dieci anni ha lavorato con i Krononauts a Baltimora e con la Chiesa del Subgenio, rivoluzionando completamente ed esasperando le concezioni anti-artistiche di questi movimenti.
Nel 1992, insieme a Ron Athey (un terrorista teatrale di New York), Healy ha fondato la Body Modification Community e oggi organizza regolarmente molte performance-pirata (che lui chiama "raves") nell'ambiente underground della costa orientale e in quello londinese. Non c'è mai un cartellone ufficiale, ma gli annunci dei suoi spettacoli viaggiano attraverso il tam-tam metropolitano e spesso i ravers giungono anche da posti lontani alcune centinaia di chilometri per assistere e soprattutto per partecipare. Sfortunatamente questo ha l'effetto negativo di mettere le forze dell'ordine in massima allerta e le perfromance presto vengono interrotte dall'irruzione di adirati ma cauti poliziotti. Di solito infatti la B.M.C. utilizza sangue infetto nei suoi lavori oltre a frattaglie animali e arti amputati sottratti agli ospedali. Le performance quindi sono praticamente disgustosi e putridi riti di estatico autolesionismo (Branding, Scaring, eccetera...).
Il maggior successo Healy lo ha ottenuto sulla scena underground del Regno Unito. Lì trascorre regolarmente almeno sei mesi all'anno in compagnia del suo amico e seguace il "Reverendo"William Cooper, acclamato autore di Radical Sex (Exit communications Ltd., London, 1995), un libro che è diventato rapidamente il nuovo manifesto libertario degli anni '90. Dermographics è il nuovo nome che Healy dà alle sue pratiche. Ogni incontro è un evento che non si dimentica facilmente e che di solito riesci a vedere fino alla fine soltanto se hai uno stomaco forte. Si tratta di scaring, branding e altre tecniche di "insurrezione corporea", che rivelano il vero significato delle due espressioni preferite di Healy: "filth is freedom"e "splatter is the lighter side of matter".
Il 1994 è stato un anno di buon raccolto per Healy. Gli eventi in Rwandah sono diventati il trampolino ideale per African Slaughterhouse - I Need A Blow Job, allestito in uno squat di Londra in commemorazione dei recenti bagni di sangue on line, goduti grazie alla totale copertura CNN degli eventi.
Nel novembre dello stesso anno Healy, con l'aiuto di Ron Athey, ha organizzato uno spettacolo intitolato 4 Scenes From A Hard Life, nella palestra della Public School 122 a New York. Mentre Athey e Healy tracciavano figure sacre sui corpi di volontari sieropositivi appesi a una carrucola, la polizia ha fatto irruzione ed ha arrestato i performers.
Il sindaco di New York Rudolph Giuliani si è fatto un punto d'onore di questa operazione repressiva e ha promesso ai suoi allarmati sostenitori che "nessun mezzo sarà tralasciato per debellare questa gang di terroristi dell' A.I.D.S."
L'attività di performer non è l'unica a riempire la vita di Healy. Un altro aspetto interessante è la sua decennale amicizia con il recentemente scomparso Ray Johnson e il suo svolgere un ruolo carismatico nel circuito internazionale della Mail Art.
Per sbarcare il lunario e pagarsi i viaggi in giro per il mondo Healy scrive sceneggiature per vari serials americani (ricordiamo tra tutti i più noti Dream West, Paper Dolls e Bare Essence), ma si rifiuta categoricamente di recitare o compiere qualunque azione di scena davanti a una telecamera. La sua filosofia d'azione è assolutamente anti-spettacolare e privilegia il contatto diretto col pubblico. Questo trova riscontro anche nella scelta dei luoghi per le sue performance: strade, scuole, mezzi di trasporto pubblico (memorabile e divertentissimo il suo Sub-way Portrait, nel quale con una muta da sub e tanto di bombole, pinne e un polpo vivo in braccio prendeva la metropolitana alla Euston Station per poi scendere a Greenwich e tuffarsi nel canale).
L'ultimo coniglio uscito dal cilindro di questo poliedrico anti-artista sembra essere il cosiddetto Luther Blissett Project, un "assalto culturale" che prevede l'utilizzo da parte dei partecipanti di un nome collettivo, Luther Blissett appunto, dal nome dell' ex-centroavanti giamaicano del Watford. Verità o leggenda metropolitana? A questo punto non ci meraviglieremmo più di niente.
(Estratto da: The Indipendent del 30/3/95).

 

Intervista

 

Luther Blissett: Come è nata l'idea del Multiple Name e quando si è cominciato a parlarne?

Coleman Healy: Beh... Se proprio dovessimo individuare una data, credo che si potrebbe partire dall'autunno del 1992, quando Fundi ci invitò a casa sua per il Meeting Pan-americano sulla Sovversione.
Mi arrivò per posta un invito a questo MPS da parte di un situazionista giamaicano, Fundi appunto. Per la verità non è che Fundi avesse mai avuto gran che a che fare con l'Internazionale Situazionista di Debord & co. Non credo nemmeno che gliene fosse mai importato molto dei destini dei situazionisti europei. Era un gesto abbastanza autoironico quello di essersi battezzato 'Sezione Caraibica dell'I.S.', visto che era solo lui. Io lo conoscevo tramite il circuito della Mail-Art. Avevo letto un suo opuscolo scritto nell'85 riguardante i fatti di Grenada nel quale sfotteva l'ottusità dei 'marxisti' locali. Questi pretendevano di dare all'insurrezione nata spontaneamente un imprinting dogmatico-teorico.
La demenzialità stava soprattutto nel fatto che Grenada ha una popolazione di poco più di centomila abitanti e una superficie di appena 350 chilometri quadrati. Non si capisce che bisogno avrebbero avuto quei centomila di un partito-guida! Poco ci mancava che fossero tutti parenti...
L'opuscolo di Fundi mi era capitato tra le mani verso la fine dell'86 e a suo tempo avevo scritto al suo indirizzo postale di Falmouth, per prendere contatti. Qualche settimana dopo mi era arrivata per posta una sua foto: era un classico rasta nero con tanto di dredlocks, ma dallo sguardo molto sveglio.
Nel '92 Fundi mi spedì l'invito a questo Meeting.
Non so a quante persone lo mandasse, ma da quel che ho avuto modo di capire in un secondo tempo la scelta degli invitati era stata molto meticolosa.

L.B.: Hai idea del perché tu fosti scelto?

C.H.: Credo per la mia notorietà nell'ambiente ultra-radiacale e per la mia amicizia e collaborazione decennale con Ray Johnson, che fu uno degli invitati.

L.B.: Chi erano gli altri partecipanti al meeting?

C.H.: Appunto Ray, grande padre della Mail-Art, che per i rispettivi impegni di lavoro non vedevo da tempo. Credo sia stata una delle pochissime volte che ha lasciato lo stato di New York... Joseph Georges, un haitiano che aveva lottato contro la dittatura di Duvalier e poi contro quella dei suoi generali utilizzando una radio cattolica - Radio Soleil. Parlò della sua esperienza personale: pare che fosse riuscito a dare vita a una rete nazionale di solidarietà, nella quale, per la prima volta, studenti, professori, sacerdoti e rappresentanti delle organizzazioni di quartiere e contadini lavoravano insieme. Tutto era finito in vacca grazie ai vescovi locali che avevano assunto posizioni concilianti coi militari e avevano deciso di cambiare la redazione della radio...
Poi c'era una inglese, aspetta, come si chiamava...? Gladis se non sbaglio, sì Gladis... non ricordo il cognome... ma non parlò gran che, era una tipa timida che continuava a prendere appunti con una calligrafia tonda. Ricordo che beveva un sacco di tè freddo, litri e litri al giorno... . Poi c'era un messicano, un certo Marcos.

L.B.: Quel Marcos? Il subcomandante Marcos?

C.H.: Non so se si trattasse della stessa persona... Marcos è un nome molto comune in America Latina. E comunque credo che ormai nessuno possa più stabilirlo con esattezza. Oggi Marcos è diventato un nome collettivo per chiunque nel mondo vuole affiancare la lotta dell'EZLN.
I discorsi del Marcos che incontrai io furono molto interessanti. Il tema che sviluppò fu quello della possibilità di una lotta comune nel Nord e nel Sud del mondo per la creazione di uno spazio di discussione, di una rete d'opinione e d'azione che portasse avanti delle rivendicazioni libertarie. La sua analisi partiva dalla constatazione che la mondializzazione del potere capitalistico si è ormai compiuta, così come si è compiuto il totale decentramento del potere stesso. Conseguentemente le strategie di lotta non potevano più basarsi su vecchi schemi teorico-pratici. In America Latina secondo lui occorreva innanzi tutto riguadagnare lo spazio di discussione, riuscire a porre i problemi all'attenzione dei vari governi ubriachi di balle neoliberiste. Il suo continente aveva visto generazioni intere di rivoluzionari scivolare nell'ombra della burocratizzazione e delle ideologie prese a prestito dal Nord sviluppato. Anche all'interno dei singoli paesi non era più pensabile una lotta di liberazione in senso classico.
Bisognava fare i conti con una nuova realtà.
L'esempio che portò - lo ricordo come fosse ora - fu quello dei licenziamenti in massa agli stabilimenti della Volkswagen a Città del Messico proprio nell'estate di quell'anno. In una situazione del genere, i quarantamila che si erano trovati da un giorno all'altro in mezzo alla strada, non avevano ottenuto un bel niente piantando le tende in Plaza de la Costitution per una settimana. Il loro datore di lavoro era a migliaia di chilometri di distanza e non potevano farci niente...
Ricordo che disse una cosa tipo: 'Non si raccoglie acqua con una rete da pesca'. Mi piacciono le metafore dei latinoamericani: intendeva dire che se il potere capitalistico era diventato fluido, non aveva senso cercare di costituire un fronte. Occorreva combattere in modo nuovo.
Ti dirò, si vedeva che era un tipo disilluso e con le idee chiare. Personalmente ero molto in soggezione nei suoi confronti.
Capisci? Non era più il vecchio internazionalismo, il gemellaggio tra partiti politici e roba del genere... Era andare direttamente al nocciolo della questione: linkare le attività mantenendo le necessarie differenze e potenziandone così l'efficacia e l'originalità.
Disse che era assolutamente stufo di petizioni di solidarietà e di collette internazionaliste. Voleva vedere agire la gente nel posto in cui viveva, perché la loro lotta poteva essere anche la sua e viceversa. Ognuno con le armi adatte al proprio mondo. Johnson si trovò assolutamente d'accordo con Marcos. Fu lui a coniare il termine Network degli Eventi.

L.B.: Cioè?

C.H.: Devi sapere che Ray aveva sperimentato per anni le possibilità di comunicare orizzontalmente attraverso gli indirizzari sterminati della Mail-Art. Ora però si poneva un problema di prassi. Occorreva andare oltre...concretizzare il Network degli Eventi in un'azione reale destabilizzante e sovversiva.
Ray si rendeva perfettamente conto che le esigenze e i rapporti di forza variano da situazione a situazione. L'America Latina non è il Nord America né l'Europa. Ma proprio per questo voleva costruire una rete di contatti attivi a livello planetario (attraverso la posta, la telematica e quant'altro...) che potessero canalizzare l'attenzione su eventi specifici e crearne a loro volta.
La proposta di Johnson mi entusiasmò moltissimo. Non era certo il primo a teorizzare il collegamento orizzontale, dai migliori filosofi ai peggiori cazzari ne hanno parlato, ma qui si prospettava la creazione di una rete globale. Era un'impresa mai tentata prima.
Ricordo che dopo gli interventi di Marcos e Johnson facemmo una pausa per andare a mangiare. Io mi misi a correre perché non riuscivo a contenere l'entusiasmo e feci una doccia fredda.
Quel pomeriggio toccò a me intervenire. Devi sapere che io e Ray eravamo stati in contatto con l'ambiente Neoista americano e inglese. Era stato in quel giro che negli anni '80 si erano tentati i primi esperimenti di multiple names.

L.B.: Ti riferisci a Monty Cantsin...

C.H.: Appunto. E qui in Inghilterra a Karen Eliot. Ero venuto a sapere delle iniziative dei Neoisti tramite la Mail Art, ma l'occasione di approfondire quelle tematiche l'ho avuta solo nell'88 a Londra, al I Festival del Plagiarismo. Lì ho incontrato per la prima volta Stewart Home e Richard Essex e abbiamo parlato a lungo delle nostre attività. È stato allora che siamo diventati grandi amici, per via di Nurse...

L.B.: Nurse?

C.H.: Sì, un tipo molto rancoroso che voleva picchiare Stewart perché lui lo aveva sfottuto in un suo pamphlet o qualche idiozia del genere... Credo fosse un anarchico o un trotzkista, adesso non ricordo bene. Comunque lo atterrai proprio un attimo prima che potesse rompere una bottiglia sulla testa rapata di Stewart. Stewart non si è fatto niente. Così ci siamo conosciuti.

L.B.: E Nurse, che fine ha fatto?

C.H.: Si è rotto il naso cadendo giù dalla balconata...Eravamo su un piano rialzato e lui è finito di sotto. Non credo di aver fatto apposta comunque... Devo confessarti che mi capita sempre più spesso di dover tirare fuori quel provocatore di Stewart dai guai... Ma scusa, mi stavi chiedendo dei multiple names... Beh, quegli esperimenti - Monty Cantsin e Karen Eliot intendo - pur con tutto il loro valore di esperienze originali e interessanti, come sai hanno avuto il grosso limite di rimanere relegati all'ambiente artistico. Quindi bisognava stabilire se era pensabile un allargamento della pratica del multiple name anche al di fuori di una ristretta cerchia di intellettuali, per estenderla all'intero network degli eventi. Quando presi la parola, quel pomeriggio al Meeting, azzardai l'ipotesi che forse il multiple name avrebbe potuto essere una buona soluzione per garantire almeno due cose essenziali.
Innanzi tutto l'invisibilità nei confronti del potere. È importante riuscire a non essere individuati se si vuole rimanere fluidi. E allo stesso tempo è necessario farsi conoscere e raggiungere il maggior numero di persone possibile. Soggetti diversi, in contesti diversi, avrebbero potuto agire portando la stessa maschera. Questo avrebbe reso difficile il recupero spettacolare, nonché l'identificazione poliziesca, e allo stesso tempo avrebbe garantito la notorietà e l'efficacia, perché l'azione singola di ogni piccolo gruppo si sarebbe inserita nel quadro dell'azione generale di tutti i gruppi. Capisci? Sfuggendo il tallone di ferro del Codice, della Nominazione, quali psicosi avremmo creato negli anfratti reconditi del potere? Ci si apriva davanti un vastissimo terreno inesplorato. Occorreva fare qualche ricognizione.
In secondo luogo si tratta di un'esperienza esistenziale fondamentale. C'è una frase di Orson Welles che definisce bene quello che voglio dire: "In un mondo perfetto, chiunque dovrebbe potere prendersi una vacanza dalla propria identità di tanto in tanto". Ecco credo che sia molto vero. L'epoca in cui viviamo è caratterizzata dal riemergere di identità forti, ancestrali, e comunque strumentali e fittizie. La difesa di identità pure (e quindi artefatte), culturali, etniche, religiose, ecc... è un compito che preferisco lasciare ai reazionari di tutto il mondo. Serve alla destra per prendere il potere e al capitale per mantenere il controllo mondiale: tanti micro-conflitti fanno una grande Pax Augusta nella quale ingrassano i mercanti di armi.

L.B.: Pensi che non dovrebbero essere tutelate le minoranze... ?

C.H.: No, non penso questo. Quello che voglio dire è che non abbiamo alcun bisogno dell'identità. È un concetto fittizio, strumentale, di cui dobbiamo sbarazzarci. E non solo per quel che riguarda la razza, ma anche la cultura. Ogni cultura è frutto di una serie infinita di meticciati ed è in continua trasformazione, non può risolversi in un'identità. È questo che le minoranze dovrebbero sbattere in faccia a chi - in nome dell'identità - le vuole schiacciare! Non difendersi con le stesse armi di chi le opprime!
Fin dal suo emergere come potere colonialista, il capitalismo occidentale si è caratterizzato per questa assegnazione di identità e gerarchizzazione delle culture. E vedi... il guaio è che è riuscito ad imporre lo stesso modo di pensare anche agli altri. La verità fin troppo banale è che chiunque - al di là della pigmentazione della pelle, della cultura, religione, attitudini sessuali eccetera - va tutelato nella libertà di essere quello che gli pare. Ma l'ideologia vuole costringerci a sentirci tutti 'appartenenti' a identità predefinite. Assecondare questo gioco significa lasciarsi dominare. Il modo migliore di fottere le potenzialità di cambiamento è vincolare la gente al senso di appartenenza - e possibilmente lasciarle solo quello - così da osteggiare il meticciato, l'incontro con persone diverse, quindi il cambiamento e l'arricchimento reciproco... insomma, le cose interessanti della vita. Su questo i reazionari occidentali - tanto di destra quanto di sinistra - si trovano in perfetto accordo con gli integralisti islamici - cioè i fascisti arabi. Sono le due facce della stessa medaglia.

L.B.: Vorrei trascinarti su un altro argomento... Una settimana fa Ray Johnson si è suicidato. Come te lo spieghi? Forse la pista che credevate di aver scoperto quel giorno in Giamaica si è rivelata più accidentata del previsto...?

C.H.: Perché pensi che se uno si suicida ciò significhi automaticamente che era triste e frustrato? Ray Johnson ha compiuto la performance più bella della sua vita... Non credo che io e te riusciremo ad andarcene con altrettanto stile... E comunque adesso anche il suo è diventato un multiple name utilizzabile da chiunque...

L.B.: Eri rimasto in contatto con lui dopo il meeting?

C.H.: Beh, nel '94 io e lui abbiamo lanciato insieme a Harry Kipper e alla Neoist Alliance il Luther Blissett Project. Per un anno ci siamo dati da fare per diffondere il nome in ogni ambiente. Per tutto il 94 - come Harry già faceva da qualche anno - ho usato il nome per firmare le mie azioni sceniche. In quel periodo Harry è venuto a fare un giro in bicicletta giù in Italia e ha preso contatto con voi. Mentre io e Ray abbiamo cercato di coinvolgere il maggior numero di terroristi culturali nella cosa...

L.B.: Ad esempio chi?

C.H.: Beh, in Italia, Vittore Baroni... Ho approfittato del fatto che Stewart lo aveva conosciuto al cosiddetto Festival Neoista di Pontenossa, nell'85. Quando si trattò di cercare collaborazioni per lanciare il progetto è stato uno dei primi che abbiamo contattato. E infatti ci ha fornito subito una serie di idee pubblicitarie interessanti... Negli ultimi mesi invece io e Ray non ci eravamo visti molto. Sai, io ho passato dei lunghi periodi in California con Athey ad occuparmi della fondazione di questo Luther B. Center for the Arts (1) e così non ho potuto essere qui. Mi pare che in una lettera Ray accennasse al fatto che voleva andare in Messico per uno dei suoi strani affari. La cosa mi ha lasciato sbalordito perché non era un gran viaggiatore, anzi, direi proprio che faceva fatica a superare il cortile di casa...

L.B.: Toglimi una curiosità: perché sceglieste proprio Luther Blissett?

C.H.: Fu per via delle figurine dei calciatori: dieci anni fa un mail artista inglese si era messo a mandare in giro figurine di calciatori a tutti i suoi corrispondenti. Ci faceva delle composizioni, dei collages. Alcuni erano davvero molto belli. Insomma Harry aveva letto quel nome, che secondo lui aveva un suono bellissimo... Ed è vero: non solo è molto musicale, ma se ci pensi il nome Luther ha una pronuncia molto simile a quella di 'looter', con due òò(2). Se ci aggiungi 'bliss'(3) il gioco è fatto: dà l'idea di una razzia gioiosa, di uno sciacallaggio felice... Harry stava già usando questo pseudonimo per firmare alcuni dei suoi video e delle sue performance. È stato il primo nome a venirmi in mente quando si è trattato di scegliere il multiple name. Non è perfetto?

L.B.: Hai più saputo niente degli altri partecipanti al Meeting?

C.H.: So che Fundi è ancora attivo in Giamaica, mi scrive spesso. Con Marcos avevamo iniziato una corrispondenza, ma dopo un po' le lettere che spedivo al suo indirizzo di Città del Messico hanno cominciato a tornare al mittente. Ad ogni modo non faccio fatica a credere che possa avere preso contatti anche indiretti con gli Zapatisti. Da quel che so nel Chiapas hanno adottato la pratica del Multiple Name secondo le esigenze locali, che sono chiaramente molto diverse dalle nostre. Credo sia un'esperienza di lotta interessante proprio perché - come dice il subcomandante Marcos - non ha niente a che fare con le passate guerriglie rivoluzionarie dell'America Latina. Trovo anzi patetico che molti intellettuali e compagni in Europa corrano a dare la propria solidarietà nominale e a rispolverare le vecchie magliette di Che Guevara.

L.B.: Perché?

C.H.: Perché il Che - senza voler togliere nulla alla sua storia di rivoluzionario e combattente - è quella che io chiamo un'icona chiusa, cioè che ha già espresso quello che poteva esprimere, che ha percorso tutto il cammino classico: da simbolo di lotta libertaria per una generazione a icona pop per l'industria delle magliette.
Il parallelo con Marcos dimostra che l'Occidente sviluppato è privo dei parametri culturali per comprendere il fenomeno del Chiapas e spiega perché un sacco di gente si accanisce a cercare di farlo rientrare per forza nei modelli del passato. In reltà nella lotta dell'EZLN non c'é niente del romanticismo che la sinistra europea cerca. C'é anche poco marxismo, inteso in senso ortodosso, a essere onesti. C'é invece una lucida analisi politica e sociale e un nuovo modo di concepire la guerriglia, basato sull'invisibile visibilità dell'EZLN e sull'uso del multiple name -Marcos'. Non si tratta di una lotta di liberazione in senso stretto, gli zapatisti non vogliono conquistare militarmente un territorio per liberarlo. Non cercano nemmeno lo scontro aperto con l'esercito regolare... L'EZLN c'é e basta. E questo è già sufficiente a porre un problema all'ordine del giorno: quello del Chiapas e delle aree sottosviluppate - problema che altrimenti verrebbe considerato secondario.
L'icona Marcos è un'icona aperta, cioé viva: i suoi contorni sono elastici e tratteggiati. Come dice lo stesso subcomandante in più di un'intervista, il passamontagna che i guerriglieri indossano non serve a celare l'identità di chi combatte, quanto a permettere a chiunque, nel Chiapas e nel mondo, di partecipare alla sua lotta: di spacciarsi per lui, di essere Marcos come lo è lui. È per questo che sfrutta le reti telematiche per lanciare messaggi verso l'esterno. Vuole costruire il network.
Così qui nel Nord il Luther Blissett Project offre una possibilità a chiunque voglia inserire la propria creatività, fantasia, rabbia, frustrazione eccetra - in una rete che ne moltiplichi la risonanza mediologica e l'effetto pratico. Questo network si sta sviluppando, ma occorrerà del tempo... La lotta nell'Occidente post-industriale dal punto di vista strategico non È meno dura che nel Chiapas. È vero che qui non rischi di venire ammazzato, ma in compenso i metodi di repressione culturale sono molto più raffinati che in Messico.
Occorrerà alimentare il terrorismo culturale ad ogni livello - io preferisco chiamarla Guerra Psichica - e non accontentarsi delle vecchie strategie come non si è accontentato Marcos. Si tratta di far nascere nuovi bisogni anche qui, dove non si muore (per ora) di fame ed epidemie, ma dove la noia, la disoccupazione e l'inconcludenza regnano incontrastate.

L.B.: E fin ora come si è sviluppata la pratica del nome collettivo?

C.H.: Beh, senz'altro l'area interessata è vasta. Blissett è dilagato dal Regno Unito verso gli Stati Uniti, l'Italia, l'Olanda, la Germania, l'Austria, la Finlandia e credo anche l'Ungheria. Penso che non ci si possa proprio lamentare.
Addirittura il mese scorso alcuni file firmati Luther Blissett sono apparsi su una BBS australiana di Perth. Ho un'amica all'università di Perth, Sonya Jeffery, che è ricercatrice di antropologia e lavora spesso con le comunità aborigene del West Australia oltre ad essere membro della N.I.M.A.A. (4). Pare che il L.B.P. abbia preso piede tra gli Aborigeni ritornati. Sai, quelli che ogni tanto lasciano giacca e blue jeans e passano dei periodi in tribù nel loro territorio d'origine... Sono in molti a fare così, una vera e propria sottocultura trasversale. Sonya dice che i più politicizzati tra loro usano il multiple name per azioni di sabotaggio e per firmare rivendicazioni e petizioni. Lo usano soprattutto per non farsi registrare dall'Aborigenal Protection Board, l'istituto governativo che dovrebbe controllarli e procurargli il lavoro: danno tutti lo stesso nome così quelli impazziscono e continuano a spostarsi per giorni e giorni a cercare di capirci qualcosa...
Sonya mi ha spedito anche il CD di un gruppo rock multietnico di laggiù che si è ribattezzato da poco Luther Blissett, i Koncealed Konceit, li conosci?

L.B.: No. Comunque tutto questo suona incredibile...

C.H.: Non direi... anzi, è probabile che culture non individualiste - cioè che non impostano la loro struttura sociale sull'idea di individuo - come appunto quella aborigena, recepiscano meglio la pratica del multiple name... è chiaro che la adattano alle loro esigenze e ai loro schemi culturali, ma del resto i concetti sono fatti per essere usati, sarebbe assurdo pensare di salvaguardarne la presunta purezza ideale, non trovi? Pensa che dall'Australia mi arriva per posta la rivista che fanno, Limit Of Maps. Ed è la miglior rivista di psicogeografia che abbia mai letto. Il finanziatore è uno che conosci sicuramente, Bernard Hickey.

L.B.: Il critico letterario?

C.H.: Proprio lui. Da quando è andato in pensione ha un sacco di tempo a disposizione e si diverte a fare cose del genere insieme a Robert Bropho, un nativo impegnato sul fronte della difesa degli aborigeni. Bropho deve essere piuttosto noto laggiù. Dovresti leggere qualcuno dei suoi racconti...

L.B.: Capisco. Ma non hai paura che proprio grazie a questa malleabilità un movimento reazionario possa appropriarsi di questa pratica e farne un uso razzista o peggio?

C.H.: Capisco cosa vuoi dire. Ma vedi, è molto difficile che un razzista, un nazionalista o comunque un reazionario riesca anche solo a comprendere cosa significa e cosa implica la pratica del multiple name. Non credo sarebbe in grado di usarlo per i propri scopi. è vero che anche il pensiero reazionario, nel suo filone più mistico ha prodotto fenomeni di identificazione collettivà. Ma è proprio qui la differenza. In quei casi si è trattato di un'identificazione delle masse con una figura carismatica - come spiega Weber -, con un leader, un dominatore, un capo politico... Si è trattato della costruzione di una macro-identità spettacolare che ha assorbito tutte le altre, che le ha fagocitate e asservite al proprio volere.
Il progetto di multiple name funziona esattamente al contrario. Innanzi tutto, la macro-identità nella quale le soggettività confluiscono è palesemente fittizia, cioè si esalta la fama di un fantasma, che proprio per questo risulta manipolabile collettivamente. Non c'é identificazione, non si aderisce a una soggettività già data, ma si partecipa alla sua costruzione libera e fantasiosa. È un gioco, come se una marionetta venisse fatta muovere da milioni di fili sul palcoscenico del mondo.
Questo ci aiuta a liberarci dell'aspetto negativo dell'individualità, intesa come ideologia borghese storicamente determinata. Non è tornare alla dimensione del mito eroico e a un modello sociale pre-capitalistico - come vorrebbero i catto-fascisti che esaltano lo stato etico - ma è andare oltre l'ideologia dell'Individuo, dell'Indivisibile - del genio creativo, dell'artista - che conserva ancora troppo idealismo, e riscoprire invece la dimensione del racconto collettivo, come semplice narrazione in cui tutti sono raccontati e immaginati da tutti.

L.B.: Insomma è come se tutti gli Star Trek fan club sparsi per il mondo partecipassero alla stesura delle sceneggiature del serial...

C.H.: Esempio azzeccato! Johnatan Frakes, l'attore che nella seconda serie interpretava il Comandante Riker, è assolutamente favorevole a un'idea del genere. Mi diceva che ha provato più di una volta a fare pressioni sulla produzione perché allargasse la partecipazione creativa in questo senso.

L.B.: Dici sul serio?

C.H.: Ho conosciuto Frakes ai tempi in cui girava Paper Dolls e ogni tanto ci sentiamo ancora. Personalmente sono un fan di Star Trek. Anche Frakes come noi crede che la proprietà privata della cultura di massa sia una contraddizione in termini. Questo fin dall'inizio della sua carriera, quando impersonava Capitan America per le inaugurazioni dei supermercati. Mi ha raccontato che già allora protestava contro gli organizzatori sostenendo che il suo era un personaggio pubblicò - il simbolo dell'America libera - e che era ingiusto prestarlo agli interessi privati dei grandi trust.

L.B.: Eppure - anche alla luce di questo discorso - non trovi che forse gli ostacoli che abbiamo davanti siano troppo grandi... Credi davvero che tramite il network degli eventi e il multiple name sarà possibile far nascere nuovi desideri e cambiare il mondo?

C.H.: Non ne ho la più pallida idea. L'unica cosa che posso dirti è che se vogliamo evadere dal carcere dell'arte non bisogna dimenticare che anche l'intellettualità può trasformarsi in un riformatorio quando diventa autoreferente. Dovremo essere pop come Star Trek, dovremo ripartire dal potenziale di vita frustrato dentro ognuno di noi e cercare di proiettarlo nel mondo circostante. Cito ancora Marcos quando dice che non sa cosa farsene di un'avanguardia che è talmente all'avanguardia da non poter essere raggiunta da nessuno... è terribilmente vero. Non si può far finta che tutti abbiano il nostro stesso grado di consapevolezza o i nostri stessi interessi e bisogni, anzi, sarebbe presuntuoso e ingiusto pretenderlo.
Ognuno ha i propri desideri e frustrazioni. Il mio fegato è diverso dal tuo! Ma - sarò scontato - la società capitalistica nega appunto questa differenza e ci vuole tutti uguali, con gli stessi desideri e le stesse frustrazioni. È per questo che dobbiamo darle un'immagine angosciante di se stessa, metterla davanti allo specchio, metterle davanti un fegato, il suo fegato pieno di bile e di vermi. Perché nasca il desiderio comune di smantellarla.

 

NOTE

1. 50 Mark West Springs, California 95403, U.S.A.

2. looter: predatore; saccheggiatore; predone; sciacallo (Il Nuovo Ragazzini, Dizionario Inglese-Italiano Italiano-Inglese a cura di Giuseppe Ragazzini, II ed., Zanichelli, Bologna 1987).

3. bliss: grande gioia; felicità perfetta; beatitudine. (Ibidem).

4. The National Indigenous Media Association of Australia, suite 3, 25-27 Cordelia St., South Brisbane, QLD 4101, Queensland, Australia

 

 

...Tra tre e quattro...

 

"Che cosa credi?", domandò Gimli.
"Credo che il nemico abbia portato con sé il proprio nemico", rispose Aragorn.

J.R.R. Tolkien - Il Signore degli Anelli, libro III, cap.II.

 

Siamo seduti intorno a un tavolo insieme a Healy, Athey, Kipper e Marcos per una partita di Dungeons & Dragons. Scegliamo un personaggio e lanciamo i dadi per stabilire quali caratteristiche fisiche e psicologiche esso avrà dall'inizio alla fine della giocata. Possiamo essere un guerriero, un mago, un ladro, un elfo, un nano, eccetra... Inoltre possiamo servire il Bene o il Male oppure essere Neutrali, avere certe armi, certe abilità particolari e via dicendo.
C'é qualcuno che funge da supervisore in questa laboriosa operazione: il Dungeon Master. Costui è l'avversario di tutti i giocatori. È lui che inventa il contesto, costruisce i dungeons, crea gli ostacoli nel cammino che la comitiva di avventurieri dovrà compiere. I giocatori avranno sì un margine di deliberazione, ma sempre all'interno delle opzioni che il Dungeon Master prestabilisce.
D&D è il gioco della rappresentazione. Ossia ciò a cui l'ideologia dominante vuole costringerci.
A ciascuno dei partecipanti viene assegnata un'identità e si costruiscono degli avversari ad hoc per impegnarlo. Soggettivamente egli/ella crede che la sua battaglia sia importante, vitale, necessaria... ma sta soltanto incrociando la spada con un fantasma, con una marionetta mossa dal Dungeon Master. Al prossimo crocicchio del dungeon è già pronto un nuovo avversario che distolga l'attenzione del giocatore dalla strada per l'uscita.
Il difensore dell'identità è il giocatore stolto che in buona fede si accanisce contro le ombre e non si accorge di restare fermo. Sta accettando il terreno di sfida che gli offre l'avversario in cui quest'ultimo sa di poterlo neutralizzare.
Come si esce dal dungeon? Semplicemente - ma si fa per dire - riuscendo a essere più scaltri, imprendibili e creativi del Dungeon Master. Bisogna insomma rendersi conto che oggi davanti all'alienazione e all'espropriazione del soggetto non serve a niente cercare di difendersi chiudendo il soggetto stesso nella "riserva"identitaria. Essa è la sua morte, la sua negazione definitiva. Oltretutto un'Identità si stabilisce sempre sulla base di una Tradizione, cioè di un dominio del passato sul presente: già questo dovrebbe farci intuire che si tratta di un concetto che ci è stato messo a disposizione per mandarci in battaglia con una spada di plastica.
Solo un contrattacco che parta dall'evasione e dalla dissoluzione creativa del soggetto nel mondo può spiazzare il Dungeon Master, che si trova così a non sapere più contro chi scagliare i suoi cavalieri.
Nel depliant illustrativo distribuito per la performance The Weak Wanker, svoltasi a Londra nell'aprile del 1995, Coleman Healy scrive:

"A un'esperienza che si consuma nell'assenza del soggetto può rispondere solo il progetto di un multiversum, le differenze com-possibili che si fissano policentricamente nello spazio sgombrato"(la traduzione è mia).

Most Advanced D&D. I giocatori scelgono i personaggi, gettano i dadi, stabiliscono le loro abilità. Ma questa volta le regole sono cambiate: nessuno di loro comunicherà al Dungeon Master quali sono i risultati ottenuti. Nessuno consegnerà più al Dominio la propria carta d'identità di Nano, Guerriero o Elfo. Anzi, a seconda delle situazioni i giocatori scambieranno i loro personaggi e le loro carte-avventura e si considereranno un unico, polimorfo, personaggio.
Chi è Gimli? Dove è finito Aragorn? Una carta d'identità che brucia. Ecco una bella sequenza iniziale per il nostro film.

Identity is the crisis
can't you see
identity
identity
When you look in the mirror do you see yourself
do you see yourself on the t.v. screen
do you see yourself in the magazine
when you see yourself does it make you scream

"Identity"- X-Ray-Spex
(1978 - Awesome Record Ltd.)

 

 

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